Un «trappolone» per il Cavaliere di Augusto Minzolini

Un «trappolone» per il Cavaliere Un «trappolone» per il Cavaliere Anche il Quirinale sconsiglia di ingaggiare battaglia 4 i# !|l|| L'INCUBO DEGLI AZZURRI ROMA. Sono da poco passate le 17 e davanti al portone di palazzo Chigi i deputati di Forza Italia contattati per scegliere il nuovo capogruppo continuano a dividersi sul «caso» Di Pietro. Il sottosegretario Giovanni Miccichè azzarda una tesi «controcorrente». «Per me - spiega ai suoi - Di Pietro ha lanciato a Berlusconi un'ancora di salvezza: quello ha capito che Tangentopoli è finita e vuole un ruolo in politica. Ferrara invece ha voluto rendere la pariglia ai Pm di Milano per il decreto Biondi. E' stato un errore. Inoltre con la nomina a "coordinatore" di Forza Italia Previti potrebbe lasciare libero il ministero e, a quel punto, facendo i dovuti passaggi, si potrebbe liberare un posto per Di Pietro». Di tutt'altro tipo, invece, è la dissertazione di Alessandro Meluzzi dal titolo «il trappolone»: «La verità è che qualcuno vuole tenere su una maggioranza di destra anche nel caso che Berlusconi dovesse cadere. E sta preparando sotto sotto una «leadership» Di Pietro». Che confusione c'è in quei discorsi che si susseguono nell'androne di palazzo Chigi, ma alla stessa ora, nell'anticamera del consiglio dei ministri, davanti a Cesare Previti e a Gianni Letta, Silvio Berlusconi dichiara chiuso il secondo scontro con Di Pietro. «Si sono fatte - spiega ai suoi il capo del governo - troppe chiacchiere. Si parla troppo. Ci vorrebbe un po' di calma per dare tempo alla polvere di posarsi a terra. A questo punto posso dire solo una cosa: tutte le proposte sono buone e si possono valutare, anche quella di Di Pietro; l'importante però è che i magistrati facciano i magistrati, non possiamo certo andare verso "la Repubblica dei giudici"». Parla il presidente del Consiglio col tono di chi pensa di aver ottenuto qualche risultato da tutto quello che è successo. Grazie al «tourbillon» scatenato da Giuliano Ferrara con una miriade di dichiarazioni contro Di Pietro, il presidente del Consiglio è riuscito, infatti, ad alzare la voce con l'autorevolezza del «mediatore». E che abbia conquistato qualche punto lo dimostra il plauso inaspettato che gli viene da un antico nemico come Luciano Violante e il fatto che il «caso Di Pietro» nel consiglio dei ministri finisce addirittura nel limbo. Nella riunione, infatti, non se ne parla proprio. Nella sua introduzione Berlusconi si limita a richiedere ai ministri una maggiore armonia. «Non dovete - dice - essere conflittuali». E invece di polemizzare con i giudici di Milano tira le orecchia a Maroni per l'incontro con De Benedetti del giorno prima. «Siamo - osserva - un po' polifonici. Tra noi ci sono polemiche dirette e indirette e quell'incontro ad Ivrea di Maroni mi è sembrata una polemica indiretta nei miei confronti». E di Di Pietro? Niente: quel nome fa capolino solo quando Speroni avverte gli altri, con una buona dose d'ironia nei confronti dei «media», che le tv parlano di un consiglio dei ministri «animato» dal caso Di Pietro. E allora come è finita? Ferrara a sera fa solo un paragone: «Se io due mesi fa avessi detto di Di Pietro, di quel sepolcro imbiancato, le cose che ho detto oggi, tutti avrebbero richiesto in coro le mie dimissioni. Invece oggi niente: e Berlusconi mi ha coperto. Non parlo di autogoal dei giudici perchè non uso un gergo calcistico, ma secondo me questa volta la palla è finita davvero nella rete di Di Pietro». Adesso il ministro si mostra contento e il capo del governo pure. Ma forse l'altra sera, quando ha riunito a casa sua i fidatissimi, oltre a Ferrara, Gianni Letta e Alfredo Biondi, il capo del governo aveva sperato di chiudere la partita con un punteggio più pieno: ma in politica, si sa, non si può pretendere tutto. Quella sera i quattro avevano discusso l'atteggiamento da tenere e si erano divisi i compiti: Ferrara si era assunto, al solito, l'incarico di fare il «bulldozer», di dire le cose fuori dai denti e di sondare gli altri partiti; Berlusconi e Letta, invece, quello di sensibilizzare sull'argomento il Capo dello Stato. Quello si erano detti la sera e questo hanno messo in pratica il mattino dopo. Alle 10, puntuale, è arrivata, infatti, la prima bordata, al vetriolo, di Ferrara. Poi, il ministro si è messo al telefono, ha chiamato prima Bossi, poi D'Alema, e ha messo in guardia entrambi su un possibile rischio: Di Pietro può di¬ ventare davvero il santo che la destra di Fini può portare in trionfo alle elezioni. Probabilmente da quei colloqui il ministro ha tratto qualche segno di disponibilità o di preoccupazione. «Ho parlato con D'Alema e con Bossi ha confidato poco dopo - e non credo che questa volta si ricompatteranno con Di Pietro. Anche loro hanno capito che se diamo ai giudici il potere di selezionare la classe dirigente, lo faranno con gli uomini della maggioranza ma an¬ che con quelli dell'opposizione». E Berlusconi? In quelle stesse ore è salito al Quirinale per porre il problema allo stesso Scalfaro. Il presidente della Repubblica ha sentito le lagnanze del capo del governo e su alcuni punti si è mostrato d'accordo. Scalfaro, però, non ha voluto assecondare Berlusconi quando gli ha chiesto di rivolgere un richiamo pubblico a Di Pietro. «Secondo me a 24 giorni dal termine di presentazione della finanziaria - ha spiegato il Capo dello Stato - fareste bene a litigare di meno...dovreste solo pensare a governare». Una cosa, però, alla fine Berlusconi è riuscito a strapparla al Quirinale: Scalfaro ha promesso di interessare della cosa il vicepresidente del Csm, prof. Capotosti. Tornato a palazzo Chigi il «gioco delle parti» è andato avanti. Berlusconi ha fatto una dichiarazione misurata parola per parola: ben venga il contributo di Di Pietro - è il senso - ma i giudici debbono fare i giudici. Ferrara, contemporaneamente, ha continuato a fare il «carro armato». Dalla sua bocca è uscito di tutto contro la proposta Di Pietro. «Io - ha spiegato - non sono d'accordo neanche nel merito: questo è un ricatto, la delazione che diventa legge dello Stato, ma siamo matti! Ci sarà gente che che salvarsi accuserà chi vuole di reati mai commessi. Inoltre è una operazione ambigua... Ma perchè Di Pietro questo suo contributo non l'ha dato riservatamente? No, lui ha preferito le telecamere di Cernobbio perchè dopo il giudice vuol fare qualche altra cosa». Parole forti che tutti hanno criticato: da D'Alema a Fini. Ma, questo è il dato nuovo, dagli altri, a cominciare dal pds, sono arrivati anche consensi alla posizione di Berlusconi. Senza contare che gli uomini di Fini hanno di nuovo giurato fedeltà: «Di Pietro premier? Ma chi l'ha detto - si inalbera La Russa - Fini è con Berlusconi e noi per tradizione siamo fedeli fino alla fine con l'alleato scomodo». Risultato: la proposta Di Pietro è diventato un contributo tra tanti e tutti i partiti hanno posto un «alt» all'invadenza dei giudici. E Ferrara? Si è tolto la soddisfazione di violare la «sacralità» del pool senza uscirne massacrato. A sera era giulivo: «Gli schiavetti di Di Pietro - raccontava - hanno messo in giro la storia delle mie dimissioni. Ma non è vero niente. Io ho detto delle cose e Berlusconi mi ha coperto. Un po' quello che ha fatto D'Alema con il giudice D'Ambrosio. Sì, ho fatto per Berlusconi quello che D'Ambrosio ha fatto per D'Alema». Augusto Minzolini Il Colle: «C'è la Finanziaria: litigate di meno, pensate a governare» Da sinistra, Quirinale, il ministro della Difesa Cesare Previti e Carlo De Benedetti. Sotto, il pm Antonio Di Pietro Il presidente Scalfaro

Luoghi citati: Cernobbio, Ferrara, Ivrea, Milano, Roma