Cubassi tegola una casa al Leoncavallo

Ieri mattina l'irruzione, ma i poliziotti hanno trovato l'ex stamperia di via Watteau vuota Ieri mattina l'irruzione, ma i poliziotti hanno trovato l'ex stamperia di via Watteau vuota Cubassi tegola una casa al Leoncavallo Accordo dopo l'ordine di sgombero MELANO. Non chiamateli più occupanti, adesso sono ospiti. E in futuro saranno inquilini. Dopo una giornata di dentrofuori-dentro dall'ex stamperia di via Watteau i giovani del centro sociale Leoncavallo ottengono una insperata vittoria: la proprietà (immobiliare Brioschi) ha deciso di lasciare tutta l'area (6 mila metri quadrati, valore 70 miliardi) agli ex occupanti. Tutto si svolge in pochi minuti, ma la sceneggiatura è stata scritta altrove. Alle 8 venti poliziotti, caschi, manganelli, lacrimogeni, entrano nell'ex stamperia. E' lo sgombero, promesso dal questore Carmineo, voluto, fortissimamente voluto dal sindaco Formentini. Ma dentro all'ex fabbrica di cemento e vetri rotti non c'è nessuno ad aspettare. «Ce ne siamo andati di notte per non cadere nella trappola di chi voleva una soluzione cruenta», spiegano i leoncavallini. Niente sgombero violento, «Leoncavallo resiste», sassi e (forse) sangue. Un lavoro pulito, con 'a polizia che riconsegna lo stabile alla proprietà. Ma ancora non è finita. Entra un geometra dell'immobiliare del gruppo Cabassi, visiona, perlustra, fa i conti dei danni, e poi riconsegna l'immobile ai «legittimi occupanti». E parte il coro. Il sindaco Formentini, che aveva promesso fuoco e fiamme, adesso fa un salto (mortale) e dice: «Sono pronto al dialogo. Non ho mai detto che non si dovesse dialogare. Io non dialogo sotto la spada di Damocle dell'illegalità». Il questore Marcello Carmineo, che aveva annunciato sgomberi ovunque, ora se la cava con un «Questa è una situazione che non mi compete. Voglio rimanerne fuori». Anche dalle opposizioni arrivano dichiarazioni ottimistiche. «Hanno vinto la ragione e il dialogo», dice Rifondazione Comunista e il pds «guarda con soddisfazione alla soluzione che sembra essersi trovata». Però nessuno spiega come sia possibile che un'area industriale di quel valore possa essere «regalata» ai leoncavallini. «Non ci sono state trattative che ci coinvolgono», smentiscono gli ex occupanti. «Questo è il risultato dell'ingresso in scena di nuovi protagonisti che si sono fatti parte attiva per disinnescare la que¬ stione ordine pubblico», rivela Umberto Gay, consigliere comunale di Rifondazione Comunista, da oltre un anno «gran mediatore» della vicenda Leoncavallo. A gestire per la proprietà tutta la vicenda - si sa, ma non si dice - è Marco Cabassi. E' lui a convincere suo fratello Luca, amministratore delegato della Brioschi, che anni di polemiche, scontri, risse verbali e non, alla lunga non pagano. Per sgomberare via Leoncavallo, area di proprietà di Carlo Cabassi, zio dei due giovani, ci sono voluti 18 anni. E una montagna di grane. Meglio cedere qui, e andare avanti là. E' così? «Nessuna trattativa», ripetono dal centro, rifiorito di spray multicolor, bandiere rosse, e mamma Carmen con la scopa che fa bello il cortile. Marietto, giubbotto jeans e mente politica, taglia corto: «E' un segnale che si può vincere. Dicono che questa cosa serva a far cadere Formentini? A noi non interessa. Per noi questo sarà un autunno molto divertente». Tutti contenti, allora? «Maroni ridacci legalità e sicurezza», scrivono su uno striscione gli abitanti di Greco, cento metri più in là, che non vogliono quella pre¬ senza scomoda nel loro quartiere. E si incontrano con quelli del Leoncavallo. Dialogano, litigano, e la polizia per una volta sta a guardare. «Greco libero, Greco libero», gridano gli abitanti mentre fanno un blocco stradale. In un gioco delle parti ribaltato volantinano pure loro: «Siamo stufi di tutto questo, tra topi che passeggiano indisturbati, e in più malattie tipo colera, Tbc, epatiti...». «E' un degrado, è un degrado...», dice sconsolata una signora bionda, striscione in mano. Donato Parisi, consigliere di zona per i popolari, rincara la dose: «Ovunque sono stati questi ragazzi non hanno fatto opere pie». Via al misto di paura, diffidenza e intolleranza, fino al fatidico: «Io non li ho visti, ma so che c'è la droga». I ragazzi del Leoncavallo ribattono, spiegano, si presentano. Sandrone, uno dei portavoce del centro sociale, pensa al futuro, a quel «regalo» insperato. E considera: «Certo che se non ci fossero stati gli scontri di sabato, tutto questo non sarebbe successo». Fabio Potetti