La «passerella» del pm in via Montenapoleone di Zeni

E; ad La «passerella» del pm in via Montenapoleone made in italy in tribunale E; MILANO alla fine è successo: il giudice inflessibile, il simbolo di Mani Pulite, il pm più amato che, indaga, indaga, indaga, si è trovato faccia a faccia con i re del «made in Italy», con i principi di quel «Rinascimento italiano» (definizione del settimanale Usa Time) che avevano fatto della Milano Anni Ottanta la capitale indiscussa dell'arte d'apparire. Forse eia inevitabile. Fatti e misfatti di Tangentopoli partono anche da lì, da quella Milano da bere immortalata in un famoso spot pubblicitario, dove la Prima Repubblica - senza saperlo ancora - celebrava la sua fine tra sfilate di moda e inni all'arte di apparire, tra nuovi vocaboli (yuppie) e status symbol indispensabili per il successo: il Rolex al polso, i vestiti Armani, le scarpe Tod's, i primi telefonini e le auto da duecento milioni. Chissà che effetto avrà fatto, ieri, a Mariuccia Mandelli meglio conosciuta come Krizia, Antonio Di Pietro visto da vicino? Chissà. Lui, il pm di Mani pulite, deciso a indagare se mai qualche nome d'oro del «made in Italy» abbia pagato tangenti agli uomini della Guardia di Finanza, insomma deciso ad aprire un nuovo fronte clamoroso. E loro, i Versace, i Krizia e persino un orafo raffinato come Buccellati, gli ex principi indiscussi dell'ex Rinascimento, i signori dei salotti di una Milano che fu, costretti a sfilare nei lunghi e un po' tetri corridoi di palazzo di giustizia. Da una parte Krizia la raffinata. Versace, lo stilista aggressivo. Buccellati, l'argentiere fine cesellatore. I signori di via Montenapoleone con sede sulla Quinta strada, a New York, e in Faubourg Saint Honorè, a Parigi. TutM'loro di fronte al giudice dal look tutt'altro che raffinato né firmato, camicia bianca comprata alla Stantìa, comunissimi pantaloni grigi stile travet, cravatta allentata al collo. Insomma, il contrario dello stile «made in Italy» patinato di un Armani o di un Versace. Eppure capace di infuriarsi, Di Pietro, come è successo ai tempi del processo Cusani, contro chi aveva definito quel suo gilet bordeaux lavorato a maglia che spuntava di tanto in tanto sotto la toga nera «un gilet stile tranviere». Ma scherziamo? Non scherza certo, Di Pietro. L'ultimo capitolo di Mani pulite, l'inchiesta appena aperta sulle possibili mazzette pagate alla Guardia di Finanza da alcuni signori del made in Italy, promette sviluppi clamorosi, esiti imprevedibili. Forse chiude definitivamente i conti con quella Milano da bere che fu di Craxi e Pillitteri, la Milano dove Krizia entrava di diritto nell'assemblea socialista e Trussardi comprava l'hotel Marino e forniva valigie firmate per la trasferta americana di Anna Craxi e famiglia, la Milano dei film in serie ambientati in via Montenapoleone, la Milano delle discoteche alla mo- da zeppe di modelle nate a Boston e a New York. «Anni di lusso esteriore ma di povertà interiore», come li aveva bollati Camilla Cederna. Anche se poi, dopo quel 17 febbraio del '92, il giorno dell'arresto di Mario Chiesa, giorno primo dell'era di Tangentopoli, molte cose erano cambiate anche nel quadrilatero d'oro tra via Spiga e via Montenapoleone, tra via Manzoni e corso Venezia. Colpa della crisi, certo. Ma anche l'effetto inevitabile del rullo compressore di un'inchiesta decisa a svelare antichi legami e segreti inconfessabili. Segreti di Pulcinella, già allora. Almeno a dar retta a Krizia: «Milano è arcistufa dei partiti diceva nel marzo del '91 - la cosa che mi sconcerta è vedere che ci sono ladri dappertutto». E non contenta, il 14 febbraio del '92, tre giorni prima dell'arresto di Chiesa, aggiungeva: «Tutti possediamo troppo, troppe cose, troppe case, troppi bicchieri, troppi golf. Credo sia finito un periodo sotto il segno dell'eccesso». E Giorgio Armani spiegava così la sua non sorpresa per Mani pulite: «Prima o poi doveva capitare, a Milano si respirava un'aria di condizionamento totale, eravamo tutti legati a un certo regime e anche per poter organizzare una sfilata in un dato posto dipendeva dalla volontà degli altri. Sembrava di essere prigionieri in una tela di ragno». Armando Zeni o