Le generazioni dell'OBLIO

La storia cancellata due volte. Così le nuove democrazie ripetono gli errori dei regimi comunisti La storia cancellata due volte. Così le nuove democrazie ripetono gli errori dei regimi comunisti Le generazioni (M'OBLIO CZAGABRIA I sono giorni in cui penso che sarebbe meglio se fossi bambina e non ricordassi nulla. Questa bambina non avrebbe passato né memoria, sarebbe felice quando la mamma la prende fra le braccia, riconoscerebbe i passi del babbo, gradirebbe il cioccolato, odierebbe lo shampoo, e senza dubbio non avrebbe indentità né problemi - non ancora. Nata contemporaneamente allo Stato croato, nella primavera del 1991, la bimba crescerebbe con esso, convinta che la storia sia cominciata il giorno in cui entrambi, bambina e Stato, sono venuti al mondo. Sfortunatamente, non ho tre anni e non posso cominciare a ricordare il mio passato da adesso. E non ne ho nemmeno 73, così da permettermi il lusso di ignorare le mie memorie essendo comunque troppo tardi per farmi domande sulla mia identità. Invece, ho 45 anni e appartengo a una generazione obbligata a pensare alla propria identità adesso, forse per la prima volta nella sua vita. Perché solo adesso? Forse ciò non sarebbe mai accaduto se non fosse stato per il 1989. E' quello l'anno in cui il sistema comunista, che sembrava eterno, ha cominciato a crollare. Nei Paesi post-comunisti nuovi partiti sono arrivati al potere per via di libere elezioni. E' interessante notare che la prima cosa di cui questi nuovi governi si sono preoccupati è stata cancellare i precedenti 50 anni di vita dei rispettivi Paesi, così da ristabilire la continuità con le società pre-comuniste. Parallelamente a questa cancellazione del passato, è cominciato un processo di «correzione», di redazione di nuove versioni ufficiali degli eventi storici. Come se la storia non fosse nient'altro che un foglio di carta bianca, in attesa di essere riempito dal vincitore della rivoluzione di turno. Gli attuali dirigenti politici ci hanno convinti noi gente che vive in questi Stati di nuova democrazia, e a volte di nuova fondazione - che quella del comunismo è stata un'era di sofferenza, e di sofferenza soltanto. Deliberatamente, tendono a dimenticare quanto c'era di buono, dai movimenti antifascisti all'idea di giustizia sociale per tutti. E dimenticano pure che, quand'anche si volesse ridurre la vita durante il comunismo a repressione e umiliazione (personalmente, non credo che ciò sia possibile), questi 50 anni di storia sono stati 50 anni della nostra vita che non possiamo e non dovremmo dimenticare. La semplice verità è che come individui abbiamo memoria di noi stessi. Qui sta il problema: la mia generazione è già stata soggetta una volta a un processo di amnesia del genere. Nelle nostre menti, i vecchi manuali di storia comunisti sono ancora vivi. In essi, la storia co- mincia nel 1941, con l'occupazione tedesca, la guerra e la rivoluzione comunista. Io ricordo molto bene la descrizione di tutte e sette le offensive dei partigiani di Tito, perché da bambini le abbiamo dovute memorizzare, nel cuore. Tutto quello che era successo prima ■ , di quell'«anno Wrjf * storico» del 1941, fosse l'origine MMg^JIMt^ dell'uomo (dalla scimmia, naturalmente), gli antichi greci, il Rinascimento o la scoperta dell'America, appariva di importanza ben minore. Dopotutto, il nuovo governo bolscevico era entrato nella nostre città su cavalli bianchi seguiti da carri armati. «Chi non è con noi è contro di noi!», proclamarono i comunisti e provvidero a liberarsi di tutti i «nemici del popolo», in particolare i cosiddetti «intellettuali borghesi». La nuova élite rossa nominò i suoi «commissari» in tutti i posti di comando dell'economia, del sistema educativo, della cultura e la costruzione della nuova società potè cominciare. Oh, quasi dimenticavo un piccolo detaglio: la vecchia, marcia società borghese doveva essere completamente abolita; e in senso letterale, perché non era sufficiente eliminare la gente, ma bisognava anche distruggere ogni traccia materiale della sua esistenza. Di conseguenza, i monumenti delle epoche precedenti vennero abbattuti e i nomi di città, strade, scuole e ospedali furono cambiati. Nei nuovi Stati comunisti quest'opera di cancellazione del passato fu condotta radicalmente e barbaramente. La costruzione di una nuova società fu fondata sull'oblio. Il medesimo processo di cancellazione, oblio e reinterpretazione della storia recente è cominciato nel 1991 in tutti gli Stati post-co- munisti, benché non dovunque nella stessa drastica misura. Personaggi come l'ungherese ammiraglio Horthy, il sacerdote slovacco Tiso, il romeno maresciallo Antonescu e il croato Pavelic, prima condannati come dittatori o fascisti, sono solo alcuni dei riabilitati, o sulla via della riabilitazione. Nella sola Croazia, oltre duemila monumenti comunisti sono stati distrutti o rimossi dalla vista del pubblico; nomi di città e di strade, scuole e ospedali vengono cambiati di nuovo; i «commissari» del partito al potere vengono piazzati un'altra volta in posizioni strategiche e i bambini imparano la storia da nuovi manuali. Questi libri di testo sono redatti allo stesso modo dei vecchi, cioè non secondo la verità, ma in accordo con l'ideologia dominante. Comunque, non penso che questa sia la cosa peggiore che ci sta accadendo. Si potrebbe dire che ci si può aspettare un tale comportamento nevrotico da governi nuovi. A mio giudizio, la cosa peggiore è che le persone che nella loro vita hanno già sperimentato questo identico processo sono ora completamente silenziose. Qua e là, per lo più in lettere ai giornali, si possono udire deboli voci di protesta, ma questo è tutto. Sembra di stare sul- l'orlo di un abisso, nel quale il mondo conosciuto sta precipitando: valori, usanze, libri, amici, memorie... Si può provare un senso di vertigine, persino di nausea, ma mi pare che nessuno abbia il coraggio di gridare «Aspettate un momento! Chi siete voi e chi vi ha dato il diritto di annichilire e cambiare il mio passato? E' la mia vita, l'unica che ho, e non permetto a nessuno di sputarci sopra. Non permetterò ad altri di decidere che cosa è buono e che cosa è cattivo nel mio passato, né mi lascerò ordinare che cosa dimenticare e che cosa ricordare. Non posso permettere che qualcuno lo faccia per me, né come individuo, né come cittadino di questo Stato». E' di questo che si tratta, qualcuno sta ancora dicendoci quello che dobbiamo fare. Il nostro nuovo governo democratico ci sta trattando da bambini un'altra volta. La mia generazione, nata dopo la guerra, non potrebbe accettare di sua libera volontà questo processo di distruzione del passato. Siamo, semplicemente, troppo vecchi per dimenticare. Inoltre, siamo in grado di riconoscere i metodi che ora vengono esercitati di nuovo, perché già i nostri padri ci hanno trattati da eterni infanti: in effetti, siamo figli di una gerontocrazia. I nostri padri sono rimasti al potere per tutta la vita, senza mostrare la minima inclinazione a trasferirlo alla generazione più giovane. D'altra parte, abbiamo capito ben presto che nei nostri Paesi comunisti il futuro, come concetto in sé, non esisteva. Come in un teatro, assistevamo alla ripetizione rituale dei medesimi vecchi discorsi, la stessa fraseologia, le stesse promesse, facce e maniere. Questi rituali di corte hanno fatto di noi esseri umani ipocriti e sprezzanti, che non com¬ battevano mai per alcunché, in quanto ritenevano che nessun ideale valesse la pena di una lotta. Naturalmente, il vantaggio di una piena, infantile mancanza di potere (situazione che, comunque, accettavamo senza pensarci granché, né opporci) è l'assenza di ogni responsabilità, individuale o collettiva. Per il meglio e per il peggio, la "fi responsabilità ' „';_, apparteneva a quelli «in alto», quelli al potere. Ma tutto questo cambiò nel 1989. In quell'anno, la vita della mia generazione fu spaccata in due. I giovani dimenticheranno il passato e si adegueranno alle nuove condizioni e alla nuova ideologia molto più facilmente. I vecchi non se ne cureranno, perché tanto, ormai, per loro non cambia più nulla. Ma la generazione che ora sta fra i quaranta e i cinquanta deve tornare al suo passato, riuscire a capire che cosa è veramente successo. Secondo me, per noi non è solo questione di identità, ma di sopravvivenza. Un uomo non è niente senza il suo passato, ma che cos'è esattamente il passato? Abbiamo le nostre memorie, poi ci sono le versioni ufficiali, ideologizzate, del passato. Ma affinché possiamo finalmente riconciliarci con esso, abbiamo disperato bisogno di un terzo elemento chiave: la verità. Penso che per la mia generazione sia importante voltarsi indietro e porre le domande che finora abbiamo evitato: quanto abbiamo creduto, realmente, nel partito comunista? Perché abbiamo accettato così pacificamente la nostra situazione? In che misura siamo stati plasmati dall'ideologia comunista, anche quando ci ribellavamo ad essa? E finalmente, la domanda eretica a cui la maggior parte di noi non vuol nemmeno pensare: c'era qualcosa di buono nel nostro recente passato? Ma con questo non mi riferisco ad antifascismo o assistenza medica o istruzione a basso costo o viaggi all'estero - che erano possibili, almeno nella ex Jugoslavia. Ho in mente cose più semplici come gli appartamenti offertici dalle ditte per cui lavoravamo, o le case di campagna che costruivamo per niente, o la valuta straniera che riuscivamo ad accumulare - e ancora stiamo sopravvivendo con quel denaro - di nuovo, almeno nella ex Jugoslavia. Mi domando, non torniamo ad essere ipocriti, cinici e opprtunisti quando siamo così ansiosi di scaricare il nostro passato, senza essere capaci di riconoscere nemmeno le cose più evidenti? Temo che noi, la mia generazione in tutta l'Europa orientale, abbiamo fatto quello che nemmeno i nostri padri, combattenti e rivoluzionari, erano riusciti a compiere del tutto. Dobbiamo preservare la memoria del passato, anche se quella memoria è parte della nostra cattiva coscienza. Rinunciare vorrebbe dire rinunciare alla nostra identità. Perciò, dovremo essere capaci di guardare al nostro recente passato senza isteria né pregiudizio. Simbolicamente, dobbiamo misurarci con le ombre dei nostri «padri» morti e vivi, se non vogliamo che «quelli in alto» continuino a rubarci il passato. Forse non è il miglior tempo per farlo, ma non ne abbiamo altro - anzi potrebbe già essere troppo tardi. Mio padre è morto nell'autunno del 1989. A volte penso che sia bene che ciò sia capitato allora, perché il nazionalismo e la nuova guerra nel nostro Paese lo avrebbero ucciso in ogni caso. Ma a volte rimpiango che non sia vivo, perché non posso più chiedergli certe cose. Il più grande errore commesso da mio padre fu di non aver mai parlato del passato, in particolare della guerra. Adesso, interpreto quel silenzio come una specie di operazione di copertura. Questo atteggiamento calzava con l'arroganza stessa del sistema - non c'è bisogno di ricordare, perché il passato non si ripeterà. Forse mio padre intendeva preservarmi da ricordi penosi, ma adesso mi rendo conto che mi ha lasciato a mani vuote, incapace di affrontare la realtà di oggi. Non credo che possiamo permetterci di comportarci come l'infante all'inizio del mio racconto, il bambino che non sa niente, non ricorda niente ma aspetta solo che qualcuno gli prenda la mano e lo guidi verso il «luminoso futuro». Dovremmo imparare come accettare, finalmente, il nostro passato, e giudicare criticamente Tito come Pavelic, il comunismo e il fascismo. Questa è l'unica maniera per crescere. Forse dovremmo tenere a mente che tutti i dittatori amano i bambini. Slavenka Drakulic Nel '45 i monumenti furono abbattuti, anche i nomi delle città vennero cambiati: ora sta accadendo qualcosa di molto simile La scrittrice croata: «Pochi protestano timidamente, io mi ribello» Sopra, Ante Pavelic, uno dei numerosi personaggi in via di «riabilitazione» ■ , Wrjf * MMg^JIMt^ "fi' „';_, Un'immagine di Zagabria prima della guerra. Sopra, il maresciallo Tito

Persone citate: Ante Pavelic, Antonescu, Horthy, Pavelic, Slavenka Drakulic, Tiso

Luoghi citati: America, Croazia, Jugoslavia, Zagabria