Italia, la Storia Infelice

Italia, la Storia Infelice IL CASO. Siamo davvero un popolo triste? Repliche a Del Buono Italia, la Storia Infelice Colpa nostra: nessuno è innocente s FOGLI le pagine della storia italiana e incontri «il Risorgimento tradito», prosegui nella lettura e incappi nella «vittoria mutilata», quella della prima guerra mondiale da cui nasce il fascismo, crollato con un «tradimento». Nasce la Repubblica e ha appena il tempo di guardarsi intorno che «tradita» è anche la Resistenza. E via con la democrazia incompiuta, con la vergogna di essere italiani... Italia Paese sfortunato. «Nella nostra storia abbiamo pochi periodi felici, ovvero pochi periodi in cui ci siamo potuti consolare con la speranza di un futuro migliore», scrive Oreste del Huono nella sua rubrica sulla Stampa, rispondendo a un lettore. «Naturalmente, non è solo colpa della classe dirigente - aggiunge -. Nessuno è innocente». Abbiamo una storia triste. Siamo nati sotto una cattiva stella? Del Buono non vuole ergersi a storico: «Sono solo un cronista - ci spiega -, ma ricordo di aver sempre sentito parlare di disgrazie. L'Italia fatta, ma gli italiani no. I combattenti traditi. Il ventennio fascista ci ha proclamato eroi e vincitori, ma è stato tutto una lamentela contro potenze "demogiudoegiudilì" che ci negavano un posto al sole. Del resto, del popolo italiano Mussolini non era affatto soddisfatto, l'ha detto e l'ha scritto. Poi abbiamo avuto il tradimento del fascismo, seguito da quello della Resistenza e tutti i guai con la democrazia. Negli Anni Sessanta hanno provato a farci credere che eravamo tutti ricchi e consumatori ma, in fondo, è stato come nel Ventennio, quando ci proclamavano eroi e vincitori». «Nessuno è innocente», ribadisce Del Buono. «E la colpa sta nell'incapacità di scegliere la classe dirigente giusta», commenta lo storico Nicola Tranfaglia: «In L'Italia civile, Norberto Bobbio visitava la galleria degli uomini che avevano dato qualcosa al nostro Paese. Beh, nessuno aveva avuto responsabilità di governo». Non si può quindi parlare di sfortuna? «E' un problema storico. Per troppi anni abbiamo vissuto divisi e dominati, condizione che certo non aiuta la formazione di una classe politica autonoma e innovatrice». Ma ora sono passati oltre 130 anni di Stato unitario. «Già, e allora viene da chiedersi se questa difficoltà non derivi da certe caratteristiche del nostro patrimonio culturale - continua Tranfaglia -. Se la tendenza a commettere errori gravi, a non mantenere le promesse fatte, non ci venga piuttosto dalla tendenza caratteriale a fornire illusioni più che cose concrete». Insostenibile leggerezza del nostro patrimonio genetico, ovvero bugiardi che mentono in nome della ragion di Stato pur sapendo che verranno smascherati: l'idea viene dallo storico inglese Denis Mack Smith: «Tutti i Paesi hanno i loro problemi, il guaio degli italiani è che ripongono negli eventi storici speranze eccessive, così che le delusioni sono quasi sempre inevitabili». Illusi dai propri governanti: «La storia d'Italia è piena di falsificazioni, distorsioni della verità, leggende create ad arte. Il Risorgimento? Un capolavoro, un grande successo infarcito di eroismi, dicevano. Ma erano bugie raccontate per creare un senso della nazione che non c'era ancora. Poi è stato fabbricato il mito della grande vittoria in Libia. Giolitti ha falsificato i documenti pur di infondere coraggio all'opinione pubblica che andava verso la prima guerra mondiale. Doveva far credere che l'esercito italiano era all'altezza di quelli tedesco, inglese o francese. I risultati? Caporetto - continua Mack Smith -. Finita la guerra, l'Italia ha guadagnato, in proporzione, più di tutte le altre nazioni, ma si doveva creare la leggenda della vittoria mutilata per soddisfare un popolo alimentato con l'idea della nazione desti¬ nata a grandi cose. L'effetto è stata la reazione fascista. Per non parlare della propaganda di Mussolini. Come può non essere deluso un popolo che si era sentito dire: "Possiamo vincere la perfida Albione in sette settimane"?». Italia triste perché ha sempre voluto vivere al di sopra dei propri mezzi fino a trasformarsi, di fronte alla dura realtà, in un popolo piagnucoloso? «Tutte le nazioni sono sfortunate. Il guaio dell'Italia è che rifiuta di guardare ai problemi con calma e di affrontarli con energia», conclude severissimo Mack Smith. Lucio Villari non è così drastico: «Non confondiamo gli slogan con la storia. Dimezzata, incompiuta, tradita sono pure frasi ideologiche propagandistiche. Di vittoria mutilata parlava D'Annunzio perché voleva Fiume. Ma dove stava scritto che spettava all'Italia? Di Resistenza tradita parlava una minoranza in un certo periodo storico. Il Risorgimento? Ha dato tutto quello che doveva dare. Sono solo immagini, pure opinioni che diventano slogan». Ancora Tranfaglia: «I periodi migliori della nostra storia sono quelli in cui abbiamo giocato sulla difensiva, quelli tutti in salita: la Destra storica che doveva sanare lo Stato italiano; il Gioiitti dello sviluppo industriale; la ricostruzione del Dopoguerra. Quando si tratta di consolidare i risultati, invece, esplodono le difficoltà dello stare insieme, del saper scegliere gli uomini migliori». Il «forte individualismo, lo scarso senso della comunità e della collettività» sono problemi che vengono da lontano, legati al nostro passato. «E proprio qui sta il punto debole», gli risponde Valerio Castronovo: «Ma dire che l'Italia è un Paese sfortunato sarebbe un gravissimo errore. Anzi, la storia d'Italia è tempestata di episodi diffici superati brillantemente. Caporetto? Una disfatta da cui il Paese è riuscito a sollevarsi grazie ad un immane sforzo della propria macchina bellica. L'8 settembre l'Italia era spaccata in due, senza una guida, ma ha saputo riscattarsi tornando padrona del proprio destino. La ricostruzione è stata un momento esaltante, siamo stati il primo Paese a liberalizzare gli scambi. E poi la lotta al terrorismo, l'inflazione a due cifre... Se la nostra fosse una storia di insuccessi non riusciremmo a spiegarci il perché oggi facciamo parte di quel ristrettissimo gruppo di nazioni che vivono in condizione di prosperità: nel 1861, ricordiamocelo, il reddito prò capite italiano era nemmeno un quarto di quello inglese, il 75% della popolazione era analfabeta ed esportavamo un po' di vino, di olio e di tessuti». Sfortunati forse no, anche se ci piace pensarlo. «Storicamente» tristi sì: lo dicono la cronaca, il costume nazionale, i vezzi di autoflagellazione. Certo il nostro passato non è solo una lunga notte: ma tendenzialmente non ci piace. Forse proprio perché, «naturalmente», «nessuno è innocente»? Pier Luigi Vercesi Vaccusa: solo tradimenti o vittorie mutilate Dal Risorgimento a oggi: ne discutono Mack Smith, Villari | Tranfaglia e Castronovo | Oreste del Buono. A destra, «Assalto a un villaggio», ricostruzione di un episodio risorgimentale di Carlo Cataldi In alto a sinistra, lo storico inglese Denis Mack Smith. A destra, Nicola Tranfaglia: «Per troppi anni abbiamo vissuto divisi e dominati, questo non aiuta la formazione di una classe politica autonoma»