Golon eutanasia del kibbutz di Fiamma Nirenstein

Colon/ eutanasia del kibbutz Colon/ eutanasia del kibbutz Tra i pionieri «traditi» dal loro partito CONDANNATI DALLA STORIA CGAMLA OM'E' triste il Golan, tutto crateri di basalto, alto e solitario sulla Galilea, giallo per il troppo caldo. Ogni tanto le case bianche ombreggiate di alberi dei kibbutz e i villaggi drusi, le vigne e le piantagioni di mele, ristorano l'occhio. Ma anche qui trovi ad ogni svolta un monumento di sassi spinoso di baionette, una torretta di tank spaccata, incoronata di fiori, la bocca spalancata di una casa sventrata dalle bombe, una lapide elementare che piange un figlio di vent'anni perduto. Da quando Rabin ha annunciato venerdì scorso alla nazione che la pace con la Siria è ormai sull'agenda di Assad e del governo israeliano e che il prezzo è la restituzione in tempi brevi dell'intero Golan, sulle alture prospicienti a Sud il lago di Tiberiade e la Galilea e a Nord infilate fin dentro la Siria, a Kuneitra, si consuma qui la fine di un motivo fondamentale della storia stessa dello Stato d'I- sraele: il mito del pioniere socialista che fonda il kibbutz in onore della sua ideologia, e anche però per essere un soldato alla difesa dei confini. I 13 mila residenti dei kibbutz e degli insediamenti per lo più comunitari del Golan, infatti, altro non sono, ormai, per il governo, che «settlers» non desiderati, ostacoli sulla via della pace, nemici di Rabin e di Peres. Ma, a differenza dei «settlers» della Giudea e della Samaria, la loro ispirazione ideologica non ha alcunché di religioso o di escatologico, l'80 per cento ha votato laborista, la pace per loro è un impegno fondamentale. Non solo: per lo più essi sono stati invitati espressamente dal partito ad essere soldati e contadini. La loro disperazione dunque è doppia: andarsene dal Golan, da casa loro, e sentirsi traditi dalla loro stessa parte politica socialista. Gamia domina una serie di crateri e di valli di basalto, in fondo al burrone i resti di un villaggio ebraico che fu espugnato 2 mila anni fa da Adriano dopo una terribile battaglia. Qui siedono da una settimana sotto un tendone una dozzina di uomini e di donne circondati da una folla che va e viene: sono i leader della rivolta del Golan che digiunano per protestare contro Rabin, visitati ogni giorno da intere popolazioni di «kibbutznik», e anche da uomini politici importanti, quasi sempre di sinistra. Il gruppo è come una foto d'altri tempi: giovani uomini nel vento caldo con il «cova tembel», il cappelluccio tipico del kibbutz, coi pantaloncini corti e abiti elementari, il disprezzo ostentato per qualsiasi forma di consumismo. Le donne sono prive di trucco e di civetteria, i vecchi portano la camicia bianca aperta sul collo e le loro criniere sono candide. Digiuna anche il primo dei veterani laboristi che fondò il kibbutz Merom Golan, Yehuda Arel: «Il partito stesso ci chiese di costruire qua, con i nostri petti, un baluardo di difesa del Paese e dell'umanesimo ebraico. Ci hanno chiesto la nostra stessa vita, e adesso ci devono rispetto». Il Golan era parte della Siria fino al 1967, e fu oggetto di una battaglia terribile anche durante la Guerra del Kippur nel 1973, quando all'improvviso l'esercito siriano sferrò un attacco che portò i suoi tank fino all'interno di Israele, mentre le truppe egiziane sfondavano nel Sinai. I due eserciti nemici rompevano per sempre il mito dell'invulnerabilità israeliana; i servizi segreti non erano stati in grado di prevedere l'attacco, i morti e i feriti israeliani coprirono il campo di battaglia. Solo atti di eroismo individuale e disperato impedirono ad Assad di marciare fin dentro la Galilea e ancora più avanti nel cuore di Israele. Avigdor Kalahani, un deputato del partito di Rabin, fu uno di quelli che fermò i siriani battendosi all'ultimo sangue coi suoi pochissi¬ mi uomini: oggi è uno dei leader nella lotta per il Golan: «Non ci vengano a dire che il Golan è una zona di conquista come la Giudea e la Samaria. Qui non ci sono palestinesi, ci sono solo ebrei e drusi che hanno sempre convissuto in ottima armonia. Non c'è di fronte a noi un popolo che rivendica una terra, ma solo il peggiore dittatore del Medio Oriente». Michael Landsberg, uno dei leader del movimento, 34 anni, membro del kibbutz Ortal, per niente fiaccato dallo sciopero della fame, ma anzi, col piglio battagliero ed allegro imparato nel movimento giovanile dei kibbutz ha una sua storia tipica da raccontare: «Nel '76 il partito laborista chiese al mio gruppo, un gruppo di scout di sinistra di Haifa, di partire tutti insieme per il Nord del Golan e stabilirvi un nuovo kibbutz. E' stata un'avventura meravigliosa. Oggi siamo diventati 250, coltiviamo mele e viti, abbiamo 100 bambini. L'80 per cento dei kibbutznik vota per il Meretz, il partito radicale. Nessuno di noi aveva storie religiose per la testa, nessuno si sentiva unto dal Cielo per la preservazione della terra dei Padri. Volevamo invece, vogliamo, un'Israele sicura, democratica ed ebraica. Occupare la Giudea e la Samaria vuol dire contravvenire a tutti e tre questi principi. Per il Golan è esattamente l'opposto. Io sono favorevole all'autodeterminazione dei palestinesi... Noi qui non opprimiamo nessuno: è vero che prima del '67 esistevano alcuni villaggi siriani nella zona. Ma anche gli ebrei abitavano a Damasco, e a Tunisi, e in Libia, e in tutto il mondo arabo. Oggi sono qua, oppure sono stati uccisi. Così è la storia, così la guerra... Acqua passata». Rabin, il grande amico di un tempo, adesso è necessariamente divenuto la prima bestia nera, il Traditore: «E' corso così in fretta verso Assad, perché il premio Nobel è vicino», sorridono melanconici nel kibbutz El-Rom. E' il più a Nord di tutto il Golan: secondo i piani di restituzione graduale ma veloce (fino a tre anni di tempo) annunciato da Rabin, dovrebbe essere il primo ad essere consegnato ai siriani. I 350 membri del kibbutz, che oltre alle attività tradizionali hanno anche un centro di traduzione di sottotitoli cinematografici, sono in stato di choc: per esempio Yachov e Shoshana Asraf, lui ingegnere, lei una maestra d'asilo con tre figli, raccontano che i bambini non dormono più, la gente piange mentre cammina, mentre mangia e mentre lavora nei campi. Non finiscono più di magnificare la qualità della vita, la loro lealtà al governo, la magnifica amicizia che regna fra i membri della piccola comunità socialista: «Questo è un kibbutz vero! Ci sono professori di università che la sera fanno corsi ai membri del kibbutz di letteratura e poesia, musicisti, attori, scienziati. Siamo tutti l'uno per l'altro, le nostre cose sono in comune, guardate che scuola, che sala da pranzo, che belle casette modeste ma razionali siamo riusciti a costruirci. Dove ci vogliono sbattere? Questa è casa nostra da vent'anni. Che cosa salta in testa a Rabin? Non ci muoveremo mai di qua». Dunque cosa accadrà? I quasi 13 mila «settlers» del Golan si aspettano, sembrerebbe, una sorta di premio della storia per la loro buona fede e la loro buona volontà, vogliono seguitare ad usare le buone maniere per incarnare ora e sempre l'anima delle origini di Israele, il soldato-intellettualecontadino pieno di ottimi sentimenti. «Speriamo che ci lascino ogni tanto visitare El-Rom», ha scritto una bambina di 6 anni su un muro del kibbutz. E' il pensiero più, disperato ma in fondo più realistico che abbiamo trovato nel Golan, ormai ai margini di un Paese che corre veloce sulle rotaie del processo di pace. Quello è il futuro, il «cova tembel» non abita più qui. Fiamma Nirenstein