«Silvio aspettiamo i fatti» di Augusto MinzoliniGianni Letta

«Silvio, aspettiamo i fatti» «Silvio, aspettiamo i fatti» Botta e risposta alla cena del dialogo A TAVOLA IN QUATTORDICI LROMA A risata generale, quella che ha spazzato via le diffidenze ma non i dubbi di quegli imprenditori che vogliono «un governo che governi», è scoppiata quando su un determinato problema una tesi 'azzeccata del presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, è stata chiosata dal suo antagonista di sempre, l'ingegnere Carlo De Benedetti, con una frase che poteva generare qualche equivoco: «E' così, è proprio così. Questa proprio non è una balla». Parole che un'altra circostanza avrebbero provocato la solita disputa tra duellanti, ma che l'altra sera, nell'atmosfera pacata di casa Agnelli, hanno offerto a Berlusconi l'occasione per una battuta: «Ma perché dici che non è una balla? Vuoi dire che tutte le cose che ho detto fino adesso lo sono?». Eh sì, metti dodici industriali a cena con il presidente del Consiglio e il suo «gran ciambellano», Gianni Letta, a casa dell'Avvocato e i discorsi, le battute scivolano via senza creare imbarazzi. In un tal consesso sono vietate le cadute di stile. E tutti quelli che l'altra sera hanno varcato il portone di via XXIV Maggio per salire all'ultimo piano e godersi una pasta e fagioli davanti al panorama della Roma notturna, sapevano che quelle erano le regole. Come sarebbe stata una violazione del costume di casa quel «caffè» finale con Giuliano Ferrara e il candidato al posto di Antonio Tajani, Jash Gawrosky, di cui si è parlato ma che non c'è mai stato. Quando discute a tavola il «gotha» dell'industria italiana parla chiaro, ma evita il linguaggio ruvido. Casomai, se proprio si vuol misurare la confidenza che c'è tra i vari convitati, bisogna stare attenti all'uso del «tu» e del «lei». L'altra sera Berlusconi si è dato del «tu» con Cesare Romiti, Carlo De Benedetti, Luigi Lucchini, Luigi Abete, Marco Tronchetti Provera e Ennio Presutti. Mentre Gianni Agnelli, Bruno Rambaudi, Giampiero Pesenti, Pietro Marzotto, Vittorio Merloni e Lucio Rondelli sono rimasti fedeli al «lei». La «cena» comincia intorno alle 21 e 30 con l'arrivo dei primi invitati ma si va a tavola soltanto alle 22. L'aperitivo è accompagnato dall'«introduzione» del padrone di casa. Agnelli racconta di essere appena tornato da un giro in cui ha toccato New York, Francoforte e Londra, e di aver osservato che all'estero gli operatori economicifinanziari guardano con interesse all'Italia. Sono soddisfatti anche dell'esito delle ultime elezioni. Considerano il successo dell'attuale maggioranza «il male minore», sarebbe andata peggio se avesse vinto lo schieramento progressista. Sono però preoccupati da un fatto: per ora mancano dei veri atti di governo.... C'è bisogno di «una finanziaria seria»; le privatizzazioni debbono essere rilanciate «rapidamente»; le nomine debbono tener conto delle «professionalità»; bisogna «sistemare» il mercato del lavoro. Berlusconi ascolta attentamente. Poi, sul suo volto si disegna un'espressione che implora comprensione. «Io - ammette il capo del governo - ho delle grandi difficoltà a gestire le cose con questi alleati... Mi creano un sacco di guai. Pensate alla Lega, pensate a certi uomini di Fini: si decide una cosa insieme e poi si cambia... Per me è difficile». Gli altri insistono. «Guarda Silvio - gli dice Romiti nessuno ha un'ostilità pregiudiziale nei tuoi confronti. Anzi, avere un capo del governo-imprenditore può essere un vantaggio reci- proco perché parliamo un linguaggio concreto. E proprio per questo tu sai che chi vive nel mondo dell'economia ha un'interesse prioritario: un governo che governi, che duri e che dia stabilità al Paese». «Il tuo governo - gli va dietro Luigi Abete - deve fare degli atti emblematici. Ad esempio, fare una riforma delle pensioni è importante». Un attimo e gli industriali aprono un altro fronte, quello delle privatizzazioni. «Su questo argomento esordisce De Benedetti - c'è un notevole ritardo, si può andare più velocemente». «Per me - torna alla carica Abete - bisognerebbe privatizzare anche la Rai». Mentre gli altri parlano, Gianni Letta sussura un suggerimento nell'orecchio del presidente. Subito dopo Berlusconi pone un interrogativo che lascia un po' perplessi i presenti: «Perché bisogna vendere le aziende che vanno bene? Eppoi non vedo il motivo di tutta questa fretta...». All'interrogativo rispondono in tanti, tra i quali il presidente del Credito, Lucio Rondelli. Spiegano: «E' un segnale che tutto il mondo si aspetta. E' un banco di prova. Non si dimentichi che lei ha fatto una campagna elettorale liberista dicendo che lo Stato si deve ritirare. Ciampi ha avuto successo perché ha fatto due grandi privatizzazioni che sono Comit e Credit». Un discorso sintetizzato da una voce più lontana del partito del «tu», che esclama: «Con te le privatizzazioni si sono fermate». Tanta enfasi fa assumere a Berlusconi una posizione di difesa. «Vedete - spiega - per la privatizazzione dell'Enel ci sono molte difficoltà...». Rondelli lo incalza: «Se ci sono difficoltà per l'Enel cominci dalle altre». A quel punto Berlusconi sembra accettare il suggerimento e chiede: «Per favore, mi faccia un appunto su quello che si può fare». Si torna al problema della finanziaria. Berlusconi, che pure qualche tempo fa aveva sottovalutato la questione («è un pannicello caldo su una gamba di legno» aveva detto), mostra attenzione. «Io sono d'accordo con voi - è la posizione del capo del governo - ma ricordatevi che il rigore, alla resa dei conti, non piace a nessuno». «Guardi gli ricorda qualcuno - il rigore non piace ma all'estero vogliono fatti». Lui contrattacca su un altro argomento: «Voi, però, non mi avete aiutato, i giornali non mi hanno aiutato». Gli altri immediatamente lo stoppano: «Silvio - gli dice Romiti - tu dai troppa importanza ai giornali». Ma Berlusconi, che all'argomento ci tiene, replica: «Forse è così, ma qualcuno può pensare che le cose scritte sui giornali siano ispirate da chi è dietro ai giornali. Eppoi quei giudizi rimbalzano sulla stampa estera e, quindi, ritornano in Italia. Si crea un circolo vizioso...». I «giornali» e «gli alleati», questi sono gli argomenti che Berlusconi usa per spiegare le sue difficoltà. Spiega che i missini sono allergici al rigore, che la Lega parla ma poi al momento giusto si squaglia... Qualcuno azzarda: «Lei li deve convincere, mica li vorrà uccidere, anche perché le elezioni non le vuole nessuno». Un attimo di silenzio e Berlusconi regala una risposta sibillina che mette una pulce nell'orecchio a tutti i presenti: «Certo le elezioni sono una cosa di cui non si può parlare. Almeno fino alla finanziaria...». Con quel nuovo dubbio in testa, si passa a parlare di argomenti meno impegnativi. C'è chi, ad esempio, consiglia al capo del governo di prendere nel suo staff qualche persona di qualità. «Credete che non ci abbia pensato - risponde il presidente - ma mi sono accorto che un buon consulente non posso pagarlo più di 38 milioni l'anno!». Al caffè e al brandy Berlusconi mostra di avere nostalgia della vita che faceva quando si trovava nelle condizioni dei suoi interlocutori: «Vedete - confessa - 10 ho una bellissima casa ad Arcore. Potevo starmene felice lì. Ero presidente del Milan e la , ente allo stadio si alzava in pied per applaudirmi. Adesso sto chi' ;o tutto 11 giorno a Palazzo Chigi Ho abbassato la qualità della . ia vita. Chi ci ha guadagnato se i miei alleati. Facevano dei m, ieri di tutti i tipi e adesso fanno . linistri e sono riveriti. Si è alzai la loro qualità della vita, la mi: i è abbassata». Ormai si è ai h uti. Un attimo per parlare a qu. r'occhi con De Benedetti, quinc il capo del governo saluta il pa rone di casa e se ne va. E allora Hanno cominciato a parlarsi, ìru il dialogo, per essere confermate attende la prova dei fatti. Augusto Minzolini Agnelli: all'estero c'è interesse ma vogliono atti di governo A sinistra, Giovanni Agnelli, Cesare Romiti con il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. A destra, Carlo De Benedetti. Sotto, Gianni Letta

Luoghi citati: Arcore, Francoforte, Italia, Londra, New York