Soldati mi vien da piangere

Soldati: mi vien da piangere Soldati: mi vien da piangere MaAvati è d'accordo: anni di sofferenza DI GLORIA E LROMA ICEO: apri lo Zingarelli e già capisci. «Voce dotta, latino Lyceum, greco Lykeion, località ateniese dove si alzava il tempio di Apollo Liceo presso il quale usava insegnare Aristotele». Il liceo, insomma, lo dice la parola stessa, nasce come scuola di serie A. Fu pensato dal filosofo Giovanni Gentile per preparare l'elite di una nazione. Ed è, quella riforma, un omaggio all'idealismo imperante dell'epoca: primi venivano gli studi umanistici, in seconda battuta quelli scientifici, gli altri seguivano a distanza. Adesso il ministro D'Onofrio vuole cancellare questo piedistallo. Prima che di sostanza, dunque, apre una questione linguistica e simbolica. «Cambiamogli il nome per abbattere definitivamente le differenze». Resta il problema di fondo: davvero il liceo è da buttare? Non parlatene a Mario Soldati, scrittore e regista, che quando ha saputo cosa bolliva nella pentola ministeriale, ha lanciato un apocalittico appello salva-liceo. «Mi viene quasi da piangere. Il fatto è che, da quando l'universo degli esseri umani vive cullato dall'angoscia del rock, bisogna aspettarsi di tutto». Soldati, presidente del Centro Pannunzio, ha raccolto firme. Tutti o quasi i presidi torinesi di liceo classico hanno già aderito. Anche Giovanni Ramclla, preside del famoso liceo «D'Azeglio», che dice: «Il classico non dev'essere appiattito». Ma è proprio questo il nodo. Appiattire o non appiattire. Devono scomparire dalla scena i gloriosi licei che hanno fatto (anche) la storia d'Italia? Come definire altrimenti il «Parini» di Milano, che segnò un'epoca con il giornalino «La Zanzara»? Era il 1966. Un terzetto di studenti - De Poli, Sassano e Beltrami - scrisse un'inchiesta sulla sessualità giovanile e scatenò il finimondo. Non avranno fatto uguale scalpore, ma che ruolo si vuole riconoscere a chi ha formato intere classi dirigenti - naturalmente, al momento giusto, anche i dirigenti della Contestazione - come il «Visconti» e il «Tasso» di Roma, 1'«Umberto I» di Napoli, l'«Azuni» di Sassari? Ogni città d'Italia, insomma, piccola o grande, ha i suoi licei blasonati. E spesso, in ognuno di questi licei, come fossero gloriosi reggimenti, si vive e si studia nel ricordo di quanti calcarono le aule. Ecco dunque - senza nulla togliere al «Cavour» o al «Gioberti» - la mitologia del «D'Azeglio» do- ve insegnava il maestro di vita e di cultura Augusto Monti e dove hanno studiato i giovanissimi Cesare Pavese e Massimo Mila, Gian Carlo Pajetta e Leone Ginzburg, Carlo Mus- sa Ivaldi e Norberto Bobbio, poi l'editore Einaudi, il biologo Luria, il critico d'arte Carluccio, l'Avvocato Agnelli e sua sorella Susanna. Si formano amicizie indis- solubili, su quei banchi di scuola. Mariotto Segni, ad esempio, ricorda con affetto il suo liceo di Sassari. Un istituto dove sono passate per generazioni le famiglie più in vista dell'isola: i Segni, i Berlinguer, i Cossiga, i Siglienti. «Non era - rievoca - solo il liceo delle buone famiglie, ma qualcosa di più vasto. Era una fucina di gente che si prepara- va degnamente alla vita. Se mi guardo intorno tra i banchi di allora, vedo docenti, avvocati, giudici, politici». Ma è dispiaciuto, l'on. Segni, della prossima dipartita? «Sì, un po' mi dispiace. Le tradizioni, quan do sono buone, non vanno abbandonate». Tra le pieghe della storia, ci sono anche rivalità insuperabili. Al «Visconti» di Roma è attiva un'Associazione di ex alunni. Presidente, il regista Carlo Lizzani. Iscritti di diritto: Franco Modigliani, Giuliano Vassalli, Massimo Severo Giannini, Paolo Bufalini, la dinastia dei Manacorda, Monica Vitti, lo stilista Piattèlli, l'ex ministro Dodo Battaglia, anche Giulio Andreotti che alunno lo è stato solo per un anno. Si ricordano anche Guido Carli, Giuliano Briganti e Giorgio Amendola. Per non essere da meno, al «Tasso», concorrente storico, hanno organizzato un'analoga associazione. Qualche anno fa festeggiarono sontuosamente il centenario della scuola. E due ex alunni, Paola Decina e Citto Maselli, prepararono per l'occasione addirittura un documentario televisivo che presentava la straordinaria carrellata di alunni famosi: Enrico Fermi, e poi Andreotti (anche qui), Stille, Malagodi, La Malfa, Gassman, Squarzina, Romiti, Schimberni, Giorgio Amendola, Ruggero Zangrandi, Sandro Curzi, Luciana Castellina, Paolo Mieli. Al «Visconti» non si sono più ripresi. Eppure c'è chi non sopporta tutto questo revival, questo amore per l'età felice dei banchi di scuola, questa melassa. Pupi Avati ha dedicato il suo ultimo film «Dichiarazioni d'amore» proprio a quegli anni. «Chiunque abbia visto il mio film - dice - si sarà reso conto che io ho odiato la scuola. Ero a Bologna, nell'immediato dopoguerra. E dovetti abbandonare il liceo perché non ce la facevo proprio. Lì, su quei banchi, avevo imparato a non amare i libri. Ma ditemi voi come si fa, a 14 anni, ad amare Foscolo, Leopardi o Virgilio? Sapete, l'Iliade la leggo solo oggi che di anni ne ho 55 e mi sento in grado di affrontare un testo del genere». Francesco Grignetti Segni: con Cossiga e Berlinguer su quei banchi ci si preparava alla vita Si ribellano gli istituti storici, Tasso di Roma Parini di Milano D'Azeglio di Torino Addio liceo: va in pensione la scuola ideata dal filosofo Giovanni Gentile Da sinistra, Mariotto Segni e il regista Pupi Avati