Tom & Piego ditelo col corpo

Tom & Piego, ditelo col corpo Tom & Piego, ditelo col corpo Hanks, pallida creatura spaziale Abatantuono, il bello e la bestia VENEZIA DAL NOSTHO INVIATO Tom Hanks, come pure Diego Abatantuono, è uno che al cinema usa soprattutto il corpo per passare emozioni, la minuscola testa allungata, l'occhietto tondo da uccello rapace, le lunghe gambe flessibili come arti meccanici: è una creatura pallida, nera, spaziale. Vincitore di un Oscar per la straziante figura di avvocato malato di Aids in «Philadelphia», è arrivato a Venezia, con moglie a seguito, per un'altra interpretazione virtuosistica, il subnormale Forrest Gump dell'omonimo film di Zemeckis, record d'incassi di quest'estate americana. Campione di quell'umanità sempre più vasta con quoziente intellettivo sotto la norma, Forrest Gump riesce a diventare campione di baseball, a vincere ima medaglia in Vietnam, a incontrare tre presidenti degli Stati Uniti più Elvis Presley e John Lennon, a far parte della delegazione americana nella Cina del dopo Mao, ad arricchirsi sconsideratamente con la pesca dei gamberi, perfino a farsi amare dalla ragazza dei suoi sogni perché ha mantenuto un cuore innocente e una mente semplice. E Tom Hanks, come il suo eroe cinematografico, ne ripropone lo schema. «Sono un uomo fortunato. Ho _ ,, . avuto la possibi- TomHanks lità di fare uno dopo l'altro tre ottimi film e ho persino potuto lanciare in ognuno di loro un messaggio positivo che mi fa sentire in pace: non sono solo un prestatore d'opera mercenario». Il suo ruolo più amato? «Non so, sarebbe come scegliere quale dei miei tre figli preferire». Tecniche interpretative? «Niente di speciale. Cerco di pensare a cosa farebbe in quel momento il mio personaggio, e allora mi muovo come lui, rido come lui, dico quello che credo direbbe». E' difficile essere uno stupido? «No, perché io a questo stupido ho voluto dare dignità umana graffiando il pontenziale dei sentimenti che è dentro di noi». La scena più faticosa? «Recitare davanti a un nastro registrato gli incontri con i presidenti Kennedy, Johnson e Nixon come se fossero tuttora esseri viventi. L'ho rifatta cento volte. Mi sentivo uno scimpanzè ammaestrato. Ma, potenza degli effetti speciali, quando l'ho vista montata, ho avuto un'autentica umana fortissima emozione. Ero stupefatto». Diego Abatantuono elenca puntigliosamente le cose che nel giro tra Croazia e Ungheria, per girare «Il toro» di Mazzacurati, lo rendevano pazzo di rabbia. Primo, una camera d'albergo con il riscaldamento a 40 irriducibili gradi che lo facevano sentire come un prodotto da liofilizzare. Secondo, un letto troppo corto nel quale ha potuto dormire solo mettendo un materasso sopra l'altro e scavalcando così la testata a sbarre di ferro non demolibili. Terzo, una pervicace puzza di fritto che non si riusciva a mandar via con nessun deodorante. Quarto, aver sete, fare giù giù, infilare un pollice in bocca nel gesto universale di richiesta d'acqua, e trovarsi davanti camerieri attoniti che giurano di non capire e non portano liquido alcuno. «Perché nei Paesi dell'Est la situazione è ancora questa: si sa che è successo qualcosa, ma non si capisce cosa è successo e nell'attesa regna il più bieco immobilismo. Son tristi, là, come se fossero caduti dalla padella nella brace e non sapessero in che maniera venirne fuori». Lui, comunque, da italiano che conosce l'arte d'arrangiarsi, un metodo per sopravvivere l'ha scovato: si porta dietro una piccola antenna parabolica, se la monta sulla ruolotte, e si spara ore di tv per non vedere e non soffrire. «Anche se mi devo accon- tentare di Raiuno e Raidue perché Canale 5 punta troppo in basso per arrivare oltre l'Italia, in questi anni non mi sono mai perso una partita di pallone, che è già qualcosa». Nemico ostinato di ogni retorica artistica ma fiero di essere diventato un segno di stile cinematografico, non entra, Abatantuono, nell'eventuale metafora suggerita dal film di Mazzacurati, ma piuttosto racconta il suo rapporto personale col toro, un bestione di millequattrocento chili, comprato a prezzo di carne in scatola in un allevamento di San Dona del Piave e trasferito adesso nella campagna di Ovindoli, dove vive il camionista del film che l'ha adottato. «Non è che io con le bestie ci stia poi tanto volentieri. Preferisco gli uomini. E poi 'st'animale enorme, a me che son sempre il più grosso di tutti, mi faceva paura. Un toro se guarda in basso carica. E addio. Come nella corrida. Allora ho imparato a tirarlo col ferro su per il naso, cercando di non farlo arrabbiare mai». E c'è riuscito? «Son qua». Simonetta Rcbiony _ ,, . TomHanks

Luoghi citati: Cina, Croazia, Italia, Ovindoli, Quarto, Stati Uniti, Ungheria, Venezia, Vietnam