Sulla pista nel mirino d'una mitragliera

Sulla pista/ nel mirino d'una mitragliera Sulla pista/ nel mirino d'una mitragliera Spunta una batteria serba lungo la rotta di Wojtyla ISARAJEVO L cuore dice sì, la diplomazia forse: il realismo spingerebbe invece a gridare «resti a casa, Santità». Mancano quarantott'ore al momento in cui un jet bianco dovrebbe stagliarsi sulle alture della Bosnia centrale per poi scivolare d'ala e scendere quasi in picchiata verso quel che resta dell'aeroporto di Sarajevo, e finora sulla sicurezza di Giovanni Paolo II e di quanti lo accompagneranno non esiste alcuna garanzia seria. «Se parlo col cuore, dico che Sua Santità al cento per cento sarà a Sarajevo - ripete, in una conferenza stampa mai così affollata, l'arcivescovo Vinko Pulic -, ma anche se non potrà venire dovremo accettare le cose come sono. Vi dico però che quest'uomo ha imparato a vivere e a sopravvivere, e lo farà anche adesso...». Il presule è un po' emozionato, ribadisce che da parte bosniaca e sul versante Onu le garanzie ci sono tutte: i caschi blu si occuperebbero di proteggere Giovanni Paolo II dal momento dell'arrivo a quello dell'ingresso in città, subito dopo toccherebbe a tremila uomini della sicurezza di Izetbegovich. Sì, ma i serbi? «Su questo punto non posso dire nulla: la risposta arriverà direttamente dal Vaticano». La missione che il nunzio Francesco Monterisi ha compiuto l'altro ieri fra gli uomini di Karadzic non sembra esser stata coronata dal successo: se questo però modificherà la decisione del Papa, è cosa che si potrà sapere soltanto oggi, e solo attraverso la Santa Sede. C'è però un elemento che potrebbe aver reso ancora più allarmati i rapporti del nunzio apostolico alla Santa Sede: da quattro giorni, i serbo-bosniaci hanno piazzato una batteria antiaerea a meno di due miglia dall'aeroporto, in posizione perfettamente allineata alla rotta di avvicinamento degli aerei. Ecco, cosa stava accadendo da qualche giorno intorno alla vecchia, martoriata pista di Butmir: «C-130» francesi, tedeschi, canadesi che partiti da Zagabria o da Ancona improvvisamente viravano e tornavano indietro, anche due volte nella stessa giornata. Giornalisti, centinaia di giornalisti in attesa di mettere piede a Sarajevo, che continuavano ad essere sballottati su e giù per l'Adriatico senza capire cosa stesse succedendo, e in genere venivano zittiti con la spiegazione: «Torniamo indietro per il maltempo». Adesso si scopre che la minaccia del «maltempo» si manifesta attraverso le canne binate di una mitragliera: dalla posizione in cui è collocata, l'arma potrebbe abbattere qualsiasi aereo che si apprestasse all'atterraggio. Qui ci vuole una breve parentesi. Dovete sapere che l'attcrraggio a Sarajevo costituisce già di per sé un'esperienza unica. Ti trovi su aerei che hanno appena preso quota per superare l'ultima cresta boscosa e di colpo hai l'impressione di precipitare, perché il velivolo scivola d'ala a dritta, va giù per tre o quattrocento metri quasi stesse per cadere a piombo, poi raddrizza e plana quando la pista è appena duecento metri più sotto. La procedura è stata messa a punto dopo l'abbattimento del nostro «G-222» e la morte dei piloti italiani: dovrebbe servire a evitare il tiro di batterie o di missili «Stinger». E' un atterraggio pericoloso già solo nelle procedure di av¬ vicinamento: non è difficile immaginare, a questo punto, quale effetto abbia avuto sui piloti della Nato la scoperta di quella nuova batteria, piazzata proprio di fronte alla pista, come ad avvertire: fate pure le vostre evoluzioni, noi vi aspettiamo qua. Una provocazione, senza dubbio: meglio, una canagliata. Appena scoperto il movimento l'Unprofor ha mandato i suoi caschi blu a circondare e sorvegliare la postazione. Pensare che da lì qualcuno volesse sparare all'aereo del Papa appare folle: chi davvero coltivasse il progetto certo non ricorrerebbe a batterie così visibili, o a punti di fuoco di così facile localizzazione. E' fin troppo facile prevedere che qualsiasi incidente nel viaggio papale sarebbe organizzato in modo da lasciare a lungo incerta la paternità dell'azione. Ad ogni modo, l'ultima iniziativa serba ha già raggiunto il suo scopo: far innalzare il livello di tensione anche fra i caschi blu. E' strano, ma dopo una settimana trascorsa a Sarajevo si ha la netta impressione che qualcuno stia manovrando la manopola del «thrilling». Se adesso foste qui (è l'imbrunire, la città anticipa il coprifuoco che scatta alle 22) sentireste scoppiare improvvisa la fucileria, a tratti interrotta dal boato delle granate. Non si è ancora capito chi spari a chi. Non si è capito bene come mai, da tre sere a questa parte, contro le auto che si affrettano a ricondurre verso l'«Holiday Inn» gli ultimi clienti, si accaniscano le raffiche dei cecchini. Non si capisce neanche - a meno di volersi perdere in ragionamenti bizantini - perché mai le Nazioni Unite abbiano deciso di rendere pubblici proprio oggi i risultati dell'inchiesta sulla granata caduta il 18 agosto sull'aeroporto. Un proiettile bosniaco? Il governo di Izetbegovic reagisce violentemente, nega ogni responsabilità, dice che l'inchiesta locale ha dimostrato che a sparare furono i serbi che occupano la zona di Turbe Pavlovac. Ma quel che più conta sono gli effetti che questa nuova polemica sta scatenando nella città che si appresta a ricevere il Papa. Tensione, allarme, un nervosismo sempre più palpabile. Monsignor Pulic prevede che dopodomani, allo stadio del ghiaccio di Zetra, ad assistere alla Messa - se Messa sarà celebrata - ci saranno 25 mila persone. I biglietti saranno distribuiti a partire da oggi in cinque sedi dell'arcidiocesi («anche a musulmani, se ne faranno richiesta»). Per giornali e tv la stessa autorizzazione costa 200 marchi: ogni occasione è buona per finanziare uno Stato allo stremo. Le strade del percorso papale saranno bloccate due ore prima dell'arrivo, i fedeli che vorranno andare a Zetra dovranno recarvisi a piedi o in autobus. Intanto nella cattedrale continuano le funzioni religiose, le serate di preghiera e le prove del coro di 200 elementi che dovrebbe accompagnare coi suoi canti le benedizioni del Papa. Non è del tutto secondario far sapere che del gruppo fanno parte anche diverse ragazze musulmane, che hanno chiesto di partecipare. Esiste anche un piccolo, prezioso ricordo, per questa visita ancora tutta da confermare: un distintivo d'alluminio con la data dell'8 di settembre, la scritta «Papa Ivan Pavao II» e «S vama smo», siamo con voi. Al centro una piccola arguzia grafica: la scritta «Mir», che significa pace, è riprodotta nei due sensi di lettura. Da destra a sinistra si può leggere anche come «Rim», Roma. Roma eguale pace, insomma. Bello. Peccato che qui a crederci siano davvero in pochi. Giuseppe Zaccaria Caccia al biglietto per la Messa all'aperto: ai giornalisti costa duecentomila lire Sono invitati anche i musulmani Monterisi e Vinko Pulic In alto un crocifisso tra le macerie a Sarajevo Qui accanto un manifesto che annuncia la visita del Papa Vanno a ruba La gente li stacca e se li porta a casa [FOTO ANSA)

Luoghi citati: Ancona, Roma, Sarajevo, Zagabria