«Ormai non c'è rispetto nemmeno per il dolore» di Enrico Mentana

«Ormai non c'è rispello «Ormai non c'è rispello per il dolore» IL DIRITTO DI CRONACA IRITTO di cronaca? Ma fino a che punto? Anche un magistrato si trova a dover fare i conti coi flash impietosi dei fotografi e con l'assedio invadente dei giornalisti, mentre - come uomo - sta vivendo uno dei momenti più difficili della sua vita: l'ultimo saluto alla madre, le ultime ore di intima comunanza con le sue «radici». E anche chi lavora nel mondo dell'informazione è costretto a interrogarsi sui limiti della propria professione, su chi li detta, su come si può fare per rispettare il diritto altrui alla riservatezza. «Sto con Di Pietro - sostiene senza mezzi termini Enzo Biagi, giornalista e scrittore -. Perché ha diritto a non veder immortalato il suo dolore. La verità è che come categoria stiamo esagerando. Non c'è più rispetto per la vita; e nemmeno per la morte. Dobbiamo recuperare un senso di responsabilità che abbiamo smarrito per stra¬ da. Senza scaricarlo sulle spalle di altri. Perché ci riguarda tutti; nessuno escluso: direttori, redattori, cronisti, fotografi...». Concorda Roberto Kock, fotografo di grido dell'agenzia Contrasto, una di quelle specializzate in immagini carpite ai vip: «E' il modo complessivo di fare giornalismo ad essere diventato sempre più irrispettoso; non solo il lavoro dei paparazzi. L'invadenza dei foto- grafi è alimentata dai giornali. E se non siamo noi ad autocontenerci, addio... Certo, il gesto di Di Pietro mi sembra grave. Può essere giustificate solo dal momento particolare che stava vivendo». Di diverso parere Riccardo Germogli, dell'agenzia fotografica di Massimo Sestini, il re dello scoop: «Al posto del collega di Vasto, mi sarei comportato nello stesso modo. Il nostro lavoro è rubare im¬ magini; più sono difficili da rubare, più si prova soddisfazione a farlo». Ma a chi serve fissare sulla pellicola l'uomo Di Pietro che piange per la morte della madre? «A dimostrare che è un uomo in carne ed ossa come tutti, non l'eroe, il superman descritto dalle cronache di Tangentopoli. La gente vuol vedere anche questo». Ersilio Tonini, vescovo emerito di Ravenna, attento osservatore del ruolo dei mass-media, non ci sta: «No, no. Non possiamo dire: visto che fotografare tutto e tutti rende tanto, allora anche il dolore, anche la morte debbono soggiacere alle ragioni del portafoglio. Qui, non c'è il pm Di Pietro, nell'esercizio delle sue funzioni; c'è un figlio che piange la madre e viene prima l'uomo, poi il magistrato. Forse, il giornalismo, il lavoro dei reporter, hanno bisogno di tornare a darsi un limite. Per non diventare mez¬ ze bestemmie». Le regole. I limiti. «Stanno nella nostra intelligenza - osserva Enrico Mentana, direttore del Tg5 -. Chi è senza peccato scagli la prima pietra. Ma mi impressiona il fatto che, nel giro di poche ore, due personaggi pubblici molto lontani fra loro, De Lorenzo e Di Pietro, siano stati accomunati dal medesimo problema: l'esigenza di trovare rispetto per una loro situazione personale delicatissima. Vale per il politico inquisito, vale per il "pm più famoso d'Italia", come per l'infanzia protagonista suo malgrado di fatti di cronaca. Non sono prede da braccare con telecamere e macchine fotografiche, ad ogni costo e in ogni luogo». Ma Roberto Kock solleva una obiezione: «Possibile che nessuno avanzi anche le ragioni dei reporter?». Mario Tortello Il giornalista scrittore Enzo Biagi (sopra) li direttore del Tg5 Enrico Mentana

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