Federico II, l'incantatore di Maurizio Assalto

Pellegrinaggi a Treviri Si aprono a Jesi le celebrazioni per l'ottavo centenario del grande sovrano Federico II, l'incantatore La sua grandezza oltre il mito IL suo destino era già nel nome: Federico Ruggero Costantino, in onore dei nonni, lo svevo Barbarossa e il normanno Ruggero II di Sicilia, con l'aggiunta di un enfatico richiamo all'Impero Romano d'Oriente. Alla storia, più semplicemente, sarebbe passato come Federico II, il grande sovrano, l'ultimo interprete della vocazione universalistica dell'Impero medievale, di cui ricorre quest'anno l'ottavo centenario della nascita. Venne al mondo a Jesi il 26 dicembre 1194, da Enrico VI degli Hohenstaufen e Costanza d'Altavilla. All'inizio era soltanto un «puer Apuliae», un fanciullo dell'Italia meridionale, come l'avevano soprannominato con qualche scherno ai tempi in cui, orfano di entrambi i genitori dall'età di quattro anni, viveva segregato nella reggia di Palermo. In breve seppe emanciparsi da ogni vincolo, combattendo volta a volta la sua battaglia con gli avversari tedeschi, con il papato, con i Comuni dell'Italia settentrionale, riordinando l'impero e prodigandosi per il prediletto Regno di Sicilia: si affermò come lo «stupor mundi» destinato ad affascinare posteri e contemporanei, alimentando un mito secolare. I tedeschi l'hanno esaltato come una sorta di eroe romantico, soltanto rimproverandogli l'evidente disinteresse per la Germania. Altri hanno visto in lui un antesignano dell'idea dell'unità d'Italia. Soltanto di recente qualche corrente storiografica ha cercato di ricondurlo alla normalità. Anche a questi tentativi si propone di rispondere il fitto calendario di appuntamenti previsto per la ricorrenza dell'ottavo centenario. «Non sarà un omaggio effimero» dice Girolamo Arnaldi, presidente dell'Istituto storico italiano per il Medioevo, che aprirà questa mattina a Jesi le celebrazio ni. «Si tratterà di una iniziativa articolata, con la prima edizione o la ristampa di importanti documenti che faranno progredire gli studi su Federico II. Dopo, qualsiasi tentati vo di smontare la sua figura sarà destinato alla sconfitta». Al di là dei risultati concretamente raggiunti, spiega il prof. Arnaldi, quel che re siste è la sua personalità straordi naria. «Federico non era un costruttore di imperi. Alla fine, sono più le botte che ha preso di quelle che ha dato. Ma la sua versatilità, le sue curiosità intellettuali ne fanno un uomo diverso dagli altri». Politico, legislatore, condottiero, mecenate, letterato, il nipote di Barbarossa fece di Palermo una sorta di nuova Atene, radunando a corte i migliori intellettuali del mondo conosciuto e riuscendo a stabilire una sorta di alleanza culturale cosmopolita. «Loico e chierico grande» lo definì Dante, riservando alte lodi, nel De vulgati eloquentia, alla scuola siciliana. E Fra' Salimbene si aggiungeva al coro magnificando la sua abilità nello «scrivere e cantare e inventare poesie e canzoni», in gara con i poeti di scuola provenzale. «Federico II - sottolinea Arnaldi - ha promosso i valori della civiltà cortese e cavalleresca, la "cultura dei tornei" tipica dei mondo feudale d'Oltralpe, contribuendo a arricchire il panorama comunale dell'Italia». Fra le sue intuizioni di organizzatore culturale, spicca la fondazione dell'università a Napoli, nel 1224, una delle prime al mondo, ma soprattutto la prima università di Stato. «L'aveva concepita come una scuola di amministrazione per preparare i funzionari imperiali spiega Arnaldi -: una specie di Ena francese ante litteram, per evitare agli studenti la trasferta a Bologna e per poterli controllare meglio». Un'attività sagace e sovente in anticipo con i tempi. Ma da ultimo fallimentare. Federico pensava al governo del mondo avendo sempre in mente, davanti a tutto, l'Italia meridionale e in particolare la Sicilia. Ma il suo universalismo si scontrava con le mire temporali dei papi, con l'ostilità dei feudatari tedeschi e con la vocazione particola¬ ristica dei Comuni italiani. E alla fine, nel vano tentativo di sottomettere gli altri poteri all'autorità dell'impero, furono così ingenti le risorse sottratte alla Sicilia, da mettere in crisi l'economia locale. Le ricchezze accumulate sotto i Normanni vennero profuse senza risparmio, e l'isola non si risollevò più: tanto che oggi qualche storico attribuisce anche al sovrano degli Hohenstaufen, e non più soltanto a Carlo d'Angiò, la responsabilità della rivolta dei vespri. Era il 30 marzo 1282, 32 anni dopo la morte di Federico. Maurizio Assalto Girolamo Arnaldi: «Non costruttore di imperi ma di culture. Sua la prima università di Stato» Federico II in un'antica incisione: la sua vocazione era l'Impero universale, il suo vero amore la Sicilia