«l'Italia non è Sagunto»

I partiti compatti: le leggi le facciamo noi in Parlamento I partiti compatti: le leggi le facciamo noi in Parlamento «1/Italia non è Sagunto» Fini prende le distanze da Di Pietro ROMA. Questa volta l'ultimo intervento del magistrato Di Pietro («subito una soluzione per Tangentopoli, altrimenti, come Sagunto, il Paese viene espugnato») non è piaciuto neanche a Gianfranco Fini, coordinatore di Alleanza Nazionale. Ed è una sorpresa, perché missini e An erano parsi i più favorevoli alla soluzione legislativa proposta dalla squadra di «Mani Pulite», tanto che si era detto che l'on. La Russa era stato tra i consiglieri di Di Pietro e che An pensava di portare Di Pietro al governo. Invece, contrordine camerati. «L'Italia non corre il rischio di fare la fine di Sagunto, la città espugnata da Annibale» sdrammatizza Fini al termine dell'incontro col popolare Buttiglione. Ma anche da altri fronti salgono perplessità varie. Ora basta, i magistrati facciano il loro mestiere che a far le leggi ci pensa il Parlamento, replicano a Di Pietro, con toni più o meno infastiditi, un po' tutti. Certo, il dietro-front di Fini è il fatto più clamoroso. «In materie come questa la fretta sarebbe cattiva consigliera» replica a Di Pietro che aveva chiesto «subito una soluzione». «Non concordo sul rischio imminente dei barbari alle porte. Il Parlamento, quando lo deciderà, discuterà con tutta tranquillità del caso. Se sono bene informato il Senato metterà in discussione i provvedimenti sulla Giustizia quando si awierà la Finanziaria alla Camera. Qui non si sta discutendo del sesso degli angeli ma di argomenti la consapevolezza della cui serietà è ovunque, certo non solamente nella Procura di Milano». Se voleva stendere solo una cortina fumogena sulla vociferata simpatia nutrita da An per Di Pietro (e viceversa), Fini di certo ha esagerato. I toni sarcastici e duri si giustificano solo se voleva realmente dare un altolà alle iniziative «legislative» della squadra di «Mani Pulite». E poi, il vocìo attorno all'ipotesi di un rimpasto del governo sembra acquietato, così non pare il momento per nessuno di gettare in campo la candidatura di Di Pietro ad un qualche incarico politico più o meno prestigioso. «Di Pietro è il Coppi della giustizia, ma se cambia sport può perdere» lo ammonisce da sinistra il senatore progressista ed ex magistrato, Raffaele Bertoni. E non è solo Fini a invitare i magistrati di Milano a stare al loro posto. Tra i suoi lo fa, forse in modo più garbato, anche Ignazio La Russa, vicepresidente della Camera, considerato un «consigliere» della squadra di Mani Pulite. Meno male che la proposta d> Di Pietro, Davigo e Colombo è stata presentata in un'aula universitaria, «invece di inviare il progetto a tutti i parlamentari nelle loro caselle, come in un primo tempo era stato pensato» nota con sollievo La Russa. «Ora, però, dobbiamo spostare il dibattito dalla polemica ai contenuti, ed è qui che il Parlamento giocherà il suo ruolo insostituibile». E pare proprio la chisura di un dialogo. A sinistra, stessa aria di chiusura di discorso. «Se i magistrati del pool hanno detto quello che hanno detto, evidentemente hanno buoni motivi per farlo. Hanno segnalato la gravità della situazione ed indicato una via di uscita - rileva l'on. Luciano Violante, del pds e vicepresidente della Camera -. Noi abbiamo il dovere di intervenire, anche se non necessariamente sulla stessa strada indicata da Di Pietro. Ora, però, i giudici hanno fatto quello che hanno fatto e la parola spetta al Parlamento». Più caustico, il sen. Bertoni: «L'Italia non possono salvarla i giudici e la loro proposta è servita soltanto ad allungare le chiacchiere e i dibattiti. I giudici non hanno' né il compito né la possibilità di liberare l'Italia». Dopo l'iniziale sbandamento alla prima sortita di Di Pietro, il potere legislativo ora pare reagire in modo compatto invitando i magistrati a tornare nel loro campo e al loro mestiere e lasciando al Parlamento l'onere di fare le leggi. «Qui si crea una situazione impropria perché un giudice cui si chiede l'applicazione della legge, diventa giudice delle leggi medesime» conclude Pierluigi Petrini, capo dei deputati della Lega. Alla fine, le uniche voci accomodanti sono quelle del sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Gianni Letta («sullo spirito e sulle finalità che muovono di Pietro e sulla diagnosi che fa della situazione mi sembra di poter concordare», e del segretario del Partito popolare, Buttiglione, secondo il quale l'intervento di Di Pietro è utile perché «sottolinea l'eccezionalità e l'urgenza della situazione che ci è davanti». [a. r.l Il guardasigilli Alfredo Biondi

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