Come la Chiesa tra'500 e'600 «curò» le anime vacillanti

Come la Chiesa, tra '500 e '600, «curò» le anime vacillanti Come la Chiesa, tra '500 e '600, «curò» le anime vacillanti L. IDEA più diffusa, V quando si parla di ✓ missioni e missionari, nasce da uno stereotipo. Si pensa immediatamente all'evangelizzazione in Africa, America, Asia; si pensa a figure umili e grandiose che strappano all'ignoranza, all'indigenza, alla morte precoce, comunità tagliate fuori da ogni consorzio civSe; si pensa a ghiotte relazioni su costumi tribali che faranno la fortuna di plurime ricerche etnologiche; mentre viene tenuta in ombra l'altra azione missionaria, quella «domestica», esercitata nel cuore del cattolicesmo europeo da singole personalità (Paolo Segneri, Pedro Catalayud, Vincent Ferrier, Francisco de Geronimo, Alfonso de' Liguori...) e da mirate organizzazioni (la Compagnia di Gesù, De Propaganda Fide, i Lazzaristi, i Passionisti, i Redentoristi...) nel corso degli ultimi secoli. Durante i quali, è vero, l'Europa non può non dirsi cristiana; ma quanto fragile il suo credo e ancor più fragile l'opera ispirata alla Buona Novella! Con l'aggravante del conquistatore musulmano che preme a Oriente e le lacerazioni interne, le guerre che oppongono Chiesa a Chiesa, i conflitti della Riforma, i rigori della Controriforma. Ce n'erano insomma di ragioni temporali e spirituali perché papi e vescovi incoraggiassero gli araldi del Signore a uscire dalle celle e ad avventurarsi nelle campagne della Castiglia, nel meridione d'Italia e della Francia, nella Slesia, nella Boemia, e più a Nord e più a Sud, con un ossessivo miraggio: riplasmare le anime vacillanti, sedurre, catechizzare, utilizzare meglio prodigi e terrori oltretombali, marcando il loro transito con moniti e simboli (la croce piantata sulle alture di ogni paese, di ogni villaggio) che servissero a tenere all'erta i fedeli fino alla missione successiva. E' questo il nucleo di un saggio storico, minuziosissimo, che ci offre Louis Chàtellier, dell'Università di Nancy, già noto da noi per l'Europa dei devoti (Garzanti, 1988). Le domande preliminari che egli si pone sono le stesse che si ponevano chiaroveggenti autorità post-tridentine: non sarà, per caso, la religione un privilegio dei ricchi e degli indottrinati? Cosa mai potevano comprendere dei sermoni, delle lettere pastorali, delle esegesi di un Bossuet, di un Fénelon, i poveri contadini di una qualsiasi regione dell'Occidente votata nominalmente a Cristo? E non si rischiava forse un totale azzeramento delle parabola evangelica proprio là dove si era più propensi a radicarla e celebrarla? Necessitava perciò riprendere il cammino, tornare a investire nelle classi subalterne, se si voleva contrastare il processo di secolarizzazione in atto e, poco dopo, le insidie dell'Illuminismo e della Rivoluzione. Donde il vigoroso apostolato dei Cappuccini col celebre padre Joseph du Tremblay, l'impeto pervasivo dei Gesuiti, le strategie di un nuovo organismo, MACARTHUR? Retorico, eccessivo, veteroreaganiano. Giap? Fuori moda, terzomondista, appassito. Schwarzkopf? Troppo grigio, tecnologico, impiegatizio. Il soldato-simbolo di questa fine di millennio rischia di essere proprio lui, il generale Morillon, comandante dei Caschi blu nei giorni più bui del massacro bosniaco. Con i suoi occhiali d'oro, l'aria da intellettuale, i bicipiti inesistenti è l'ultima reincarnazione di Marte in questi anni insanguinati di pace. Perché Rambo è morto e non soltanto al cinema, cancellato dalla fine dell'impero del male, del nemico. E' arrivato il tempo del soldato infermiere, del combattente che porta gli aiuti umanitari, che paradossalmente non ha il diritto di sparare se non in casi l ;ii disegno di Daainicr. In alla un disegno di lieurdsley De Propaganda Fide, che s'impegna a coordinare le sparse iniziative, nonché le imprese del «Collegio tedesco» destinato alla formazione di un clero d'assalto che avrebbe combattuto nelle aree maggiormente colpite dall'eresia. In pari misura, predicazione, rappresentazione scenica e fascino del «restauratore» contribuiscono al felice esito della missione. Paolo Segneri il Vecchio (che percorre dal 1655 al 1692 ventitré diocesi negli Stati Pontifici e nel settentrione della penisola, con una media di una ventina di missioni all'anno) diventa leggendario grazie a una «percettibile» virtù: la mortificazione. Porta il cilicio, dorme su un tavolaccio, mescola la cenere al cibo. Ma è altresì trascinante oratore e abile regista del complesso cerimoniale. Non un'ora degli otto giorni previsti nell'economia missionaria poteva essere sottratta alla severità della disciplina. Temi ricorrenti che soggiogavano l'uditorio: la sorte miseranda del peccatore incallito, le trappole di Satana, la confessione sacrilega. Il mercoledì, il giovedì e il venerdì avevano luogo, a notte avanzata, le processioni della penitenza. Si cominciava con una processione intorno al villaggio, al lume delle torce, cantando litanie. Poi le donne erano invitate e rincasare, e gli uomini si ammassavano in chiesa, ormai pronti a imitare il predicatore nella santa fustigazione. Saliva alto il Miserere via via che le corregge si abbattevano sulle spalle dei penitenti, e qualcuno gridava in preda a terribili visioni: «Non voglio, non voglio! Piuttosto morire che peccare!». Reviviscenza dell'allestimento barocco può essere definita l'opera missionaria della Restaurazione, specie in Francia, all'inizio del ventesimo secolo. Ad esempio, nel Midi, gli Oblati di Maria istrutiti dall'abate di Mazenod riportano in auge il rito penitenziale nelle sue forme più cupe: devoti scalzi, corde al collo, ciascuno con una pesante croce su per sentieri impervi. In Bretagna, Jean-Marie de Lamennais rispolvera l'uso dei sermoni al cimitero, con teschi che rotolano nelle fosse a ritmo concertato. A Villefranche d'Aveyron il predicatore si giova della collaborazione di un organista e di un sapiente datore di luci al fine di amplificare la suggestione collettiva. L'uno commenta il Decalogo, l'altro simula il tuono divino con accordi in crescendo, e il terzo si adopera in modo che l'altare s'illumini gradualmente e quindi esploda in un bagliore soprannaturale, acquisendo il significato del monte Sinai. Ad Haguenau, nel 1826, il sermone di chiusura di un padre redentorista è perentorio: «Sfidate il mondo e andategli incontro con ciò che si merita: cioè col disprezzo». E il gesuita Guyon, riferendosi ai fratelli separati, agli esclusi, ai tiepidi, cattolici e no: «Fuggite i loro discorsi. Fuggiteli come il diavolo o la peste». E più di un predicatore riprende la consuetudine di padre Honoré de Cannes: presentare agli ascoltatori, dall'alto del pulpito, un teschio che di volta in volta abbiglia con il tocco-di magistrato, una parrucca femminile o una di cerusico, eccitando la fantasia non meno che la coscienza del devoto. Eppure, nonostante gli artifici retorici, il fanatismo aggiornato e incentivato, il diverso atteggiamento del potere centrale (confraternite e pie associazioni laiche che godevano di larga autonomia, costrette a passare sotto il controllo del curato), il ruolo del missionario un po' eroe, un po' oracolo con la frusta, un po' compagno di strada, non perde di rilevanza. Cambiano gli strumenti della comunicazione, si spegne l'enfasi. Partito dai centri urbani per rivitalizzare la fede nelle oscure campagne e fin nei più remoti casolari, scopre che il terreno operativo è quello che sta inaridendo sotto gli occhi, negli agglomerati delle nascenti città industriali. Giovanni Bosco a Torino e Antoine Chevrier a Lione si trovano di fronte una folla retrattile, spesso rabbiosa, con un vago dio da bestemmiare. A costoro non si possono rivolgere apologhi-placebo, bensì accenti cristiani non dissimili da quelli diretti da San Paolo ai proletari del suo tempo. E la vasta indagine di Louis Chàtellier sembra che raggiunga il massimo interesse soprattutto qui, nella linea di continuità che corre tra il missionario della tradizione rurale e il missionario che si configura nel prete-operaio della società moderna. Scarno, grigio su grigio, e senza organo in sottofondo contro i mali dell'esistenza. Giuseppe Cassieri Louis Chàtellier La religione dei poveri Garzanti pp. 286. L. 50.000