Eco amici filosofi non sono un traditore di Marco NeirottiUmberto Eco

Eco: amici filosofi, non sono un traditore Al castello di Masino, il premio «Terre del Piemonte» per il semiologo, Lalla Romano e Bartolo Mascarello Eco: amici filosofi, non sono un traditore «Mi volevate nietzschiano, ma non abbraccerò mai un cavallo» IVREA I volevamo filosofo. Sei scivolato nella semiologia, poi sei caduto nella narrativa», è l'affondo di Gianni Vattimo. Umberto Eco replica con un colpo di taglio: «Mi volevate nietzschiano ma non mi vedrete mai abbracciare un cavallo in piazza Carlo Alberto a Torino». Duello amichevole e ironico tra il filosofo militante e il filosofo «traditore» alla serata finale della seconda edizione del premio «Terre del Piemonte», organizzato dal Grinzane Cavour. Mura antiche di mille anni - il Castello di Masino, nei pressi di Ivrea, proprietà del Fai - hanno accolto i tre vincitori, Umberto Eco, Lalla Romano e il produttore di vini Bartolo Mascarello, scelti da una giuria presieduta dal direttore de La Stampa, Ezio Mauro, e com- posta da Gianni Rocca (condirettore di Repubblica), dal filosofo Gianni Vattimo, dal segretario del Grinzane, Giuliano Soria, e dai vincitori della prima edizione, Giorgio Bocca e Sebastiano Vassalli. Il presidente del Grinzane, Lorenzo Mondo, ha ricordato che per un premio internazionale è importante tener presenti, attraverso questa iniziativa, le radici locali. Ezio Mauro ha premiato Lalla Romano, insistendo sulla sua impronta - letteraria e artistica «non regionalistica», capace però di portare dal Piemonte alla nazione il «senso del riserbo, il non apparire, l'onestà del pensare». Sebastiano Vassalli ha presentato Mascarello, nelle cui cantine sono passati intellettuali come Giulio Einaudi a Carlo Emilio Gadda («che non si interessava ai contenuti, ma alla curvatura delle botti»), partigiani come Bocca (che pagavano con inservibili foglietti del Cln) e, con la forza, tedeschi «che preferivano il vino dolce, e il Barolo lo lascivano lì. Per i partigiani». Il duetto verbale tra Vattimo (to¬ rinese di Torino-centro) e Eco (alessandrin-torinese diviso fra Bologna e Milano) ha centrato il cuore del premio. Vattimo ha parlato della continuità dell'opera di Eco, pur sottolineandone i vari percorsi: «Dalla filosofia è scivolato nella semiologia e poi è caduto nella narrativa. Ha tradito noi filosofi. Eco, con il quale ho in comune il maestro, Luigi Pareyson, è il vero nichilista». E la replica: «Vedevo la lapide a Nietzsche uscendo dall'università di via Po. Ma io non sono di quel gruppo. Non mi ci portate». E, pensando a Pareyson: «Mi diceva: si ricordi che un uomo ruota tutta la vita attorno a un'idea. Quella frase non mi piacque, mi arrabbiai. Però con l'andar degli anni riconosco che è vero. Si ha sempre lo stesso principio, ma non so quale sia questa idea. Anche chi critica il "fondamento" è ossessio¬ nato dal "fondamento"». Lo scrittore ha poi parlato del suo rapporto con il Piemonte. Nato ad Alessandria, vissuto a Nizza Monferrato durante la guerra, allievo, all'Università torinese, di Abbagnano, Mazzantini e Pareyson (del quale divenne assistente). Poi l'«emigrazione». Vattimo indica quali suoi riferimenti Tommaso d'Aquino e Joyce. Lui risponde: «Uno era napoletano, l'altro di Dublino». E torna al Piemonte: «Mi accorgo che nella mia narrativa è importante. Il convento del Nome della rosa è nelle montagne del Basso Piemonte. Il Pendolo di Foucault finisce nelle vigne piemontesi e piemontesi sono due personaggi. Nel nuovo romanzo ci sono capitoli che si svolgono fra Casale Monferrato e Alessandria». Tanto piemontese da dipingere in un'intervista immaginaria a Pietro Micca - non un eroe suicida, bensì un efficiente militare tradito dai superiori. Il che indispettì alti comandi militari: «Avevo fatto vedere Micca come uno che voleva fare bene il suo mestiere: soltanto che gli avevano dato la polvere sbagliata. Ma i militari amano la retorica». E alla retorica si aggancia per chiudere, quando affida alla giuria il premio che gli ha consegnato Marella Agnelli: «Per non far retorica non devo dire altro. Soltanto che non ho voluto questo assegno (dieci milioni, ndr). Ho chiesto che fosse lasciato in bianco perché serva a finanziare una borsa di studio post laurea, dalla storia di Giandyja all'emigrazione in Venezuela. La sola cosa che non si può fare è un saggio su Umberto Eco. Però su Gianni Vattimo...». Marco Neirotti Cultura e radici fra James Joyce e Tommaso d'Aquino Lalla Romano. Nell'immagine grande, Umberto Eco accanto a Marella Agnelli