Il pm «star» alla Statale

Il pm «star» alla Statale Il pm «star» alla Statale Ovazioni come nelle assemblee del '68 L'IDOLO AMILANO LLE tre del pomeriggio la vecchia aula magna della Statale è già piena. Studenti, studenti e ancora studenti. Qualche professore, qualche avvocato e quelle quattro, cinque file di poltroncine sotto il palco riservate agli ospiti famosi che si riempiono lentamente. Si siede l'avvocato Piergiusto Jager, sorridente e con la solita pipa (spenta) in bocca. Si siedono il procuratore generale di Milano Giacomo Caliendo e quello di Torino Marcello Maddalena, Elena Paciotti, presidente dell'associazione magistrati, Edmondo Bruti Liberati. Zigzaga tra gli studenti Bruno Tronchetti Provera, unico imprenditore, qui a rappresentare l'Assolombarda. Poi i gip Andrea Padalino e Maurizio Grigo, e gli avvocati Nerio Diodà, difensore di Mario Chiesa, Massimo Di Noia. Il procuratore Francesco Saverio Borrelli si fa avanti quando sul palco i fotografi fanno muro: un mare di clic e lui, il capo del pool, si accomoda in prima fila. Rumoreggiano gli studenti. L'attesa si trascorre indicandosi a vicenda i personaggi più noti: guarda, quello è l'avvocato Giovanni Maria Flick, dice un biondino e l'amico con la testa segnala Maurizio Losa, cronista giudiziario della Rai. Alle tre e venticinque il chiacchiericcio si fa silenzio: su, nel palco sovrastato da due schermi giganti, qualcosa si muove, il muro dei fotografi oscilla, arretra, si sgretola spinto dagli uomini delle scorte. «Arrivano», è il sospiro dell'aula magna. E puntuali arrivano. Giandomenico Pisapia, il professore, seguito da Federico Stella, Domenico Pulitanò, Oreste Domini. Mormorio... Poi tocca ai quattro del pool: appena avanza la faccia tonda e barbuta di Francesco Greco è subito applauso che sale, sale per Piercamillo Davigo in cravatta rossa, sale per Gherardo Colombo anche lui in cravatta rossa, sale a farsi boato per Antonio Di Pietro, cravatta rossa a pallini bianchi. Per un momento se la gode, quell'accoglienza da stadio, il giudice Di Pietro. Sorride a destra (Pisapia) e a sinistra (Colombo). E chissà se in quell'attimo, anche lui, il giudice di Mani pulite, ha rivissuto il film del passato, quel passato che qui, nel lontano Sessantotto, ha vissuto momenti infuocati, forse di storia. Altri tempi, certo. Altro pubblico studentesco. E lì, sul palco senza schermi tv ma sovrastato dalle gigantografie di Marx, Lenin, Stalin e Mao, allora c'erano i condot¬ tieri del movimento, il barbuto Mario Capanna con l'eskimo verde, la keffia e la voce profonda che tuonava: «Compagni...», Alberto Toscano magro magro e il sempre elegante Luca Cafiero. Non ci sono adesso, nell'assemblea di Di Pietro, Capanna e i ragazzi del movimento. Spunta per un attimo Cafiero che fa il professore, continua a vestire elegante, ma nessuno più lo riconosce. A infuocare la pia- tea non c'è più il «compagno delegato della Pirelli». No. E' il giorno del professor Di Pietro, questo. Niente toga, niente passi lunghi per i corridoi della procura, niente sgommate sull'auto blindata. Legge seduto, Di Pietro. E lì per lì sembra tanto diverso dal Di Pietro sempre in piedi che indica, gestisce, accusa, si rimbocca le maniche della toga, ! stringe le dita chiedendo al- l'improvviso: «Che c'azzecca?». Dura un attimo il «professor» Di Pietro. Poi riemerge il solito Di Pietro. Resta seduto, è vero, e le mani si vedono appena appena, ogni tanto si alzano, ogni tanto si abbassano. Ma la voce, ah, quella sì che va su e giù come sempre e svela ora il Di Pietro mediatore-politico, ora il Di Pietro polemico, ora il Di Pietro propositivo, ora il Di Pietro duro e distruttivo. «Ben vengano le critiche ma ho l'impressione che ci siamo scambiati i ramoscelli d'ulivo per palle di cannone», comincia. Ed è un crescendo di tonalità. Difende la sua proposta («Fatta per spirito di servizio, senza secondi fini»), chiede critiche ma critiche corrette. Si ferma e alza la voce, gli occhi di fuoco che guardano qui e là: «Signori politici, signori avvocati che all'ultimo vi siete tirati indietro, non offendetevi per il fatto che ci siamo permessi di prendere l'iniziativa». Ma sapete, spiega facendo per la prima volta il gesto delle dita chiuse (quello del «Che c'azzecca?»), «molti cittadini si chiedono: come andrà a finire?». Assicura: «a muoverci non è stata la preoccupazione di fare i processi». Eh no, qui s'arrabbia Di Pietro e zac, picchia duro: «Sbaglia l'onorevole Parenti quando lo afferma, non è informata». Sembra il Capanna degli anni di fuoco e come il Capanna che fu chiude con una citazione classica: «Datevi da fare, sennò, a forza di discutere il Paese, come Segunto, viene espugnato». Dice proprio così, Segunto al posto di Sagunto. Ma chi se ne accorge nella vecchia aula magna? Gli applausi sono già partiti. Armando Zeni E nessuno si accorge che il giudice ha sbagliato la citazione latina GLI SLOGAN DEL CONVEGNO «Bisogna darsi una regolata. Detto in modo più tecnico, bisogna riscrivere le regole per la trasparenza e per l'efficienza». «Hanno scambiato un ramoscello d'ulivo per palle di cannone, è solo spirito di denigrazione, tanto per cantare» (riferito a chi ha criticato la sua proposta). «Voglio dare la stura a tanti critici che sono a buon prezzo come i saldi di fine stagione» (riferito a Giuliano Ferrara). «Tiziana Parenti dice che non si fanno i processi. Non è vero, noi di processi ne abbiamo fatti e li stiamo ancora facendo». «Non vi va bene la nostra proposta? Fatene uria voi ma facciamo presto perché se no il nostro Paese farà la fine di Sagunto, verrà espugnato» (riferito ai politici). A lato. Di Pietro e Colombo. Sotto: una storica assemblea del movimento studentesco nell'aula magna della Statale: parla Mario Capanna

Luoghi citati: Milano, Sagunto, Torino