Le nomine Rai e l'ombra di San Patrignano

Puzzle Italia la ragione è impotente LETTERE AL GIORNALE Le nomine Rai e l'ombra di San Patrignano Biagi: curando i drogati si diventa direttori? Apprendo con sorpresa da un articolo di Alberto Staterà («Dietro la Rai l'ombra di Muccioli», La Stampa di ieri) che, pur non avendo avuto nella vita nemmeno la tessera del dopolavoro, faccio parte di una lobby, per niente segreta, che avrebbe sede a San Patrignano e che ha avuto un peso decisivo nella nomina di almeno una metà dei nuovi dirigenti della Rai. Confermo la mia stima per Vincenzo Muccioli e gli suggerisco anzi di affidare i duemila e passa giovanotti che ha in cura allo Stato italiano, così rispettoso delle leggi. Vorrei che qualcuno provasse a gestire la sua impresa. Mi considero amico della signora Letizia Moratti e ammiro quello che fa per gli ospiti di quella comunità. Inutile dire che da una ventina di anni ho realizzato i miei programmi con Franco Iseppi, e insisto nel considerarlo uno dei migliori fichi del bigoncio di viale Mazzini. Chi mi conosce sa che non ho mai avuto niente a che fare con qualunque tipo di apparato di potere. Non riesco a capire, nella mia grossolana visione dell'esistenza, che cosa leghi Vigorelli, Mimun, Angelini, Iseppi e Bevilacqua tra loro, e con Vincenzo Muccioli. Spero che il futuro mi fornisca qualche spiegazione. Povero Muccioli, adesso la sua ombra incombe anche sulle carriere dell'Ente considerato di Stato: non avrei mai immaginato che a occuparsi di drogati si poteva diventare direttori. Enzo Biagi Muccioli: ecco qua il mio «business» Io non conosco Staterà, non l'ho mai visto a San Patrignano e mi chiedo allora quali elementi abbia per giudicarmi e giudicare una realtà che ignora. Quale senso di responsabilità, quale rispetto per sparare a zero con insinuazioni e affermazioni prive di fondamento su un luogo che rappresenta un'occasione di salvezza per quasi tremila ragazzi e di speranza per le loro famiglie, senza contare tutti quelli che vi sono passati, da vent'anni a questa parte. Per Staterà, però tutto ciò non è poi così interessante, non almeno quanto l'infamarmi e infamare con me alcune persone che hanno contribuito moralmente allo sviluppo di questa comunità. Staterà si chiede: «Ma cos'è realmente San Patrignano? Un clan? Una lobby? Un'ideologia? 0 un po' di tutto questo?». Se egli avesse più rispetto per la verità e maggiore serietà professionale non avrebbe analizzato San Patrignano attraverso i cliché, le formule e i dettati ideologici di certo mondo politico e culturale, e avrebbe capito che San Patrignano non è nulla di tutto questo. Non clan, non lobby né ideologia, ma luogo dove l'uomo è aiutato a ritrovarsi attraverso una concreta solidarietà che non si nutre di parole, di pietismo, di oboli, ma di impegno, responsabilità, formazione morale e professionale. Un luogo che ospita 700 sieropositivi e 100 malati terminali, nel quale sarà inaugurato fra poco un ospedale per la cura dell'Aids, un luogo per il quale ho rinunciato alla mia vita privata e ai miei beni, e che mi assorbe al punto da non avere tempo per occuparmi della Rai o di organizzare clan o lobbies, come lascia intendere l'articolo. A Staterà però fa più comodo credere e scrivere che San Patrignano «mette insieme mercato e buoni sentimenti, business e filantropismo aristocratico». Ignora forse che il nostro programma di recupero e tutti i servizi annessi, assistenza sanitaria, legale, corsi di studio sono completamente gratuiti? Che lo Stato non pagando rette per la permanenza degli ospiti risparmia svariate decine di miliardi all'anno? E' questo quello che Staterà, con la supponenza dell'intellettuale tanto certo dei propri giudizi da non ritenere necessario uscire dal salotto di casa e verificare ciò di cui parla, chiama business? Ripeto, io non conosco Alberto Staterà, ma dal suo articclo emer- ge la figura di un uomo che è incapace di concepire le relazioni umane al di fuori dell'interesse del mercanteggio, dell'utile. Un dietrologo cinico e disincantato, convinto che tutto sia riconducibile al secondo fine, all'intrallazzo, all'imbroglio. Pronto sempre a puntare il dito su tutto, ma mai contro se stesso. Se questo è il mondo nel quale ha vissuto e si è adeguato Staterà, io non so cosa farci. Ma non pretenda di convincerci che quello è l'unico mondo e che tutti gli uomini sono fatti come è fatto lui. Se non conosce il significato dell'amicizia venga a San Patrignano. Forse si ricrederà, forse no. Ciò che conta è che potrà avvertire un clima di disponibilità disinte- ressata, la stessa che caratterizza il mio rapporto con le persone che lui ha denigrato nell'articolo. Sono certo che trarrà beneficio, perché gli uomini come lui, dietro la maschera di disinvolta saccenza che esibiscono, sono quasi sempre soli e infelici. Vincenzo Muccioli Mimun: non vibro per nessuno Con riferimento all'articolo di Alberto Staterà, tengo a precisare quanto segue: sono stato a San Patrignano una sola volta per ragioni professionali; vedo che tanto basta per essere iscritto d'ufficio al club degli amici della comunità. Benissimo, ne sono lieto. Alberto Staterà fa discendere la mia nomina a direttore del Tg2 al fatto che vibri per San Patrignano. Non vibro per nessuno e, comunque, se bastasse una visita a San Patrignano per ottenere la direzione d'un telegionale credo che Staterà sarebbe già in fila da molto tempo. Clemente Mimun Risponde Alberto Staterà: Mi spiace che Enzo Biagi non abbia apprezzato il mio articolo. Pazienza. Ma sono certo che se lo rileggesse si renderebbe conto che non viene associato ad alcuna lobby e anzi gli vengono ribaditi affetto e ammirazione, come peraltro viene riconosciuta la grande professionalità di Franco Iseppi. E' vero che non sono mai stato a San Patrignano, ma non sono per niente solo. Certo, al momento, non vedo molti motivi per stare allegro, ma se qualcuno ne vede, buon per lui. Quanto agli amici di San Patrignano non li ho affatto denigrati, ho soltanto osservato che molti di loro - sia come sia - sono arrivati ai vertici della Rai. Non so se abbiano fatto file, ma so per certo che c'è chi si è messo in fila tutta la vita. E chi in fila non ci si mette. Minoli: normali contatti in vista di «Mixer» Leggo sulla Stampa di ieri nell'articolo di Augusto Minzolini osservazioni che mi riguardano prive di qualunque fondamento e non verificate alla fonte che poi sarei io. Se richiesto avrei tranquillamente parlato dell'incontro con fon. Fini - avvenuto tra l'altro in un luogo pubblico - e avrei potuto segnalare anche altri incontri con l'on. Rocco Buttiglione, con Irene Pivetti, uno con Achille Occhetto ecc. Fanno tutti parte di una normale serie di contatti che in vista della partenza di Mixer ho con le persone che potrebbero essere protagoniste della trasmissione. Mi sembra che questo sia parte integrante del lavoro di ognuno di noi. (Non penso che la richiesta di un'intervista, che so, al presidente della Rai da parte del direttore di un giornale, se risaputa, equivale a una autocandidatura a non so quale posto in Rai). Non ho, invece, mai scritto una riga a chicchessia. Né all'onorevole Storace, che non conosco, né a Taradash né a Gianni Letta. Il contrario sarebbe facilmente dimostrabile. Giovanni Minoli Risponde Augusto Minzolini: Riporto la sintesi del testo di una lettera inviata dal direttore della Rete due Gianni Minoli all'on. Marco Taradash dopo la sua elezione a presidente della commissione parlamentare di vigilanza: «Auguri di buon lavoro in un momento così delicato per il sistema radiotelevisivo italiano...». Poi, prendendo spunto da un'intervista rilasciata dallo stesso Taradash, Minoli prosegue: «... Ho visto che con l'eccezione del servizio di Bianca Berlinguer sul Tg3 lamentavi il disinteresse generale della Rai sul sistema delle carceri italiane. Ti invio tre cassette e i relativi dattiloscritti di tre puntate che Mixer ha dedicato al problema. Come potrai constatare è un lavoro pieno di stimoli e di spunti di riflessione per altre premiato da ottimi indici di ascolto. Ti ringrazio per l'attenzione e rinnovandoti i miei più cordiali auguri ti invio un affettuoso saluto». Non credo che ci sia nulla di male in questo tentativo di accreditarsi presso personaggi che si conoscono poco. Come non c'è nulla di male se si prende l'esempio di Minoli per descrivere in un articolo un atteggiamento assunto in queste settimane dalla stragrande maggioranza dei dirigenti Rai.

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