La genetica per classificare i diversi mantelli dei cavalli

NUOVA TERMINOLOGIA NUOVA TERMINOLOGIA La genetica per classificare i diversi mantelli dei cavalli e Il mitico cavallo dei principi delle fiabe? Dovremmo definirlo feomelaninico e era una volta il Principe Azzurro che cavalcava un bellissimo destriero bianco... Se la favola dovessimo riscriverla oggi lo definiremmo: «Cavallo feomelaninico»: forza della genetica! E' un nuovo metodo per descrivere i mantelli equini fondato su basi biologiche e sui meccanismi genetici della pigmentazione. Nei secoli il cavallo ha accompagnato ed affascinato l'uomo per la sua forza e velocità ma anche per la bellezza; Così nel corso della sua evoluzione il mantello è stato classificato in modi diversi, in base a conoscenze poco scientifiche, aree geografiche e soprattutto con una terminologia tramandata. Ogni Paese ha cercato una propria definizione che oggi va un po' stretta per l'elevato scambio di soggetti dalle varie parti del mondo. Ricercatori italiani e francesi hanno così standardizzato una nuova nomenclatura imperniata sulle attuali conoscenze biologiche una combinazione di fenomeni quali: quantità di pigmento, grado di dispersione dei granuli cromatici, rifrazione della luce, variabili rapporti volumetrici tra lo strato corticale e midollare e dal contenuto d'aria nel midollo del pelo stesso. Altri fattori fisici, chimici e biologici interni ed esterni influenzano la pigmentazione, l'effetto ottico-colore e la distribuzione topografica sul corpo dell'animale. Così, intensità della luce, umidità temperatura, secrezioni cutanee, età, alimentazione e grado di pulizia agiscono variando la lucentezza e quindi la bellezza estetica del cavallo. C'è stato un lento progresso nella ricerca genetica equina dovuto ad elevati costi e al lungo intervallo di generazione della specie. Il modello mendeliano con geni dominanti e recessivi è stato alla base di questi studi. Il gene cromogeno dominante regola la sintesi del pigmento e il suo recessivo il fattore albinismo; così come è dominante il gene della distribuzione uniforme del pigmento su tutto il corpo ed è recessivo quello della limitazione su alcune zone quali arti, criniera, coda, testa. Grigio, baio, morello isabella, sauro, ubero, pezzato, roano: queste sono ancora oggi le definizioni italiane classiche dei mantelli equini, ritenendo il sauro il colore di fondo più comune. Come si nota il colore bianco non esiste, in realtà si tratta sempre di grigio più o meno chiaro; solo nella depigmentazione totale (albinismo) si può parlare di pelo bianco. Nel nuovo sistema proposto, la pigmentazione è descritta con i termini di «eumelaninico» il soggetto con pigmento scuro (nero o bruno) su tutto il mantello e di «feomelaninico» quello completamente depigmentato. In mezzo a questi due estremi si classificano altri tre modelli intermedi in base al disegno pigmentato di alcune parti del corpo. Questo semplifica la difficile tipologia precedente di alcuni mantelli più vari e complessi e può spiegare come le roanature (presenza di peli depigmentati misti a peli normalmente pigmentari) sia congenita mentre l'ingrigimento con medesime caratteristiche di colore sia invece dovuta all'invecchiamento. della pigmentazione. Il colore del mantello equino è determinato da pigmenti del gruppo delle melanine, prodotte da particolari cellule epiteliali della cute e dei peli (melanoblasti) per azione di un enzima (tirosinasi) su due aminoacidi: tirosina e diossifenilalanina. I granuli di pigmento sono contenuti nello strato corticale dei peli e in piccola quantità nel midollo di essi. L'effetto otticocolore del mantello si pensa sia peuta si limita ad affiancarsi. Purtroppo per i pranoterapeuti, di prove che persone e animali guariscano grazie al loro intervento non ce ne sono. Ci si dirà che, anche se non fa bene, la pranoterapia non fa neppure male. Verissimo. Ma è altrettanto vero che fa molto bene al portafoglio dei ciarlatani (chi non lo è si faccia avanti e lo dimostri). Marco Cagnotti Marco Buri