Spunta il giorno dell'ira su un nuovo nemico: l'Onu di Giuseppe Zaccaria

Langer: una nuova missione di pace con gli esponenti delle altre religioni Spunta il giorno dell'ira su un nuovo nemico: l'Onu DALLA CITTA' SCONFITTA SARAJEVO 1ADOVAN Karadzic, presik dente della pseudorepubblica dei serbi di Bosnia, ieri non si è visto molto in pubblico: colpa, spiegano, di un attacco di dissenteria che continua a creargli qualche problema. E questo forse non lo mette nella posizione ideale per gioire dei problemi che ha creato agli altri. Peccato, visto che in una vicenda che ha seminato il terreno di sconfitti, l'unico vincitore è lui. Se il Papa non è venuto a Sarajevo è per causa sua. E' grazie al suo gioco che questa città, e con essa la Bosnia, hanno perso un'altra occasione storica. Il dramma dunque continuerà, l'Occidente ha salito un altro gradino nella scala dell'ipocrisia: e a questo punto, è sempre più probabile che ci si stia avvicinando al catastrofico finale. Non esiste organizzazione al mondo che a Sarajevo possa garantire sicurezza assoluta ad una personalità come Giovanni Paolo II. Ma alla vigilia dell'8 settembre, festa della Natività di Maria, quel che Karadzic è riuscito a ottenere bilanciando silenzi e piccole provocazioni supera qualsiasi aspettativa, tanto da autorizzare l'ennesimo sberleffo: «La visita - dichiara un portavoce di Pale - non è stata annullata per colpa nostra, ma per paura del terrorismo islamico». Il Papa resta a Castel Gandolfo e tra Vaticano, Bosnia e Nazioni Unite scoppia una delle polemiche più violente degli ultimi tre anni. Al centro di tutto c'è il testo di una lettera risultata determinante: quella che lunedì scorso Yasushi Akashi, plenipotenziario delle Nazioni Unite, ha inviato a Giovanni Monterisi, nunzio apostolico in Bosnia. Per l'Onu quello era un rapporto che «non forniva alcuna raccomandazione, non incitava né scoraggiava». Solo la fotografia di una situazione «che negli ultimi giorni a Sarajevo si è fatta preoccupante». Sul testo di quella lettera si discuterà parecchi giorni ancora: per il momento sembra che nessuno intenda renderlo pubblico. Per quel che ho potuto saperne da fonti dirette, non dovrebbe però prestarsi a critiche particolari. Ciò non toglie che su quella lettera adesso si stia consumando uno scontro furioso fra il governo di Izetbegovic e la leadeiship di un'organizzazione - l'Unprofor, United Nations Protection Force per la quale, fra Bosnia e Croazia, forse è già cominciata l'agonia. Dice il Nunzio apostolico, nella sede dell'Arcivescovado: «Il comunicato della Santa Sede parla chiaro: il Santo Padre non voleva che il suo viaggio fosse motivo di maggiore tensione». Un documento della Conferenza episcopale bosniaca aggiunge: «Poteva darsi una situazione in cui si verificasse un altro massacro di gente innocente». Ma nel suo viaggio a Pale, monsignore, si era sentito porre dai serbi condizioni inaccettabili? «Mi sembra corretto che certe richieste vengano rese note dallo stesso governo di Pale». E' molto teso, monsignor Monterisi, taglia cortissimo. Quando gli chiedono dei rapporti con l'Unprofor, gli avverbi si rincorrono: «E' stata coraggiosamente e zelantemente impegnata nel rendere possibile la visita». L'imbarazzo appare evidente: i serbi avevano chiesto che il Papa atterrasse in elicottero nel loro territorio, sarebbe stato una sorta di implicito riconoscimento. Decisione vaticana, dunque, come le Nazioni Unite continuano a ripetere: ma basata su un quadro corretto? E' su questo che la presidenza bosniaca non è d'accordo: al punto che quando si avvicina l'ora di pranzo, il presidente Alja Izetbegovic piomba all'Holiday Inn e dinanzi a qualche centinaio di giornalisti si scatena in uno degli attacchi più violenti che mai lanciati contro l'Unprofor e il suo plenipotenziario giapponese. «La lettera parla dì un "pericolo molto concreto", mentre qui il rischio era solo astratto. Ero pronto a recarmi direttamente all'aeroporto, a seguire il Papa passo dopo passo... Dicono che l'aeroporto è insicuro? Da due anni nessun passeggero è stato ferito... Questo è tutto un gioco fatto da altri che non volevano questa visita...». E quando si tratta di indicare «gli altri», Izetbegovic non ha peli sulla lingua: «La volevano gli Stati scandinavi, il Belgio, la Spagna, l'Italia». Un cronista domanda: e la Francia? «Francia e Inghilterra l'hanno osteggiata in ogni modo, come si chiarirà presto». E' durissimo, il presidente della Bosnia: c'è l'ha con Akashi, «che non da oggi dimostra verso la Bosnia un atteggiamento poco ami- chevole». Inchioda il plenipotenziario a una sua vecchia battuta: tempo fa, dopo la tregua, il sorridente giapponese aveva detto che Sarajevo «è la città più sicura del mondo». Si contraddice a sua volta, quando dopo aver criticato l'Onu per la lettera al Vaticano, lo critica perché «ieri sulla città sono cadute undici granate, e i Caschi blu non hanno alzato un dito». E' guerra aperta, insomma. E la conclusione è di quelle che non lasciano spazio alla speranza: «Questo Paese, questo Stato non possono essere salvati dall'Unprofor, ma solo dalle capacità di difesa». Significa: dalle armi. Ecco qual è fin d'ora, e quale sempre più sarà, l'effetto di questa visita mancata: gli ultimi spazi di speranza si sono chiusi, la speranza è polverizzata. Radovan Karadzic agitando appena i fucili delle sue bande ha inchiodato ancora una volta le Nazioni Unite a un'immagine di loro tronfia impotenza. E impotenti, dinanzi al grande macello che si sta preparando, appaiono anche le voci dei grandi capi spirituali. Ascoltate quella di Mustafa Effendia Ceric, «raiss» di Sarajevo: «La mia piccola mente di bosniaco si rifiuta di credere che le grandi potenze non potessero garantire questa visita, o fermare il genocidio. La verità è che la volontà di farlo non esiste. L'Occidente teme che la religione, liberata dal giogo comunista, alla fine prevalga: al Cairo per la prima volta cattolici ed islamici si sono uniti per evitare la distruzione della famiglia». Sentite radio Sarajevo: «La stessa organizzazione che pochi mesi fa aveva fatto disputare un incontro di calcio dinanzi a trentamila persone, adesso alza le mani dinanzi al compito di proteggerne una sola». Argomento specioso (posto che a sparare sul pubblico di una partita di calcio nessuno avrebbe avuto interesse), però efficace. Sentite il rapporto quotidiano dell'Unprofor: «Attività bellica in crescita. Granate sulla città. Attacchi ai nostri mezzi. Cinque bambini uccisi da una granata nella sacca di Bihac». Nei due mesi di tregua tutte le parti si sono riarmate: adesso sta per cominciate la guerra vera. Forse, Santità, era inevitabile che questa visita subisse un rinvio, ma a questo punto la sua «papamobile», ferma a Sarajevo, può essere riportata indietro. Fra pochi giorni questa città compirà 900 giorni di assedio: tutti cominciano ad essere certi che non arriverà al millesimo. Giuseppe Zaccaria Langer: una nuova missione di pace con gli esponenti delle altre religioni Il leader bosniaco furibondo: «E' stato l'inviato di Ghali a far saltare tutto» Il leader croato Franjo Tudjman Sotto, il Papa. A sinistra, una suora fotografa i bambini di Sarajevo