Quando il «cenacolo laico» era Pago della bilancia di Pierluigi Battista

Quando il «cenacolo laico» era Pago della bilancia Quando il «cenacolo laico» era Pago della bilancia mi mmmmm DA UGO A GIORGIO E ROMA così se ne vanno sbattendo la porta. Strappano senza misericordia quel che resta dell'Edera. Abbandonano la creatura di La Malfa Ugo lasciando La Malfa Giorgio ad arrabbattarsi solitario nella casa oramai vuota di un partito ridotto al lumicino. Trascinati via dal Gran Borghese, chiudono per sempre col cenacolo laico che si radunava attorno al partito repubblicano. La minoranza illuminata, la «terza forza» dei pochi ma buoni, i portabandiera della severità e del rigore... Tutto finito. Il club repubblicano si disperde nella diaspora. Se ne va Oscar Mammì, la pipa più famosa del partito, da taluni ribattezzato «il Mitterrand di Trastevere». Se ne va Adolfo Battaglia detto Dodo. E Giorgio Bogi il mite. E Libero Gualtieri. E Giovanni Ferrara, che pochi anni orsono ha tessuto l'«apologia dell'uomo laico», che poi sarebbe uno spirito forte che mica si abbandona ai sogni e alle illusioni come tutti gli altri uomini, che affronta la finitezza della vita con stoica determinazione. Una specie rarissima e che tale vuole apparire: accigliata, pensosa, spigolosa. Austera e colta come Bruno Visentini, uno dei padri del partito che ieri ha brutalmente abbandonato La Malfa jr., il manager umanista che con il suo profilo ha saputo incarnare l'anima no-elitaria repubblicani: quella che si immagina più prossima ai gangli vitali del potere «forte», eterno incubo di chi si sente escluso dalle stanze che contano davvero. Anima destinata a suscitare poche passioni attorno a sé. «Uno con l'aria ingrugnita dell'aristocratico che vorrebbe camminare a mezz'aria per non pestare il terreno dei comuni mortali», scriveva di Visentini un sarcastico Massimo L. Salvador! Un politico col disprezzo per la politica del quale Indro Montanelli indovinò la molla segreta: «uno per tutti, tutti per me». Temutissimo da Craxi che individuava in lui il perfetto prototipo della «nuova destra». Detestatissimo dagli avversari che lo gratificavano con aggettivi non propriamente simpatizzanti: «altero», «scostante», «spocchioso», «presuntuoso». L'anima repubblicana che mal combaciava con quella, sanguigna e passionale, di La Malfa padre (che la politica non la disprezzava affatto) e fatalmente con quella, insieme progettuale e nervosa, di La Malfa figlio. Già, Giorgio La Malfa. Il segretario del pri si spendeva come un ossesso per trascinare il partito fuori dalle sabbie mobili del pentapartito e cosa faceva il Gran Borghese amante di Mozart e di Wagner in una pausa del congresso di Massa Carrara? Raccontava ai vecchi repubblicani di quel bambino di nome Giorgio che nella casa del padre Ugo «si aggrappava alle tende e le tirava giù. Un bambino male¬ ducato». Smentite, rettifiche, drammi, crucci e musi lunghi. Ma alla fine prevalse la sensazione che, avesse o no pronunciato quelle parole, in quel modo Visentini aveva messo per sempre la parola fine con il giovane leader repubblicano. Il quale era stato già abbandonato al suo destino da Susanna Agnelli. E già doveva vedersela con gli umori tempestosi di Giovanni Spadolini, il volto più popolare della rinomata pattuglia repubblicana. Assieme a Visentini e La Malfa l'altro vertice di un triangolo perennemente sull'orlo del litigio e della reciproca diffidenza. L'esplosione che avrebbe sconquassato quel delicato e instabile equilibrio sopraggiunse qualche tempo dopo. Il cattivo odore di Tangentopoli lambisce e in taluni casi colpisce in pieno l'Edera. La Malfa non fa in tempo a portare il «partito degli onesti» all'approdo di un'Alleanza democratica che la sua leadership viene travolta. Mammì si viene a trovare nella spiacevole condizione di difendersi dal ricordo di una legge che porta il suo nome. Battaglia annaspa. Bogi subentra al posto di La Malfa ma con l'ossessione che ad ogni momento qualcuno si ricordi che il tempo è scaduto. Ayala, dopo aver preso il tram repubblicano, prosegue per conto suo. Spadolini diventa a tutti gli effetti un'istituzione super partes: poi arrivano i «nuovi», e il non riconoscimento di quel ruolo suonerà come un'offesa mortale al presidente del Senato non riconfermato per un voto. La Malfa tentenna, non s'arrende all'evidenza di un declino del suo ruolo politico, si gioca persino la solidarietà degli uomini a lui più vicini, opta per il Centro. Visentini fa un'altra scelta, lui il Gran Borghese, schierandosi con Bertinotti pur di contrastare l'avanzata dei «nuovi barbari». Il cenacolo si scioglie. L'aristocrazia laica se ne va sbattendo la porta. E l'Edera è sempre più appassita. Pierluigi Battista

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