Le femministe di Allah di Mario Ciriello

Asservite, stuprate, trattate come esseri immondi: dopo la Carta del Cairo le donne dell'Islam si organizzano Asservite, stuprate, trattate come esseri immondi: dopo la Carta del Cairo le donne dell'Islam si organizzano Le femministe di Allah «Maometto era liberal, l'uomo no» 11L mondo femminile dispone di un nuovo vessillo, il vocabolo empo \werment. L'ha sventola_—Ito l'Onu, al Cairo, nei suoi molti messaggi e proclami ai governi, alle istituzioni, ai cittadini. F.mpowerment descrive l'acquisizione o il conferimento del potere, quel potere che, nelle speranze dell'Onu, dovrebbe permettere alle donne di conquistare, ovunque, quei diritti che ancora sono loro negati e, senza i quali, non potranno contribuire alla guerra contro il sottosviluppo. E' un grido di battaglia, empowerment, una sfida, che, proprio perché rivoluzionaria, genera allo stesso tempo giubilo e scetticismo. Come reagirà infatti a questo assalto la roccaforte del tradizionalismo, l'Islam? Sì, su questo tutti sono d'accordo, la lotta più ardua e più aleatoria sarà quella delle donne musulmane. Anche le donne delle nazioni più cattoliche dell'America Latina dovranno combattere, ma prima o poi abbatteranno la resistenza avversaria, possiedono non poche armi, agiscono in società mobili e moderne. Certo, gli impegni assunti al Cairo dai governi della Mezzaluna li costringeranno ad ascoltare con maggior attenzione le istanze femminili, e ciò è motivo di letizia: ma gli osservatori più attenti restano scettici sulle possibilità di una vera evoluzione. Forse per questo, si è fatto più furente, più violento, nelle ultime settimane, il linguaggio delle femministe musulmane, una coraggiosa brigata. I sentimenti di questo femminismo sono quelli che hanno costretto Taslima Nasrin a fuggire dal Bangladesh, la sua terra, e a cercare rifugio in Svezia. «L'Islam tratta le donne come schiave», ripeteva la scrittrice nelle sue inteiviste: ed è questa la protesta che sgorga da molte altre labbra. Il movimento femminista forse più attivo è la Muslim Sisterhood (la Sorellanza Musulmana) fondato l'anno scorso a Teheran. Nacque per caso. Tre signore s'erano date appuntamento in un albergo, volevano discutere con calma un progetto per estendere certi servizi sanitari ai contadini, ma la loro conversazione era continuamente interrotta da un «guardiano della moralità», al servizio dell'hotel. Copritevi il volto, abbassate la voce, smettetela di fumare. Una delle tre donne ha narrato poi: «Eravamo tutte istruite per bene e volevamo soltanto migliorare le condizioni nelle campagne. Ma quest'uomo, che probabilmente non sapeva né leggere né scrivere, ci trattava come fossimo immondizia. Fu così che decidemmo di divenire "Sorelle Musulmane" e di dedicarci prima alla liberazione delle donne e poi a una riforma religiosa». Nel febbraio di quest'anno, una psichiatra, Homa Uarabi, 51 anni, si ferma in mezzo a una strada di Teheran e comincia a predicare il Vangelo femminista. D'improvviso grida alla folla: «Vi imploro, fate qualcosa per cambiare la spaventosa situazione delle donne in Iran». Accende un fiammifero, dà fuoco al velo che le avvolge la testa, in pochi secondi è una torcia. Da allora, da quel suicidio, la Muslim Sisterhood si è estesa oltre le frontiere iraniane, afferma di avere «centinaia di seguaci». In Pakistan, due «sorelle» sono state arrestate, mentre distribuivano opuscoli; altre sono state aggredite e percosse da fanatici. Anche a Londra, c'è una rappresentanza della Muslim Sisterhood. Una delle sue «voci» spiega: «Noi esortiamo tutte le sorelle ad essere prudenti. Allo stesso tempo dobbiamo agire per uscire dal Medioevo ed entrare nel ventunesimo secolo. Visiti qualsiasi obitorio in Iran e, come in quasi tutte le comunità musulmane, vi troverà i cadaveri di donne. Donne che si sono uccise perché era l'unico modo di evadere da un matrimonio infelice». E insiste: «Il messaggio del profeta Maometto era progressista e radicale, ma è ora tradito e corrotto». Questo femminismo è un sin- tomo, condiviso da non femministe, come Asma Jahangir, presidentessa della Commissione per i Diritti Umani in Pakistan, una donna impavida, indifferente alle continue minacce di morte. «I fondamentalisti dichiara - usano la religione per esercitare il potere. E se non riescono a intimidire, uccido¬ no». Un sintomo, sì, importante, ma che ancora non incrina i bastioni del tradizionalismo. E' naturale, il «pianeta Islam» è immenso e complesso, i fondamentalisti stessi non hanno ovunque la medesima forza: forza che è grande e crescente nei Paesi arabi, dove, grazie alla loro presenza nei servizi di assi¬ stenza sociale, hanno acquistato muscolatura politica, ma che è circoscritto nel Sud-Est asiatico, dove i partiti islamici ricorrono alla piazza perché zoppicano alle elezioni. Non basta. Vero è che le società musulmane sono dominate dagli uomini, ma le donne, se acquiescenti, sono protette e sentono attorno a sé lo scudo della famiglia in una misura impensabile in molte parti dell'Occidente, soprattutto in America e in Inghilterra. Lo testimoniano le molte e sincere lettere scritte ai giornali di Londra e New York da associazioni femminili musulmane, scioccate dalla campagna della «blasfe¬ ma» Taslima Nasrin. Resta il fatto però che questa signoria maschile, nutrita da controverse interpretazioni del Corano, imprigiona inevitabilmente le donne in una condizione di inferiorità, le priva di ogni libertà d'azione e di pensiero e, troppo spesso, di dignità. Robert Fisk, un inglese, giornalista di vaglia, vive e lavora da oltre vent'anni nel Medio Oriente. A suo giudizio, la Carta approvata al Cairo e tutti gli altri discorsi pronunciati alla Conferenza non cambieranno la sorte delle «sofferenti donne dell'Islam». «Sofferenti», perché sono vittime di società che ne calpestano tutti i diritti. Fisk cita esempi agghiaccianti. «Centinaia di giovani sono state uccise dai fratelli o dal padre in Egitto, nei Territori occupati palestinesi, talvolta in Libano e spesso in Iraq. Erano giudicate adultere, quindi colpevoli di aver "disonorato" la famiglia. In Iraq, che pure aveva aperto alle donne le porte della burocrazia, l'Intelligence Service di Saddam Hussein ha tuttora raping rooms, stanze riservate allo stupro delle mogli e figlie degli oppositori politici». Per Fisk, dunque, come per molti altri osservatori, grande è l'ipocrisia negli slogan uditi al Cairo. Non vi può essere empoweiment per le donne, fino a quando le società arabe non diverranno democratiche e permetteranno ì'empowerment politico di tutti, donne e uomini, primo passo verso le necessarie riforme. Fino allora, i movimenti femministi cresceranno, le varie sorellanze diverranno più aggressive, ma i regimi maschilisti e gli estremisti religiosi impediranno l'ascesa delle donne. Notizie di questi giorni informano che i comitati istituiti in gennaio da diversi gruppi di donne palestinesi per redigere una «Carta dei diritti femminili» nei territori autonomi non riesce a superare l'ostilità e i sospetti di politici, fondamentalisti e delle donne stesse. Persino le first ladies sono tenute nell'ombra. Chi ha mai udito parlare delle spose degli emiri del Golfo? In Siria, l'ultima foto di Aneesa Assad fu pubblicata ventidue anni or sono. La moglie di Gheddafi, Safia, apparve nell'86, quando denunciò il bombardamento americano di Tripoli, da allora, informa la stampa araba, non si è più vista. Certo, c'è adesso Suha Arafat, donna colta e brillante, ma è già bersaglio di critiche pesanti e volgari. Fondamentalisti e conservatori sono unanimi nel definirla «il clone arabo di Hillary Clinton». Mario Ciriello La «Sorellanza musulmana»: una rivoluzione nata per caso . I «4 Sp¬ e e e è e o Qui a fianco . Safìa. I la moglie del leader libico Gheddafi e nella foto a destra Noor, la sposa americana di re Hussein di Giordania «4 Sp¬