l'ultima delusione sulla città martire di Giuseppe Zaccaria

ESTERO Karadzic aveva tentato ancora una provocazione: Wojtyla si metta sotto la mia protezione l/ultimq delusione sulla città martire L'inviato Onu scrive al nunzio: meglio rinunciare SARAJEVO DAL NOSTRO INVIATO E adesso? «E adesso rassegniamoci, anzi continuiamo a pregare. Delusi? No, in momenti come questo amo citare George Bernard Shaw, o se preferisce Sant'Ignazio, il senso è lo stesso: chi non si aspetta niente non sarà mai deluso. E poi, chissà: anche questa rinuncia potrebbe avere effetti positivi». Povero padre Topic: aveva reimbiancato le pareti del suo seminario, distribuito candele e biglietti, chiesto al governo legna per il palco, sguinzagliato fedeli alla ricerca di tubi Innocenti per una croce alta nove metri e adesso tutto crolla non per una granata serba, ma per una rinuncia. In pochi minuti, tutto è diventato inutile, gli entusiasmi di un minuto prima appaiono velleitari, il futuro... Già: e il futuro, padre Topic, adesso come si presenta? Allarga le braccia, il prete più combattivo dell'arcidiocesi di Sarajevo. Alle diciotto in punto il nunzio apostolico, Monterisi, si era recato dal presidente Izetbegovic per un incontro che si annunciava importante, ed alle sei è cinque era già chiaro che il Papa non sarebbe venuto. Eppure la comunicazione ufficiale è stata tenuta riservata fino alle 19,15, ora del più seguito fra i notiziari radiofonici di Bosnia. Monterisi aveva con sé una lettera di Yasushi Akashi, plenipotenziario dell'Onu: un freddo, cortese messaggio con cui il diplomatico giapponese sconsigliava vivamente il Vaticano dall'insistere nella missione. L'attività serba degli ultimi giorni, le ripetute scaramucce intorno all'aeroporto, le dichiarazioni su una sicurezza che «nessuno avrebbe potuto garantire», e poi la mitragliera piazzata sulla rotta di avvicinamento degli aerei, le piccole battaglie che da giorni a Sarajevo si scatenano all'imbrunire, non lasciavano presagire nulla di buono. Già in mattinata, a Zagabria, il portavoce dell'Ùnprofor aveva tenuto a ribadire che «a Sarajevo non può non esserci una dose di rischio». Restava un'ultima possibilità, legata alla missione che nei giorni scorsi Monterisi aveva compiuto fra i serbi di Bosnia, incontrandosi a Pale con Radovan Karadzic, il loro leader. Ma la rispo¬ sta del cosiddetto «psichiatra pazzo» era stata rilanciata subito dalla radio serba: «Se il Papa vuole venire, che atterri in elicottero a Pale: gliela garantiamo noi, la sicurezza». Da questo punto in poi si potrebbe raccontare di una città delusa, attonita, smarrita, o chissà cos'altro ancora. In effetti, ricevuto l'annuncio, ieri sera Izetbegovic ha espresso «profondo di¬ spiacere, soprattutto per quella parte della città che attendeva con ansia la visita del Papa». Quella parte, appunto: trentamila cattolici. Ma non è questo il solo motivo per cui immaginare la desolazione di tutta Sarajevo adesso sarebbe sbagliato. Ce n'è un altro, che è più profondo: senza aver mai letto George Bernard Show e senza conoscere Sant'Ignazio, la gente di questa città ha imparato a non aspettarsi nulla da quasi novecento giorni. Qualche segnale, a guardar bene, si era notato: per esempio, molti manifesti di benvenuto strappati nonostante i muri della città non ne contenessero poi molti. Su alcuni, una scritta beffarda che suonava pressappoco così: «Non sei mica Tito». Ieri sera l'arcivescovo Vinko Pulic ed i suoi collaboratori più stretti hanno discusso a lungo l'idea di celebrare comunque una Messa solenne nell'antistadio di Zetra. Era tutto pronto, lì davanti: una lunga pedana, circa 40 metri, per evitare al Papa il tormento di salire dei gradini, una enorme croce alla sinistra dell'altare, una bandiera vaticana di 18 metri per 9. Ieri intorno allo stadio di Zetra c'era uno strano corteo di contadini, o di gente alme- no che appariva tale. E invece era soltanto gente del Kosovo - così si chiama la zona - che in barba a tutti i divieti dell'Ùnprofor si infilava fin sotto lo stadio per recuperare il recuperabile. Di cosa? Ma degli orti di guerra. Attorno, sotto, e in qualche caso anche dentro lo stadio devastato i sarajevesi avevano piantato cavoli, barbabietole e patate su ogni metro quadrato di terra disponibile. E ieri erano tutti là, a riprendersi foglie mollicce e tuberi non ancora maturi prima che le scarpe di 25 mila fedeli li distruggessero. Un'altra piccola, amara lezione, per chi ancora pensi che la devastazione di questa città possa essere fermata dalle iniziative di un pellegrino, anche il più nobile. Stasera, comunque la si veda, il futuro di Sarajevo è diventato un po' più buio, e la «pazzia» di Karadzic, la sua continua strategia di intimidazione, ha riscosso un altro successo. Alla gente di qua, oltre alla delusione la mancata visita del Papa lascia soltanto un'altra cosa: trentamila candele con cui sopravvivere ai prossimi «black out». Giuseppe Zaccaria ?} y ,% a.n AS A sinistra, il leader serbo bosniaco Radovan Karadzic Sotto, il presidente bosniaco Alija Izetbegovic

Luoghi citati: Bosnia, Kosovo, Sarajevo, Zagabria