Germania nuova sentenza choc di Emanuele Novazio

La Corte Costituzionale: prima di tutto la libertà di espressione GIUSTIZIA La Corte Costituzionale: prima di tutto la libertà di espressione Germania, nuova sentenza choc Assolto: è lecito insultare l'esercito BONN DAL NOSTRO CORRISPONDENTE Sostenere che «i soldati sono assassini» è lecito, sentenzia la Corte Costituzionale, e la Germania insorge. I partiti di governo denunciano «il verdetto della vergogna», l'ex ministro degli Esteri Hans-Dietrich Genscher parla di «giudizio scandalo», ma la mobilitazione è generale: per discutere della vicenda, stamane il Bundestag si riunirà in seduta straordinaria su richiesta di democristiani, liberali e socialdemocratici. La storia, destinata a incidere in una campagna elettorale incandescente, comincia nelle austere aule di Karlsruhe: quando gli otto giudici costituzionali assolvono, in ultima istanza, un pacifista già condannato dal tribunale di Krefeld a una multa di 8400 marchi, quasi nove milioni di lire. L'accusa, per lui, era di avere esposto sul cruscotto della propria auto un adesivo con la scritta incriminata seguita dalla firma, in facsimile, dello scrittore Kurt Tucholsky. Il tribunale, in prima istanza, vi aveva riconosciuto «un attacco alla dignità umana» dei militari della Bundeswehr. Ma dopo la condanna, l'uomo - un insegnante di pedagogia - aveva fatto ricorso alla Corte Costituzionale affinché venisse rimosso un «ostacolo alla liberta personale di espressione». I giudici di Karlsruhe l'hanno accontentato. La Corte ha infatti obiettato, fra l'altro, che un «lettore medio» conosce la storia della Bundeswehr, e sa dunque che i soldati dell'esercito tedesco nato nel dopoguerra non hanno mai preso parte a combattimenti, e non hanno ucciso nessuno in guerra. Anche «critiche scoperte e aspre», del resto, «godono della protezione della libertà d'espressione». I giudici di prima istanza, inoltre, non avrebbero tenuto in sufficiente considerazione che la frase incriminata può essere considerata un modo di dire «tipico del linguaggio popolare». Ancora, la firma è di uno scrittore morto nel settembre del 1935: dunque non può esse- re riferita soltanto ai soldati della Bundeswehr. Infine, accanto all'adesivo c'è la foto di un soldato colpito da un proiettile e una domanda: «Perché?». Proprio questo interrogativo, secondo la Corte di Karlsruhe, «illumina di un'altra luce» la frase contestata. Ma tutto questo non ha convinto, ed è stata subito bufera. Anche se le spiegazioni sono giuridicamente valide, obiettano per esempio i socialdemocratici, il significato politico della sentenza è negativo, soprattutto nei confronti dei soldati della Bundeswehr: giovani che «nell'interesse collettivo compiono un dovere ben definito dalla Costituzione». «Sapremo difendere i nostri soldati», ha rilanciato il ministro della Difesa Volker Ruehe, democristiano, appellandosi ai partiti democratici affinché «spieghino ai tedeschi che i soldati, oggi, sono difensori della pace». E mentre il ministro degli Esteri Klaus Kinkel si dice «costernato» (e ammonisce: «La sentenza rovina l'immagine dei nostri soldati, in Germania e all'estero»), il portavoce della Csu considera «ambiguo» il verdetto della Corte e ritiene «insopportabile» che parole del genere siano riferite «ai soldati tedeschi di oggi». Proprio questa, forse, ò la chiave per intendere lo sdegno unanime del Bundestag: colpendo gli uomini dell'esercito nato dopo la tragedia del nazismo e della guerra, l'offesa diventa infamia. Perché si accusano di «omicidio» i rappresentanti armati di una Germania che da quegli orrori è uscita, e che non può sentir parlare di guerra senza provare raccapriccio, e senza un brivido. Emanuele Novazio

Persone citate: Klaus Kinkel, Kurt Tucholsky, Volker Ruehe

Luoghi citati: Germania