«La famiglia salverà l'America»

A «La famiglia salverà KAmerica» Destra e sinistra riscoprono la tradizione IL RITORNO DEI VALORI A WASHINGTON. LL'ETA' di 42 anni e al vertice di una carriera invidiabile culminata nel massimo premio i "%W> giornalistico del I lÉBr# mondo' il «Puli■ Jflfek lzen>' Arm Quin- Wm zione vivente del mito della «donna moderna». Nei corridoi del «New York Times», dove la sua intelligente rubrica, «Pubblico e Privato», appariva regolarmente, non c'era garzone che non sapesse qual era il prossimo, immenso gradino della sua carriera: la direzione del più celebre e importante quotidiano d'America. Ann sarebbe stata la prima donna a salire su un trono che era stato da sempre, e sembrava per sempre, la riserva esclusiva del maschilismo giornalistico. Quando Ann Quindlen fu vista entrare, la scorsa settimana, nell'ufficio di Arthur Sulzberger jr., l'editore, la redazione intera pensò «ci siamo». La rivoluzione sessuale, il movimento femminile, stava per produrre il suo frutto più succoso e sensazionale: una donna direttore del «New York Times». Allora? le chiesero i colleghi quando Ann uscì dal colloquio. Allora me ne vado, rispose lei. Te ne vai dove? Domandarono senza capire. A casa - sorrise lei - dai miei tre figli. A 42 anni, al vertice della carriera e del successo professionale, sulla soglia dell'incarico che ogni giornalista sogna e trama per conquistare, Ann Quindlen aveva fatto il gran rifiuto. Alla magnifica direzione del «New York Times» aveva preferito l'umile mestiere di madre. Forse, la stupefacente decisione di una fra le giornaliste più importanti d'America sarebbe passata inosservata se nelle stesse ore due uomini, due leaders politici separati da migliaia di chilometri di distanza e da anni luce di posizioni ideologiche, non avessero suonato la stessa campana che aveva fatto sentire i suoi rintocchi fatali ad Ann Quindlen: la campana della famiglia. Dan Quayle, l'ex vice Presidente americano, il secondo di Bush per 4 anni, ripeteva in quelle ore il suo messaggio «famiglista» conservatore, vantandosi di avere avuto ragione quando, nel 1992, aveva invocato per l'America il ritorno alla famiglia tradizionale, eterosessuale, papà, mamma e bambini per sanare la società dai suoi mali, tra gli sberleffi e le risate della sinistra. E Bill Clinton, Presidente in carica, leader dei progressisti, marito della prima «First Lady» dichiaratamente femminista, gli aveva fatto sorprendentemente eco, dal pulpito di un congresso religioso a New Orleans: «E' tornato il momento di rivalutare la famiglia tradizionale... di avere figli solo all'interno del matrimonio e di prendersene cura». Mischiare il «privato» e il «pubblico», come avrebbe detto la Quindlen, leggere grandi verità storiche o sociologiche nei comizi dei politici o nell'intimità di una scelta individuale è sem- pre pericoloso, e spesso fuorviante. Ma, ben oltre la rinuncia della celebre «columnist» e la retorica di Clinton e Quayle, i segni sono ormai troppo vistosi perché non si debba concludere che nell'America del 1994 un profondo «cambio di mare» è in atto. Lo si può chiamare «neo famiglismo», «neo conservatismo», «controrivoluzione moralista», lo si può attribuire al panico, alla confusione, all'opportunismo di una società sconvolta dalla violenza, dagli assassini baby, dalla povertà urbana, ma la sostanza non cambia: dopo 25 anni di assalto ideologico e pratico, ^istituzione famiglia» sta riemergendo dalle rovine delle mode, come il tempio e rifugio della salvezza collettiva. Come sempre in questi casi, si deve aver cura di separare il grano della sostanza dalla gramigna dell'ideologia. Nella improvvisa, e furibonda riabilitazione della famiglia nucleare oggi in corso, ci sono sicuramente le intenzioni revisioniste e revansciste del maschilismo irriducibile, quello che sogna di «rimettere le donne al loro posto» e di scaricare sul femminismo tutti i mali del tempo. Nei discorsi «famiglisti» della destra politica c'è la speranza di ricostruire una maggioranza moderata, bianca, di classe media, che consenta ai repubblicani di espellere Clinton e la sua «Dama Rossa» dalla Casa Bianca nel 1996. E, dietro la nobiltà delle prediche pro-famiglia, si intravvede il rancore anti-gay, il razzismo anti-neri, l'egoismo antipoveri dell'America più miope. Ma tutto questo grumo di umori sordidi esisteva anche 20, o 10 anni or sono. La novità importante sta nel fatto che quei sentimenti, ieri di minoranza, oggi sono divenuti di maggioranza. E che le opinioni relegate ancora due anni or sono nelle fran¬ ge di destra, siano divenuti oggi opinioni centriste. I discorsi di Clinton, il silenzio della sua «First Lady», quasi scomparsa da quella scena pubblica che aveva occupato con grande prepotenza all'esordio, gli articoli dei giornali più autorevoli, i ser¬ vizi televisivi, tutti i sintomi dicono che «the family is back», che è arrivata l'ora della «rivincita della famiglia». Una valanga di cifre, di fatti, di notizie orripilanti si stanno riversando sul pubblico americano e stanno provocando il ripensamento «neo famiglista». Il numero dei figli generati da donne senza marito, gli «illegittimi» come si chiamavano un tempo con infinita crudeltà, stanno aumentando in maniera prodigiosa. In alcune città e quartieri, come Brooklyn, come il centro di Los Angeles, come Detroit, 7 bambini su 10 nascono da donne non sposate, figli di padre ignoto o assente. Meno della metà di tutti i bambini americani vivono ormai in famiglie tradizionali, con due genitori regolarmente sposati. Fino al 1956, le nascite «illegittime» erano il 4%. Oggi sono il 35%. «Nessun'altra società, nella storia del mondo, ha mai visto un fenomeno di queste proporzioni», dice il senatore democratico di New York, Patrick Moynihan, il primo uomo politico che ebbe il coraggio di denunciare la crisi della famiglia. Ma più che i dati grezzi sul crollo della famiglia, sono le conseguenze apparenti di questo crollo, ad avere cambiato gli umori pubblici. Studi e statistiche piovono sulla gente a dimostrare ciò che il semplice buon senso avrebbe douto suggerire: una famiglia nucleare con due genitori di sesso opposto, con tutte le sue patologie, le sue tensioni interne, i suoi drammi, resta l'ambiente migliore per allevare i nuovi membri della famiglia umana. Ciò non significa affatto che un bambino cresciuto da un solo genitore, o da una coppia di omosessuali, o in una famiglia aperta, sia necessariamente condannato a divenire un criminale o un marginale. Le statistiche sembrano dimostrare semplicemente che le «probabilità» di successo nella vita sono più alte per i figli di coppie eterosessuali regolarmente sposate. E nella società contemporanea fondata sul culto della probabilità statistica - chi fuma ha più probabilità di ammalarsi, chi guida a 200 all'ora ha più probabilità di provocare gravi incidenti, chi è obeso ha più proba- bilità di morire giovane - il parallelo fattuale fra «illegittimità» e «criminalità» sembra irresistibile. Dove non arrivano le cifre, intervengono poi le emozioni a spostare indietro il pendolo degli umori nazionali. Il panorama collettivo si popola di piccoli assassini usciti da famiglie senza padri, di bambini undicenni che uccidono i fratelli, di adolescenti che pestano a sangue parenti, di ragazzini ancora con il volto rotondetto dell'infanzia che maneggiano mitra all'angolo delle strade, e la nostalgia per il passato si fa divorante. Gli assassini non hanno conosciuto mai padre e dunque la figura del «padre», che sembrava relegata dal femminismo estremo fra gli accessori optional, torna a essere vista come centrale per lo sviluppo equilibrato dei cuccioli americani. Come torna a esserlo la figura della «madre» quale presenza costante nella vita di casa. «I miei figli hanno bisogno di me e del loro padre», ha spiegato semplicemente Ann Quindlen, che ha marito e tre bambini fra i 7 e gli 11 anni. L'immagine del marito emancipato che lava i piatti e cucina l'arrosto per i figli rimane largamente un mito da telefilm e da carosello. «Poiché la rivoluzione sessuale e la liberazione della donna hanno tolto ogni marchio di vergogna alla immagine della ragazza-madre - ha osservato una femminista-revisionista, Camille Paglia - mettere incinta una ragazza non comporta più nessu senso di colpa e quindi nessun senso di responsabilità per il padre biologico». Dunque «the family is back»: la famiglia, data prematuramente per morta, sta conoscendo la sua rivincita, in politica, sul giornali, nella vita reale e persino nella rappresentazione della tv e del cinema, dove gli sponsors che forniscono i finanziamenti ai produttori, cominciano a rifiutare i soldi a programmi che esaltino la «famiglia alternativa» o la «madre singola» come accadeva ieri. «Qualcuno deve pagare il conto della distruzione della famiglia americana», avverte minaccioso Dan Quayle. «E il conto lo pagheranno come sempre le donne», ha sospirate» Ann Quindlen, lasciando per l'ultima volta il palazzo del «New York Times». Vittorio Zucconi La più celebre reporter Usa «Ho rinunciato al N. Y. Times per stare con i figli» Dopo un quarto di secolo di continui assalti ideologici le «virtù domestiche» riemergono dal naufragio delle mode Clinton e Quayle sono d'accordo «Fate bambini ma solo all'interno del matrimonio» Avrcmi "%W> gI lÉBr# m■ Jflfek lWm z » e ea x A sinistra il presidente Clinton con la moglie Hillary e la figlia Chelsea Sotto, la famiglia dell'ex vicepresidente Quayle A destra, la famiglia americana secondo Norman Rockwell

Luoghi citati: America, Ann Quindlen, Los Angeles, New Orleans, New York, Washington