Retate di cristiani in Arabia di Luigi Grassia

Retate di cristiani in Arabia Giro di vite della polizia religiosa, nel mirino gli immigrati filippini Retate di cristiani in Arabia Colpevoli di dir messa, presi a decine In Arabia Saudita la messa porta dritto in galera. Retate di cristiani sono in corso in tutto il Paese. I culti non islamici sono fuori legge da sempre, ma ieri un istituto internazionale che si occupa delle Chiese perseguitate - l'associazione Porte Aperte - ha denunciato da Strasburgo un giro di vite di cui sono rimasti vittime decine di immigrati, soprattutto filippini. Le pene che rischiano sono pesanti: vanno dall'espulsione al carcere, e persino all'esecuzione (due anni fa un sacerdote fu addirittura condannato a morte, benché abbia poi ottenuto la grazia). Almeno otto persone, arrestate il 26 agosto, sono tuttora in mano alle autorità e di loro, denuncia Porte Aperte, non si sa più nulla perché non hanno nemmeno un avvocato. Altri episodi del genere sono avvenuti nei giorni seguenti. Su centinaia di migliaia di fedeli cristiani in Arabia è scesa una coltre di paura. Non è che in passato le cose siano andate molto meglio. E' stato Maometto in persona, dice la tradizione, ad ammonire in punto di morte che tutta la Penisola Arabica è una grande moschea nella quale non dovrà mai essere tollerato alcun altro culto. In molti i Paesi musulmani un missionario che convertisse un islamico al cristianesimo commetterebbe reato di proselitismo e il convertito sarebbe un apostata (in Sudan ci sono state di recente crocifissioni per questo). Ma solo in Arabia Saudita i doganieri strappano catenine, crocifissi e breviari ai viaggiatori in arrivo, e persino a quelli che salgono su un aereo della compagnia di bandiera Saudia. In questa situazione, in Arabia non può esserci che una Chiesa delle catacombe. Padre Borrmans, che insegna al Pontificio istituto di studi arabi e islamici dopo una lunga attività missionaria, racconta di certi margini di libertà che almeno nel recente passato era possibile ritagliarsi per praticare i riti cristiani. Le autorità a volte chiudono un occhio, lasciano dir messa in segreto purché non si ostenti la propria fede. Però anche una funzione privata in una casa o una camera d'albergo con due-tre persone resta un reato, e se un funzionario di polizia zelante, avvertito da un Re Fahd dell'Arabia Saudita cameriere indiscreto, decide di intervenire, ci si trova nei guai. Certo anche per la «moutawa'in», la polizia religiosa, è un problema controllare trecentomila immigrati filippini e altrettanti cristiani di altre nazionalità. Per cui una Chiesa clandestina riesce a sopravvivere anche in Arabia. Padre Borrmans ritiene però che la discrezione sia doverosa; una riunione di 50 fedeli come quella del 26 agosto, che ha dato il via alla repressione di queste settimane, è senz'altro impru¬ dente. Il religioso tiene inoltre a ribadire la posizione ufficiale della Chiesa cattolica in materia di dialogo con l'Islam: nel rivendicare i diritti della propria fede, i cristiani non devono assumere verso i musulmani un atteggimento di sfida. «Agitare un drappo rosso davanti al toro - dice - non porta ad alcun risultato». Questa opinione, che è quella del Papa, non registra l'unanimità dei consensi nel mondo cattolico. Nel suo libro-intervista a Giovanni Paolo II, Vittorio Messori ha espresso francamente al Pontefice la sua perplessità per l'atteggiamento in ogni occasione conciliante che il Vaticano tiene verso il mondo islamico. «A Roma c'è una moschea, e in tutta l'Arabia non c'è una chiesa - osserva lo scrittore -. E quella moschea gigantesca, costruita col denaro saudita, è la più grande d'Europa, eppure la comunità islamica romana non è la più numerosa del continente. Mi sembra che la sua funzione non sia quella di fornire un servizio a dei credenti, ma piuttosto di sfidare il cristianesimo in uno dei sui luoghi più sacri». Sfida da una parte dunque, costante ricerca di dialogo dall'altra. «Ma alla lunga, il dialogo non può esistere da una parte sola». Sulla stessa lunghezza d'onda di Messori è anche Gianni Baget-Bozzo: «Se il Papa - dice denunciasse giorno per giorno gli atti di intolleranza dell'Islam, credo che questo finirebbe per avere un peso, perché anche nei Paesi musulmani esiste un'opinione pubblica. Purtroppo, nella Chiesa si è imposta l'opinione secondo cui l'altro ha sempre ragione e va sempre e comunque blandito». Luigi Grassia

Persone citate: Borrmans, Gianni Baget-bozzo, Giovanni Paolo Ii, Messori, Re Fahd, Vittorio Messori