Il re dei boss «tradisce» la mafia

LA SFIDA Catania: Pulvirenti, in cella da un anno, ha deciso di collaborare con la giustizia Il re dei boss «tradisce» la mafia LA SFIDA A COSA NOSTRA CATANIA NOSTRO SERVIZIO Parla il boss e Cosa nostra trema. Giuseppe Pulvirenti, 64 anni, soprannominato «u malpassotu» - numero due di Cosa nostra catanese dopo Nitto Santapaola - ha deciso di collaborare con la giustizia. L'esponente della mafia ha ufficializzato la sua decisione ieri mattina nel corso della prima udienza del processo «aria pulita» che lo vede imputato assieme ad altre 90 persone. Il cancelliere nel prendere atto della rinuncia del «malpassotu» a presenziare al processo ha comunicato la decisione del boss di revocare il mandato all'avvocato difensore Serafino Fama e nominare quale nuovo legale Enzo Guarnera, l'avvocato catanese che difende solo collaboratori di giustizia. Sbigottimento tra gli imputati presenti in aula ai quali quella notizia, oltre che un tradimento, e sembrata l'annuncio di una condanna sicura. A distanza di un anno dalla cattura, avvenuta dopo una lunghissima latitanza, uno dei più potenti capimafia della Sicilia orientale decide di saltare il fosso e raccontare i retroscena dei più inquietanti fatti di mafia degli ultimi anni. Adesso, sostengono in molti, sarà come aprire l'enciclopedia della mafia e scoprire quello che si vuole. La procura di Catania preferisce non commentare la notizia del clamoroso pentimento del criminale considerato, fino a qualche anno fa, il nemico numero uno assieme all'ex imprendibile Nitto Santapaola. Il nuovo «testimone» e stato trasferito dal carcere catanese di Bicocca, dove era detenuto in regime di isolamento, in una struttura di massima sicurezza. Avrebbe invece rifiutato la protezione la moglie del nuovo pentito che ha preso le disianzedalia decisione del marito. A convincere a collaborare Pulvirenti potrebbero essere state le dure condizioni del carcere (il boss ò sottoposto al trattamento previsto dall'articolo 41 bis) e la certezza che le accuse di alcuni suoi ex soldati, anch'essi pentiti, l'avrebbero fatto marcire in una cella. E' uno dei suoi uomini, oltre che suo nipote il pentito «Alfa» - nome in codice di Filippo Malvagna - che sta collaborando con i giudici di Caltanissetta all'inchiesta sulla strage di Capaci. A confermare l'annuncio della clamorosa svolta c'è, per il momento, solo la nomina di Guarnera, avvocato dei pentiti. Il nuovo «collaborante» non avrebbe ancora messo a verbale alcuna dichiarazione. «Personalmente non l'ho ancora incontrato - spiega l'avvocato Enzo Guarnera che ha appreso della decisione di Pulvirenti solo ieri mattina -; ò chiaro che se la sua sarà una sincera collaborazione diven¬ terà il più importante pentito a livello italiano. Dopo questa notizia molte persone, ad alti livelli ed anche all'interno delle istituzioni, hanno di che preoccuparsi. La mia - aggiunge Guarnera - ò naturalmente una deduzione. Ritengo che Pulvirenti sappia molte, forse troppe cose. Le sue dichiarazioni potrebbero rivelarsi sconvolgenti per degli insospettabili. Qual- cuno potrebbe già meditare di far le valigie». Divenuto uomo d'onore nel 1984 e nominato «consigliere provinciale» di Cosa nostra a Catania, Giuseppe Pulvirenti ha rappresentato per oltre un decennio il braccio armato della cosca di Nitto Santapaola, capo indiscusso dell'unica «famiglia» mafiosa esistente a Catania. Come il suo grande alleato, Pulvirenti ha trascorso gran parte della sua vita da mafioso in latitanza. Venne catturato il 2 giugno dello scorso anno, due settimane dopo Santapaola. I carabinieri lo scovarono in un nascondiglio sotterraneo nelle campagne della sua città natale, Belpasso. Vecchio e smagrito da una malattia ai reni, il boss non aveva però perso la fierezza dei capimafia di vecchio stampo. Al dito portava un anello speciale con dodici diamanti, tanti quanti sono i mandamenti provinciali di Cosa nostra. Si tratta del cosiddetto «anello dei capi» che nella simbologia mafiosa ha un valore particolare. Al collo il vecchio boss aveva anche una grossa collana con una testa di leone come medaglia. E' il distintito del capomafia che dai suoi uomini e dalla gente dei paesi dove regnava incontrastato amava farsi chiamare «il leone di Belpasso». «Ma come non mi conoscete?» rispose stizzito ai carabinieri che lo stavano arrestando. «Sono Pulvirenti, "u malpassotu"». Nicola Savoca Ha scelto il legale che difende i pentiti NgPfCS Convinto dalle dure condizioni cui è sottoposto Ma la moglie l'ha sconfessato: è un infame Nella foto grande Giuseppe Pulvirenti, a fianco il boss di Catania, Nitto Santapaola