Sono i topi a indicarci le sostanze cancerogene

SPERIMENTAZIONE IN VIVO SPERIMENTAZIONE IN VIVO Sono i topi a indicarci le sostanze cancerogene Cè un rischio concreto: che sia l'uomo a diventare la vera cavia SU Tuttoscienze del 31 agosto Marco Francone della Lega Antivivisezione nega che si possa «trarre conclusioni per la salute umana (da) test animali» (un purista farebbe notare che l'animalità connota i senzienti studiati e non lo studio stesso). Ciò in quanto trent'anni fa il famoso tossicologo Zbinden avrebbe affermato che «la maggior parte delle reazioni negative che si verificano nell'uomo non possono essere dimostrate (in) ... esperimenti di tossicità cronica». Tra le sostanze o miscele che possono essere presenti nell'ambiente di lavoro, la Commissione consultiva tossicologica nazionale (Cctn) del ministero della Sanità ne ha elencate 12 cancerogene per l'uomo e 94 che si sono dimostrate, in modo convincente, cancerogene in prove a lungo termine su animali di laboratorio. Tutte le prime sono anche cancerogene molto poco della sperimentazione sull'uomo, sulla sua provata utilità (se controllata adeguatamente dalla società) e sugli utilizzi aberranti che ne sono stati fatti, non molto tempo fa. Marco Francone si compiace infine per l'entrata in vigore della legge 413/93, che consente, da parte di tecnici e studenti, l'obiezione di coscienza alla sperimentazione su animali. Non dubito che il legislatore si sia previamente assicurato che alla fine del secolo ventesimo la formazione di operatori sanitari può prescindere da ogni sperimentazione su animali e che il diritto concesso ai tecnici non si tradurrà in alcuna discriminazione nelle assunzioni e nel progresso in carriera. lavoro o di vita. Tanto più che finora non esistono prove in vitro i cui risultati abbiano lo stesso valore predittivo - per la stima dei rischi cancerogeni per la specie umana - di quelli degli esperimenti in vivo. Un diffuso motivo di freddezza per le prove a lungo termine in vivo, soprattutto da parte industriale, è il loro costo e la loro durata (circa, rispettivamente, un milione di dollari e 3-4 anni). Non effettuarle significherebbe aspettare che l'evidenza di cancerogenicità emerga da osservazioni sugli esposti, cosa che forse non è del tutto etica. A mio avviso, il rifiuto delle prove in vivo è incompatibile con un ragionevole controllo dei rischi cancerogeni ambientali. Inoltre, come ogni forma di fondamentalismo, un esasperato «antivivisezionismo» distoglie l'attenzione da altri problemi. Rispetto alle prove sui topi, nella nostra società, si parla per animali di laboratorio, mentre per nessuna delle seconde è stato possibile identificare gruppi di esposti sufficientemente ampi da renderli oggetto di informativi studi epidemiologici. La Cctn ha quindi buoni motivi per precisare che, a fini preventivi, non debba essere fatta una distinzione tra i «buoni» cancerogeni sperimentali e i cancerogeni per l'uomo. Indicazioni dello stesso senso sono state date dall'Agenzia internazionale per le ricerche sul cancro, dalla Comunità europea e dal National toxicology program del governo federale Usa. Se la Lega Antivivisezione ha un'opinione diversa, dovrebbe documentarla in modo articolato. Immagino inoltre che Marco Francone si renda conto delle conseguenze che la negazione di validità degli esperimenti a lungo termine avrebbe per il controllo dell'ambiente di Benedetto Terracini Direttore del dipartimento di Scienze biomediche Università di Torino

Persone citate: Benedetto Terracini, Marco Francone, Zbinden

Luoghi citati: Torino, Usa