Il Toro in viaggio per un'altra vita di Lietta Tornabuoni

Una parabola con attori bravi Riuscito il cinese «Vìve l'amour» Il film di Mazzacurati, primo italiano in concorso ]p m maggio ]per urìaltra vita VENEZIA DAL NOSTRO INVIATO Primo film italiano in concorso, «Il toro» di Carlo Mazzacurati, con Diego Abatantuono e Roberto Citran uno più bravo dell'altro, è per metà riuscito, per metà no. Racconta un ambiente singolare e interessante, di rado o mai visto prima al cinema: una stazione di monta taurina con il suo campione Corinto, toro da riproduzione straordinario che vale un miliardo; le migrazioni dei bovini attraverso i confini da un Paese europeo all'altro, così simili a quelle degli uomini in fuga o deportati dalla guerra; le vaste imprese o le cooperative minori di allevamento del bestiame, l'analogia naturale tra persone di diverse nazioni e lingue che fanno lo stesso mestiere. Racconta uomini che conosciamo purtroppo bene, quelli che dopo anni di lavoro d'improvviso vengono licenziati, neppure riescono a farsi liquidare equamente, restano assediati dal bisogno di soldi e dall'assenza di futuro, neanche arrivano una sera a divertirsi ma soltanto a litigare tra loro: sono lavoratori, e di rubare, trafficare, commerciare, inventare, arrangiarsi non sono capaci. Per furore, rancore, urgenza e speranza, Abatantuono licenziato tenta un'impresa impossibile: ruba il toro prezioso, insieme con Citran lo caricano su un camion e partono per andare a venderlo in Ungheria. Nel viaggio incontrano i profughi del caos sanguinoso dell'ex Jugoslavia, una famiglia contadina ospitale, gente rifiutata e senza risorse quanto loro, il cambiamento postcomunista, il cinismo degli sfruttatori di catastrofi anche italiani, la sfortuna: quando il tentativo pare disperatamente fallito arriva la soluzione, uno scambio, il toro prodigioso contro trecento vitelli che consentiranno ai due di costruirsi una nuova attività. Parabola eloquente, e non nichilista. Momenti molto belli: il ritrovarsi di colpo circondati dal candore impenetrabile e misterioso della nebbia e della neve, l'enigma sconcertante delle lingue incomprensibili, le mandrie sterminate di bovini sulla pianura ungherese, la faccia di Abatantuono sconfitto che in una chiesa quasi prega, quasi piange. La parte del film che segue i due amici è bella e riuscita, anche se le loro personalità restano appena abbozzate e la loro impresa illogicamente strutturata; la parte sull'Est europeo risulta approssimativa, sommaria, nutrita di espedienti narrativi facili davvero troppo soliti (la festa di nozze, il locale notturno d'albergo). Forse per fretta o altro, il solido talento di Mazzacurati nel raccontare storie non è stato servito da una scrittura adeguata. E' invece compatto, molto riuscito, stilisticamente ammirevole, «Aiqing Wansui» (Vive l'amour), film di Taiwan diretto da Tsai Ming-liang, 37 anni, regista vincitore all'ultimo Cinema Giovani di Torino, anch'esso straziante parabola esistenziale, riflessione sulla solitudine, su vite senza senso, sull'alienazione ur¬ bana. Un appartamento in vendita, vuoto come la realtà, lussuoso come ogni benessere desiderato, viene occupato abusivamente da due ragazzi e una ragazza che all'inizio non si conoscono e reciprocamente spiano la rispettiva clandestinità, che poi si legano uno all'altro in rapporti di sesso disamorato. Il film comportamentale, quasi muto, lento nel ritmo, ricchissimo d'eccellenti idee di regia, bene interpretato, racconta la solitudine nelle facce, nelle soste da soli al caffè, nel rapporto di ciascuno dei tre con il proprio corpo, nei gesti dell'isolamento (un ragazzo si esercita a baciare sulla superficie liscia d'un frutto, si muove nelle stanze sgombre e deserte con indosso abiti e scarpe femminili); racconta un sesso consumato con fredda voracità, senza sentimento e senza parole, oppure solitario (il ragazzo che si masturba nascosto sotto il letto sul quale gli altri due fanno l'amore); racconta giornate senza amici né affetti, in cui soltanto la sveglia a forma di gallo ti dice «buon giorno» dopo il chicchirichì del mattino. Molto bello, il film si conclude alla maniera di Antonioni. La ragazza cammina a lungo sola nel risuonare sordo dei propri passi attraverso la città perennemente in distruzione e in costruzione; poi siede su una panchina e singulta per interi minuti nel suo pianto solitario, desolato, di pietà per se stessa e per la vita. Lietta Tornabuoni Una parabola con attori bravi Riuscito il cinese «Vìve l'amour» gio ltra vita Foto grande e a destra: Abatantuono nel film. Sotto, Mazzacurati

Luoghi citati: Jugoslavia, Taiwan, Torino, Ungheria, Venezia