CINEMA PRIMO AMORE di Lietta Tornabuoni
CINEMA PRIMO AMORE CINEMA PRIMO AMORE Ricordando Paolo Valmarana scomparso 10 anni fa Racconti e pagine inedite del critico-produttore Paolo Valmarana morì 10 anni fa, il 13 settembre 1984. Per ricordare il critico cinematografico, la casa editrice Sipiel di Milano ristampa in volume, col titolo «Amare il cinema nel 1952», racconti, pagine letterarie edite e inedite (pp. 103, L. 18.000). Valmarana, protagonista della cultura cattolica tra gli Anni 60 e 80, prima assistente alla regia di Blasetti, fu poi giornalista, dirigente Rai, produttore e committente per registi come Petri e Olmi, Fellini e Bertolucci, collaboratore della Biennale veneziana. Pubblichiamo in anteprima l'introduzione di Lietta Tornabuoni al volume «Amare il cinema nel 1952». PAOLO Valmarana morì dieci anni fa alla macchina per scrivere. Una mattina a Roma, era autunno, era appena finito quel precario paradiso ansioso e goloso, sempre uguale e sempre differente, che è la Mostra di Venezia per chi ama il cinema. Lui si alzò, doveva lavorare, lottava come ogni giorno contro il respiro avaro dell'asma, sedette alla scrivania, dopo un poco chinò il capo sui tasti e se ne andò d'improvviso, in fretta, lasciando troppo soli quelli che gli volevano bene. Nel segno della scrittura, mettere insieme e pubblicare, dopo i testi saggistici e critici raccolti in Doppio schermo, parte dei suoi testi narrativi, è più d'un omaggio anniversario o della testimonianza d'una memoria non cancellabile: significa l'evocazione di un mondo, la ricerca (o la scoperta) d'una personalità che nella letteratura s'è espressa pienamente. Critico di cinema; dirigente della Rai; teorizzatore con Roberto Rossellini e realizzatore nei fatti del legame e del destino comune di cinema d'autore e televisione pubblica; produttore di film quali Prova d'orchestra di Federico Fellini, La notte di San Lorenzo di Paolo e Vittorio Taviani, Cammina cammina di Ermanno Olmi, Sogni d'oro di Nanni Moretti, Colpire al cuore di Gianni Amelio; ideatore e organizzatore con Olmi a Bassano del Grappa di quella scuola di cinema che ora porta il suo nome: Paolo Valmarana ha fatto tante cose importanti, e così bene, che rischia di venir identificato soltanto con quelle. La sua narrativa serve invece a ritrovarne la natura più profonda, più intima; e serve insieme a ritrovare l'aria di un tempo magari un poco ingenuo ma mevitabumente rimpianto. Racconti, testi brevi, brani d'un romanzo inedito, disegnano un percorso culturale di oltre trent'anni, seguito da Paolo Valmarana con curiosità, attenzione, ironia, esattezza da scrittore di costume più inglese che italiano. Ambizioni, smarrimenti, permalosità, repentini torpori, speranze del giovane scrittore veneto arrivato a Roma come nel centro della vita letteraria e di affermazioni possibili, raccontano pure l'aria chiusa della capitale nel 1950: vecchi quartieri di alberghi per ecclesiastici e di botteghe di souve- IMILANO L colmo per un partigiano? Essere costretto a riverire un ex podestà, sino a chiamarlo «Eccellenza». Succede in fl. freddo nelle ossa (Feltrinelli, pp. 207, L. 12.000, postfazione di Mario Monti) a Talpa, il fanciullo coraggioso modellato sull'adolescenza di Franco Bompieri. La guerra è appena finita, la miseria incalza, lavorare bisogna, Milano accoglie i randagi eroi delle colline, che mal sopportano gli abiti della normalità, il quindicenne di provincia comincia il viaggio metropolitano in un negozio di lusso. Un romanzo «gattopardesco», la speranza via via umiliata, tradita, l'eterno ritorno dei furbi di prezzoliniana memoria, il ritratto dell'Italia mai finalmente domata, estirpata. Figaro qui, figaro là... Sono un carosello vorticoso, rossiniano, di clienti e amici le pareti dell'Antica barbieria «Colla» in via Morene, quasi all'angolo con via Manzoni. Le immagini si rincorrono: Romolo VaUi e Lina Volonghi, Enzo Jannacci e Giorgio Gaber, Abbado e Di Stefano. Perché Franco Bompieri, sessantanni, originario di Volta Mantovana, il cuore ostinatamente a sinistra («Per me Stalin era di destra»), ma equilibrato da sohde, pragmatiche bus¬ Paolo Valmarana nirs religiosi moltiplicati dall'Anno Santo, vecchie biblioteche infrequentate, vecchie librerie come palestra di conversazioni tra scrittori, vecchie redazioni di giornali addormentati, ingannevoli lentezze vaticane. Il resoconto della partecipazione a un convegno sul neorealismo a Parma rimasto storico fa risorgere le discussioni d'epoca, le lacerazioni appassionate, i dilemmi d'un periodo confuso e glorioso del cinema italiano tra politica, estetica, populismo: realismo e neorealismo, naturalismo, proletariato e sottoproletariato, la realtà pedinata, il fervore da cineclub, la carica artistica e quella morale, il personaggio tipico e il caso limite. L'amore per il cinema nel 1952 («Che cosa sia l'amore del cinema non è facile dire») evoca una presenza che era allora ammanante, possente e significativa quanto la letteratura romanzesca, influente e decisiva quanto l'esperienza esistenziale, celebrata al festival di Venezia come nella massima cerimonia. Così altri racconti dicono del clima aziendale della Rai, dell'avventura cosmopolita fallita con immenso sollievo («Se dio vuole siamo di nuovo a Roma») da una generazione poco portata alla dislocazione. E altri ancora lasciano ripensare al fascino e alle ferite della modernità dei sentimenti negli Anni Settanta, alle nuove difficoltà di ogni specie d'amore tra psicoanalisi, femminismo, timidezze feroci e disillusioni atroci, ragazze «nevrotiche, molto nevrotiche», strategie delicate, rispetti umani, brutalità repentine. Sino a tornare, come nel completarsi d'un cerchio, agli usi famigliari d'una infanzia ricca e sobria insieme, esemplificati dai riti del cibo. Ma più forte d'una letteratura di costume in cui ciascuno può ri trovare se stesso oppure i tic, le abitudini, le passioni di un'Italia perduta, resta la letteratura in sé e quel cuore del romanzo che è l'autobiografia. Lo stile di Paolo Valmarana è raro: beve e dolente, ironico e sapiente, colloquiale in modi strettamente sorvegliati, mescolanza di divertimento e amarezza, dotato della precisione che è il linguaggio dei sentimenti, mai convenzionale, radicato in un alto gusto aristocratico per il pudore riduttivo e nella fantasiosa eccentricità veneta. Nella sua narrativa il piacere gratuito dell'amateur diventa libertà di racconto; l'assenza di costrizioni pratiche (editoriali, giornalistiche, ambiziose, concorrenziali) restituisce alla letteratura la pienezza e purezza della necessità d'esprimersi; la scelta esclusivamente personale, il capriccio o il divertimento, si fanno mistificata sincerità. Esempi eloquenti? Costante, nei racconti d'adolescenza come in quelli di maturità, il timore dell'irrilevanza, dell'emarginazione, della mancanza di considerazione da parte degli altri, del venir usato e cannibalizzato: confessato con leggerezza autoironica, però sempre annotato, rimarcato. Costante, la sorpresa di venir maltrattato nelle cose d'amore, di venir colto impreparato e ignaro da rifiuti e ripulse: artifìcio letterario sicuramente, autodifesa certa. Costante, il mistero imperscrutabile delle donne nervose coi loro estri, i loro segreti, le loro trame portatrici di dolore: raccontato con tanta perversa sottigliezza da trasformare in scocciatóri perenni le sfìngi fatali. Paolo Valmarana era un grande lettore di vicende poliziesche e storie spionistiche: ma il suo mo do raffinato, tortuoso e truccato di raccontarsi somiglia, più che a un intrigo, all'unzione beffarda di certi grandi intellettuali o grandi signori che ostentatamente s'umiliano, «io non so niente, non cono sco il mondo»; oppure alla «dissimulazione onesta» proclamata da Torquato Accetto, che diventa nelle mani del saggio un'arma per difendersi dalle pressioni dei po tenti e dallo scomposto insorgere dei propri sentimenti. E il suo modo di raccontare il mondo somiglia, più che alla denuncia o alla condanna, alla complicità pazien te, alla rassegnata indulgenza cattolica. Uno dei racconti di Amare il cinema nel 1952 è intitolato Cuore. Una figlia parla del padre genero so, prepotente e non felice al quale assomiglia, descrive i conflitti con lui e il bene che tuttavia gli vuole, conclude: «Mi addolora immensamente che non ci sia più e che si sia ucciso». Questo racconto non c'entra con la realtà: soltanto, fa piangere. Lietta Tornabuoni
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