L'accusa conduzione autoritaria e personale

Visentini, Mammì, Bogi, Ferrara, Battaglia: serve un nuovo raggruppamento Visentini, Mammì, Bogi, Ferrara, Battaglia: serve un nuovo raggruppamento Fugo dal pri, La Malfa resta solo L'accusa: conduzione autoritaria e personale ROMA. Cattivo profeta, Giorgio La Malfa. Ancora poche settimane fa era convinto di riuscire a riagganciare gli esponenti del pri che gli avevano «disobbedito» presentandosi ille elezioni con Alleanza democraiica. E confidava ai fedelissima 'a sue speranze che vedeva già farsi certezze. Ma ieri l'amara disillusione: ad uno ad uno quasi tutti i repubblicani di pese gli hanno detto addio e hanno definitivamente lasciato il partito. E così nel giro di una giornata La Malfa ha perso tre quarti dell'edera. E a questo punto c'è da chiedersi se esiste ancora il pri, dopo che Bruno Visentini, Libero Gualtieri, Giorgio Bogi, Giovanni Ferrara, Adolfo Battaglia, Oscar Mammì e Stefano Passigli hanno sbattuto la porta in faccia al segretario. A dare il via all'esodo sono stati Visentini, Gualtieri e Bogi, che hanno spiegato le ragioni del loro gesto in una lettera. I tre usano parole pesanti. Accusano La Malfa di «conduzione personale ed autoritaria del partito». E aggiungono: «Riteniamo che il pri si sia esposto irrimediabilmente alla scomparsa», come il psi e il psdi. E dopo la presa di posizione pubblica di Visentini e company, le agenzie di stampa vengono inondate per tutta la giornata di lettere di dimissioni degli altri repubblicani in dissenso con La Malfa. Di tutti quelli che quando il segretario decise di allearsi con Segni alle elezioni politiche lo criticarono, preferendogli la «gioiosa macchina da guerra» di Achille Occhetto. Ma dicono addio al pri anche quelli che per motivi personali, più che politici, hanno rotto con il leader dell'edera. E' il caso, per esempio, di Battaglia e Mammì. A La Malfa, dunque, non resta che accettare l'inevitabile scissione. E pensare che il segretario del pri, prima delle elezioni politiche, aveva minac- ciato di buttar fuori i compagni di partito che si erano schierati a sinistra. Li aveva deferiti ai probiviri, ma poi aveva preferito lasciar correre. Però adesso, ironia della sorte, i dissenzienti se ne vanno da soli. Ed è con una buona dose di malcelata stizza che il segretario repubblicano saluta i transfughi: «E' doloroso - osserva il capo dell'edera - prendere atto che amici che molto hanno dato al partito (da cui molto peraltro hanno ricevuto), rinunzino alla battaglia politica perché ritengono il pri superato». Quindi, il sussulto d'orgoglio finale: «Il partito di Mazzini e di Cattaneo - dice La Malfa - non ha concluso la sua storia e ha molto da dare al Paese, e vi sono energie sufficienti perché esso continui il suo cammino». La reazione del segretario repubblicano è comprensibile. Ma è assai arduo immaginare che per il pri - orfano dei suoi padri nobili - possa esserci ancora un futuro politico. Tanto più che gli scissionisti sembrano intenzionati a dare del filo da torcere a La Malfa. Avverte infatti Gualtieri: «L'edera siamo noi, e non escludo che si possa dare vita ad un nuovo raggruppamento politico, che potrebbe chiamarsi democrazia repubblicana». Immediata la replica di La Malfa: «La situazione sta assumendo toni grotteschi: ognuno è libero di andarsene dove più gli pare, ma certo nessuno può credere di scippare simboli e tradizioni a cui ha già voltato da tempo le spalle: il simbolo dell'edera appartiene al partito repubblicano e a chi in esso lo ha difeso». Triste fine, dunque, quella del pri, accompagnata da recriminazioni, strascichi polemici, liti sulla divisione delle spoglie di un partito che rischia l'estinzione e di un elettorato che in gran parte ha già abbandonato l'edera il 27 marzo scorso. [m. t. m.] A lato, Bruno Visentini. Sotto, Giorgio La Malfa e Giorgio Bogi

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