Con Antigone basta la parola di Masolino D'amico

Con Antigone basta la parola Sofocle all'Olimpico di Vicenza con la regia di Theodoros Terzopoulos Con Antigone basta la parola La Ronzi e Micol tra immobilità ed emozione VICENZA. L'Olimpico come si sa è un unicum, un teatro classico reinventato da un geniale architetto per un'accademia italiana tardocinquecentesca: magico capolavoro, spazio sublime, ma con la sua scena fissa e tutt'altro che neutra e con il suo palcoscenico lunghissimo e poco profondo, del tutto privo di elasticità. Da quando è stato rimesso in condizioni di funzionare, ci si domanda cosa rappresentarci. Oltretutto - siamo in Italia, dove gli spettacoli per ammortizzarsi le spese debbono viaggiare - ai responsabili si chiede la quadratura del cerchio, ossia di concepire impianti validi qui, ma poi trasferibili anche altrove, in condizioni affatto diverse. Theodoros Terzopoulos, illustre regista ellenico chiamato con brillante iniziativa a proporre qualcosa di nuovo con una «Antigone» di Sofocle, è uscito dall'impasse alla maniera di Alessandro davanti al nodo gor¬ diano - ossia, in maniera spiccia e brutale, diciamo pure infischiandosene. Egli ha infatti tenuto nella semioscurità il solenne e soffocante fondale, e ha ordinato allo scenografo Giorgios Patsas una vasta piattaforma circolare bianca (ma di un bianco volgare, da stabilimento balneare moderno, ostentatamente non armonizzato con i delicati grigi delle sculture e delle architetture circostanti), seminclinata e protesa in avanti fino a inghiottire i due terzi della piccola platea. Qui agiscono gli undici attori, tutti sempre presenti come negli ultimi allestimenti di Ingmar Bergman, al più limitandosi a retrocedere un po' nella zona buia dentro la prospettiva dello Scamozzi. Essi creano anche una sorta di scenografia, disposti strategicamente sulla piattaforma e quasi immobili sul posto, ma assumendo pose significative, per esempio contorsioni dolorose quasi a commento di quanto si ascolta; mentre coloro che parlano lo fanno sempre senza guardarsi fra loro, rivolti verso l'alto, a un punto dietro di noi, un po' come gli annunciatori televisivi quando leggono il «gobbo». Non si pensi tuttavia né a una stasi tipo lettura, né a una rinuncia alle sfumature interpretative. Pur nella relativa immobilità, infatti (al massimo vengono avanti lentamente, a passettini), gli attori sono carichi di energia, che sprigionano da tutto il corpo. E la declamazione, sempre sorretta da una bella sonorità, serve, oltre che a porgere gli argomenti, a caratterizzare il personaggio. Questa Antigone (Galatea Ranzi) è una fanatica: vuole seppellire il fratello, costi quel che costi, e basta; quando da ultimo apprendiamo che si è impiccata, mentre il suo punto di vista aveva trionfato, sia pure tardivamente, non ci sorprendiamo. Andrà in paradiso, come la Pi- vetti, perché senza dubbio incrollabilmente convinta di quello che fa: ma la sua persuasione è manichea e non ascolta i motivi degli altri. Creonte, invece (uno splendido Pino Micol), è un mediocre, con la prosopopea di chi «pensa» di essere nel giusto, in quanto così gli dicono i sondaggi; nel braccio di ferro con l'irriducibile perde tutto, perché il suo orizzonte non prevede l'assenza di razionalità. Il conflitto è dunque fra potere mondano e sete di assoluto. Ci troviamo, suggeriscono i co- stumi (sempre di Patsas), poveri e quasi monocromi - solo la tutina nera del sovrano presenta delle guarnizioni rosse - in una società arcaica, e uno dei due elementi che costituiscono il coro (l'attore Tassos Dimas) ha l'incarico di farci ascoltare la voce dell'antichità, parlando in greco e anche, in una lunga sequenza iniziale, emettendo con la bocca suoni ritmici che creano con niente un senso di suspense e come di incantesimo. La sua intensità aiuta quella dei vocalisti che poi porgono la traduzione di Filippo Maria Pontani, non priva di qualche tortuosità. Benedetta Laura è Ismene, Marco Brancato è Tiresia, Vincenzo Bocciarelli è il primo nunzio, Maximilian Nisi è Emone: tutti sugli scudi, come, si sarà capito, Galatea Ranzi, terribile per unidirezionalità. Due ore senza intervallo, e grande e insolita emozione nel pubblico. Masolino d'Amico Galatea Ranzi in un momento dell'«Antigone» spettacolo con I I attori sempre in scena e per lo più immobili come elementi decorativi

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