UN'IMBOSCATA DI KLOBAS

UN'IMBOSCATA DI KLOBAS UN'IMBOSCATA DI KLOBAS COME nei cinque libri precedenti, anche in Orari contrari Lucio Klobas, bergamasco di adozione e istriano di origine, osserva con occhio maniacale, lenticolare, la normalità del quotidiano. Il titolo si adatterebbe forse meglio al vecchio monologante, protagonista di Silenzi collettivi (1988), che progressivamente riduce la sua età sino a diventare bambino e infine neonato. Il problema del tempo è una delle ossessioni di Klobas, che concepisce la vita come una lotta continua, una sfida contro nemici silenziosi e infidi pronti a castigarti, se non tieni la mente e gli occhi vigili. E' come se fosse affetto da una sorta di narcisismo bastonato e sbeffeggiato dalla malvagità del mondo. E la sensazione che lascia nel lettore è quella di un pugile messo alle corde, frastornato da una girandola di pugni, ma consapevole di avere ancora in serbo il colpo del kappaò. Questo libro non è un romanzo e neppure una raccolta di racconti, ma sembra piuttosto una chiacchiera continua registrata su un nastro dove il monologante descrive il suo rapporto difficile con la realtà. Questo omino dimesso e silenzioso che ama decifrare i silenzi altrui e rimane sbigottito dal suono del telefono, «immane grido notturno», forse perché attende telefonate da donne immaginarie, esistenti soltanto nella sua mente, è affetto da angosce esagerate, eccessive. La sua vita è pervasa da un desiderio di sottrazione, da una volontà di abolire il tempo, l'amore, gli impegni, le incombenze quotidiane. Sogna una tana calda e sicura o una fuga sui tetti per sparire dalla circolazione e non essere più minacciato. Progetta un modello di città futura senza presenze umane tangibili, con case «abitate da gente trasparente, priva di pensieri e di struttura ossea», da famiglie «nervose, riunite intorno al tavolo della cucina o intorno al televisore» o impegnate in «piccole orge familiari, saporite e dense di ripicche, probabilmente noio¬ mico più caro del protagonista). Per quanto riguarda il terzo motivo: che romanzo è questo Jack Frusciante è uscito dal gruppo, quale la sua natura, la sua qualità, la sua lingua? Certo non è II giovane Holden: qui è un'aggraziata testimonianza di una situazione giovanile, lì è l'invenzione di una nuova temperie intellettuale e culturale. Ma certo è vivace, leggibile e, se volete, straordinario in un ragazzo di diciannove anni. Anche se a diciannove anni o si scrive Le bateau ivre o è troppo poco scrivere bene e aggraziato. Meglio a quell'età scrivere male. La lingua è divertente, ma più che una lingua è uno slang, costruito con parole tratte dai refrain delle canzoni, dalle colonne sonore dei film, dal laboratorio goliardico delle esclamazioni e dei modi di dire (le compagne di scuola sono puttansuore, i professori profii, e poi nanosecondo, rolio, ravanabile, ecc. ecc.). Dunque ha i limiti di uno slang che vive per una sola stagione, il tempo che a quello se ne sostituisca un altro. Comunque ce ne fossero di romanzi così freschi e piacevoli: anche se più che da un giovane, che è naturale che scriva così, un libro del genere vorremmo che uscisse dalla penna di uno scrittore maturo. Allora forse sì che potrebbe essere un (benefico) avvenimento. Angelo Guglielmi Enrico Brizzi Jack Frusciante è uscito dal gruppo Transeuropa, pp. 158. L. 20.000 se, anche se piacevoli da osservare nella loro ridicola insignificanza animalesca». Il talento della scrittura, costellata di parole precise e gelide, avvitate in un ritmo maniacale da guitto stralunato, fa di Klobas il miglior erede di Manganelli, con ammicchi vistosi all'angoscia ossessiva e al comico nero e acre di Thomas Bernhard. Un comico che nasce in lui dall'esito paradossale in cui fa slittare il luogo comune. Circondato da un «infernale assedio di voci sconosciute, spolpate, esangui, quasi prive di vita», l'io narrante, giunto sulla soglia dei cinquantanni, si accorge di aver sprecato la vita «con incredibile leggerezza» e vuole «isolare tecnicamente il tempo dal suo contesto reale» per fronteggiare i fantasmi della vecchiaia e della morte. Vorrebbe riuscire a descrivere il corpo consumato dagli anni, la morte nel momento esatto in cui avviene, per passare dal ruolo di vittima inerme a quello di padrone. Naufrago nella città, come «un Ulisse che cerca per l'ennesima volta Itaca», vive nell'attesa di appuntamenti e convegni amorosi con donne andate altrove e in quello spazio mentale elabora ipotesi e timori dilatati dal movimento libero del pensiero. La narrativa di Klobas, sperimentale nella struttura più che nel linguaggio, non racconta storie, eventi, personaggi, descrive i percorsi interiori della mente di un io che non va al di là di uno sdoppiamento schizofrenico. In questo senso ci pare corretto l'avvertimento del risvolto di copertina, che presenta questo libro come «un'imboscata» per «il tranquillo lettore da weekend». Per affrontare questa visione paranoica del reale occorrono nervi saldi e un'assoluta concentrazione sulla pagina. Chi si distrae è perduto. Massimo Romano Lucio Klobas Orari contrari Theoria pp. 153, L. 24.000