Addio Rinascimento in passerella

I vip delle griffes ammettono di aver versato somme per oltre un miliardo E per i giudici l'inchiesta è agli inizi Addio, Rinascimento in passerella Da ferry Broome alle top model da sogno UN'OMBRA SUGLI ANNI D'ORO CMILANO OMINCIAMO dai rimpianti, le prime giacche Armani sotto i riflettori, l'estasi per «quelle spalle un po' così» che facevano arricciare i nasini alle croniste innamorate d'alta moda, ma che andavano via come il pane, un successone, anche se le suddette giacche costavano il doppio delle altre. E dietro alle giacche, tutto il guardaroba degli stilisti, i maglioni Missoni e le gonnelle Krizia, i pantaloni Versace e i cappotti Ferrè, splendevano di luce mai vista prima, relegando nell'ombra e nel declino tutto quello che non era made in Italy, altro che Parigi o New York, il cuore pulsava qui a Milano, la capitale della moda. E il rimpianto per l'anno 1980 e per quelli a seguire non permette, a chi ci è stato in mezzo, di seppellirne del tutto il ricordo ora che la sfilata più clamorosa va in scena al quarto piano del Palazzo di Giustizia, chez Di Pietro. Perché poi, nel ricordo, la rucola e i garofani, il cattivo stile e la cattiva politica, i soldi facili e la facile corruzione, rischiano di annerire una stagione che è stata anche di idee e innovazione, rischi e invenzioni. Dice per esempio Guido Vergani, uno che tiene Milano in tasca e nella penna, che «in quegli anni gli stilisti sono stati una delle poche cose buone che hanno respirato a Milano». Il passato prossimo affondava nella cupezza degli Anni 70, che non era solo il piombo della rivolta armata, ma anche il malaffare di Sindona e soci, il cappio della P2 al Corriere, e insomma quell'aria irrespirabile che di sera svuotava tutto, strade e locali. La moda, bisognerà pur dirlo, quelle luci le ha riaccese, e basta rivedere di passata le cronache di allora per capire che il boom degli stilisti si tirava dietro non solo la voglia di mondanità, soldi, successo, presenzialismo, ma anche il bisogno di allegria e leggerezza dell'essere. Feste mai viste allagarono il nulla della mondanità, la prima in via Durini da Armani, Natale 1981, «con mille cuscini di raso», e quella folla pettegola, contenta di sé, che era mista come un'insalata di riso - architetti, giornalisti, modelle, fotografi, dame, play poy tutti lì per esserci. Partecipare a qusto perpetuo moltiplicarsi di successi e fatturati verso un'apoteosi che sarebbe diventata simbolica per il decennio. Ed era tutt'altro che aria fritta, se capitava che nei conti italiani la voce moda superasse gli incassi del Turismo. Tra quelli che c'erano, più di tutti hanno visto (per mestiere) i fotografi, gente tipo il Rudy Faccin o il Bruno Rinaldi o il Graziano Ferrari, che hanno fatto mille scatti al dì. «Mille scatti e anche di più, perché allora si lavorava sul serio, fino a notte alta» come dice Rudy che ha visto danzare davanti al suo grandangolo le prime top model venute dall'America come la Dickinson o la Jerry Hall (pagata allora 10 mila dollari, una pazzia di Versace) a sotituire «le grucce animate», quelle ragazze italiane o al massimo francesi che vestivano bene, con classe, ma in definitiva più fredde di un gelato. «Sono stati anni indimenticabili perché davvero eravamo i primi nel mondo, i più bravi» racconta Bruno Rinaldi. • L'avventura non innovava solo i guardaroba, ma anche la comunicazione, lo stile di vita, i sogni. E, per dire, «gli stilisti hanno trasformato la normale pubblicità in evento» come racconta Barbara Vitti, gran signora di pubbliche re¬ lazioni. Così che quando nell'inverno '82 a una di queste feste comparve John Travolta avvenne quello che non era mai successo prima: la moda finì in prima pagina. E poi stabilmente conquistò i giornali con spazio, rubriche, specialisti. Tutto tirato dalla pubblicità (o da quella nuova parola: sponsorizzazione) che sembrava virtualmente infinita, tanto da far nascere patinati come «Donna» e poi «Moda» e più avanti «King» e decine di altre testate che apparivano e scomparivano accanto ai colossi tipo «Vogue». Un'occhiata a quella Milano ed ecco le gigantografie Armani, bel¬ limbusti in bianco e nero, sul muro di via Dell'Orso, Brera. Ecco i ristornati St. Andrews, Bice, Toulà, pieni di americani a caccia di campionari, e l'aperitivo delle modelle alla Nave, e i gorilla che scortano le più belle quando lasciano il Principessa Clotilde per andare a farsi fotografare al Superstudio di via Tortona, dove lavorano contemporaneamente dieci fotografi su dieci set. Luci che diventano cronaca con la brutta storia di Terry Broome, la cocaina, il night Nepenta e Francesco D'Alessio ammazzato a rivoltellate, «il turpe mondo delle modelle» che finisce sezionato, tutti a caccia dei retroscena piccanti che aggiungono il brivido del sangue al grande spettacolo della moda. E infine ecco la politica, con i socialisti che sgomitano, lusingano per entrare anche loro sotto ai riflettori, con Pillitteri, allora sindaco, ospite delle feste di Trussardi (quello che otteneva piazza Duomo per le sfilate) e l'Anna Craxi ospite più o meno di tutti. Perciò scandalo e poi crisi, dissanguamento di immagine a chi di immagine prosperava. E ora questo nuovo guaio giudiziario a regolare i conti con il passato, forse a chiuderlo. Pino Corrias Via Montenapoleone a Milano. Sopra Gianni Versace

Luoghi citati: America, Milano, New York, Parigi