Ghiri e torte di fango, così mangiò Ovidio di Aldo Cazzullo

Ghiri e torte di fango, così mangiò Ovidio Alla latinista Emily Gowers il premio Langhe Ceretto per la letteratura alimentare Ghiri e torte di fango, così mangiò Ovidio La cucina dell'antica Roma: orrori e delizie riletti attraverso i classici ALBA DAL NOSTRO INVIATO «La letteratura è il miglior freezer che sia stato inventato». Cosa intende diro Emily Gowers, latinista e enfant prodige della scuola storica di Cambridge? Che sono stati i versi e i romanzi a conservarci integri i cibi degli antichi romani. «E la cucina per i vostri progenitori era una lingua, come il latino e il greco. La usavano per comunicare. Mangiavano come pensavano». Un ricettario nascosto negli epigrammi di Marziale e nelle satire di Orazio: la Gowers lo rivela con The Loaded Table,. Representations offood in roman literature (Clarendon Oxford), che le è valso il premio Langhe Ceretto per la «letteratura alimentare», consegnato ieri alla tenuta della Bernardina, a qualche collina da Alba. Si potrebbe tradurre in «la tavola sovraccarica»: di delizie, e di simboli. A un banchetto funerario, scrive Petronio, un nobile romano non servì carni pregiate, ma fegato, intestmi e altri organi digerenti, a simboleggiare la fisicità della morte e il ritorno del defunto nella catena naturale di distruzioni e rinascite. E Marziale racconta dell'anfitrione che preparò ai suoi amici una cena personalizzata: porri per il commensale calvo, peperoncino per l'inquieto; e poi un pesce servito con la stessa ghirlanda di fiori che cingeva il capo degli ospiti. «Il pasto dei romani aveva una vita propria, doveva esprimere il pensiero e la condizione sociale di chi lo consumava - spiega la Gowers -. Non sempre gli eccessi erano apprezzati. I poveri e i morigerati si facevano un vanto della loro parsimonia. Mangiavano noci, legumi, olio, pane, pasta, e spesso erigevano in casa altari dedicati alla Frugalità. Come Orazio, che si accontenta di mezza porzione di lasagne di ceri e mezzo litro di vino. I cibi succulenti si offrono a chi si vuol conquistare o adulare. Ai veri amici si prepara mi pasto semplice, segno di affetto e complicità. Una buona forchetta come Augusto ringraziò l'ospite avaro di cibi con una battuta ironica: "Non sapevo che mi considerassi un intimo"». Cesare non amava lo sfarzo a tavola, e descrive con disgusto il passo traballante dei commensali reduci dal banchetto, e il pavimento cosparso di lische di pesce e fiori avvizziti. Seneca descrive gli eccessi dei gourmet che si infilano in gola penne di pavone, per poi ricominciare: «Mangiano per vomitare, vomitano per mangiare». Ma Ovidio e Plauto sono molto più accondiscendenti. Le Metamorfosi e le commedie sono miniere di aneddoti e di gioiosi scherzi consumati a tavola. Durante i Saturnalia, per beffare gli amici si preparavano sontuosi dolci di fango. E Petronio racconta del padrone di casa che finge di ar¬ rabbiarsi con il cuoco, che ha servito un maiale intero senza togliere le budella. Disgusto tra gli invitati, che diventa gioia quando dal ventre non spuntano interiora, ma salsicce e cotechini già ben preparati. A volte lo scherzo è crudele. «Come le grandi torte al miele racconta la Gowers - che riproducevano la città di Cartagine: andavano di moda dopo la distruzione del 146 avanti Cristo, gli ospiti erano invitati a saccheggiarla». Ai banchetti per festeggiare nascite o vittorie dominava il colore rosso: nelle decorazioni, negli arredi del triclinio, nelle salse. Alle cene funebri, il nero. In cucina i più stimati erano i greci. Procurarsi un cuoco ateniese o siracusano era un segno di distinzione sociale. Nei secoli dell'Impero i nobili facevano a gara nell'importare nuovi piatti dall'Oriente, o di crearne con alchimie che farebbero impallidire un Bocuse. Suscitò scalpore il pavone, quando fu servito per la prima volta. Apprezzatissimi l'arrosto di ghiri e l'insalata di zampe di gallo. Mecenate si vantava con gli amici di aver valorizzato la carne d'asino (ma solo quella giovane, non ancora indurita dal lavoro). Tiberio invece badava più alla qualità delle materie prime che alle invenzioni da nouvelle cuisine. Anticipando di venti secoli le culture biologiche, curava personalmeiUe i suoi cetrioli, in modo da'Werli tutto l'anno. «Ma il più grande gourmet della storia romana fu senz'altro l'imperatore Eliogabalo - rivela la Gowers -, Convinto di essere un dio, pretendeva menu all'altezza. Andava pazzo per le lingue di allodola. Voleva solo primizie, e, anticipando le stravaganze moderne, ordinava capriolo al mare e pesce in montagna». Aldo Cazzullo Un maiale intero, con salsiccia e cotechino già cucinati al posto delle budella Reperto pompeiano: come mangiavano i romani (dipinto conservato al Museo nazionale di Napoli)

Persone citate: Bocuse, Ceretto, Emily Gowers, Gowers, Seneca

Luoghi citati: Alba, Cambridge, Napoli, Roma