La Jihad sulle madri d'America

La Jihad sulle madri d'America La Jihad sulle madri d'America Nel Paese dei vendicatori di bimbi mai nati DELLA VITA WASHINGTON. Incontrai l'Aborto su un marciapiede di Pittsburgh, una città della Pennsylvania che oggi vivacchia nell'ombra scura delle sue enormi ferriere spente. Davanti a uno studio ginecologico chiamato pomposamente «Women's Health Clinic», Clinica per la salute delle donne, dove si nascondeva l'ultimo centro medico che ancora praticasse legalmente aborti in quella città, l'ultimo approdo della libertà di scelta femminile, secondo i suoi impiegati, l'ultima fabbrica della morte innocente, secondo i suoi nemici. Forse perché era l'ultimo, gli anti-abortisti lo avevano scelto per inscenare uno dei loro attacchi mordi-e-fuggi alle cliniche abortiste. Sul marciapiede di Pittsburgh, l'Aborto aveva la faccia pallida e il corpo esile di una ragazzina di 17 anni, allora l'età di mia figlia, avvolta in blue jeans e T-shirt. Camminava in fretta, rasente il muro, poi di corsa, per sfuggire alla tempesta che le pioveva addosso a mano a mano che si avvicinava all'ingresso. ((Assassina», «Nazista», «Strega», «Macellaia», le gridavano i picchetti degli anti-abortisti disposti a barriera davanti alla porta della Clinica, lanciandole sulla testa una pioggia di braccine e gambette strappate a bambole di plastica, sbandellandole davanti gigantografie di feti strappati agli uteri e barattoli di vetro pieni di orribili reperti anatomici galleggianti nella formaldeide. Come nella mischia di un rugby osceno, l'Aborto cercava di farsi largo nel muro umano, per arrivare alla porta smerigliata della clinica e tanto più spingeva, tanto più la mischia la respingeva. Fra le teste spuntò la telecamera di una stazione locale, il riflettore portatile si accese sul suo pallore, la ragazza lanciò un grido, «No, la tv no, mia madre non sa niente, non fotografatemi, vi prego», ma la vista di quell'obiettivo potè più dei cartelli, delle bambole smembrate, degli insulti. L'Aborto coi blue jeans e la faccia pallida girò sui tacchi, corse via con tutta la forza che le restava e scomparve. Due giorni dopo, il giornale di Pittsburgh riportò la notizia del corpo di una ragazza sui 17 anni, maglina, restituita dal fiume della città, il Monongahela, alle griglie delle chiuse giù a valle. L'autopsia determinò che era incinta dì 6 settimane. Prima di incontrarlo su un marciapiede di Pittsburgh, l'Aborto era per me, uomo, un problema astratto, un tema di discussione giornalistca o salottiera. In America, il Grande Satana delle libertà riproduttive maledetto dagli integralisti di ogni fede, l'Aborto, era anche un furibondo problema politico, capace di far vincere o perdere presidenze, di scatenare le piazze, di mobilitare lobby formidabili prò e contro nel nome di princìpi scritti con le lettere maiuscole dell'ideologia e perciò inconciliabili: Fede contro Libertà, Vita contro Morte, Costituzione contro Bibbia. Ma come tutti i «Problemi», anche l'Aborto cambia drasticamente di segno e natura quando l'astratto diventa concreto e le parole si incarnano in essere umani. E ormai ogni volta che il telefono-'squilla, e il giornale mi chiede, come ora, un articolo sull'Aborto in America, non sono le statistiche, le leggi, i giudici, i politicanti, i preti, i Papi e i Presidenti che si ripresentano subito alla memoria, ma sono gli occhi di Kathy Susan K., come si chiamava la ragazza del fiume. Per questo, le cifre significano poco, nel discutere di aborto (quanti sono ((troppi»? quanti sono «accettabili»?) e le militanze di ogni forma e grado sono sospette. Cifre e ideologie sono per loro natura intransigenti, impietose, incapaci di quei chiaroscuri morali entro i quali si muove invece la nostra esistenza quotidiana. Sono attrezzi da macelleria politica usati per operare su un tema che richiederebbe il bisturi affilatissimo della pietà, della tenerezza e soprattutto della realtà. «Gli anti-abortisti fanno finta di credere che sia un problema di leggi - ci ricorda Patricia Schroeder, deputata del Colorado - ma l'alternativa non è fra aborto e non aborto: è fra aborto legale e aborto illegale». Rassegniamoci alle cifre, per un momento, e le cifre danno ragione alla Schroeder. Prima del 1973 e della storica sentenza della Corte Suprema (Roe contro Wade) che rese legale l'interruzione di gravidanza negli Stati Uniti, abortivano circa 800 mila donne americane ogni anno, alcune all'estero, in Canada, in Europa, in Messico, nelle cliniche dei Caraibi, altre presso ostetrici clandestini, molte come potevano, cercando di provocare emorragie con mezzi rudimentali e spesso fatali. Nel 1993, gli aborti in America sono stati 1 milione e 520 mila e la cifra è in continua diminuzione dal 1979, anno record. Secondo l'Istituto Guttmacher, il più serio e obiettivo fra quelli che conducono ricerche demografiche, il 27% delle gravidanze, dunque poco più di un quarto, vengono interrotte volontariamente dalle donne, contro il 33% degli anni boom, la decade 70. Vuol dire che l'invecchiamento generale della popolazione, la diffusione degli anticoncezionali, la migliore educazione generale e sessuale delle donne stanno avendo il loro effetto. Le sentenze e leggi non hanno dunque «inventato l'aborto». Le guerre sante non lo possono «disinventare». Almeno qui negli Stati Uniti, il solo effetto tangibile del «Movimento per la vita», come si fa chiamare la formidabile lobby interreligiosa degli anti-abortisti militanti, è stato quello di rendere ancora più vio¬ lento lo scontro, ancora più sanguinosa la Jihad, fra i prò e contro. I commandos della «Operazione Salvataggio», i guerriglieri delle cliniche hanno ottenuto la chiusura di centinaia di gabinetti medici in tutto il Paese, con attentati alla bomba, ferimenti di medici abortisti soprattutto nel selvaggio West, azioni di disturbo che spezzano la volontà dei sanitari e costringono le compa- gnie di assicurazione a negare la copertura agli abortisti. Nell'America dove si può essere condannati a pagare miliardi in danni per aver servito un caffè troppo bollente, come è accaduto alla catena McDonald's, nessuno può rischiare la rovina finanziaria per un aborto, che costa - quando praticato legalmente -150 mila lire. E le minacce di boicottaggio economico hanno finora prodotto un altro risultato sorprendente: le televisioni, che ormai raccontano e descrivono ogni situazione, non osano toccare il tabù dell'aborto. Curiosamente, non è mai stato prodotto un telefilm nel quale venisse descritto il caso di un personaggio che abortisce volontariamente: quando la trentatreenne attrice Gabrielle Carteris, che recita nel famosissimo «Beverly Hills 90210» la parte di Andre Zuckerman, matricola di 19 anni, rimase incinta, i produttori la convinsero a non abortire. L'unica soluzione accettabile, in tv, è l'aborto spontaneo. Gli sponsor e gli inserzionisti non ammettono l'aborto volontario. Il paradosso della situazione americana è enorme. Il clima politico non è mai stato tanto favorevole all'aborto come ora, con Bill e Hillary Clinton alla Casa Bianca, da dove, nei primi giorni di presidenza, immediatamente abolirono 5 norme restrittive imposte dai predecessori di destra, Reagan e Bush. Ma il numero delle cliniche abortiste non è mai stato così basso, dal '73 a oggi, e la violenza dei «contro» non è mai stata così selvaggia. Nel marzo del 1993, nella città di Pensacola, in Florida, un militante del «Movimento per la vita» uccise con quattro colpi di rivoltella nella schiena il ginecologo dr. David Gunn, «per salvare migliaia di bambini». Quando fu celebrato il processo, nel marzo di quest'anno, la polizia dovette scortare per tre settimane la famiglia del medico ucciso e piazzare tiratori scelti sui tetti per proteggerla. ((Abbiamo ricevuto più lettere anonime e minacce di morte di quando facemmo il processo ai terroristi islamici» disse un portavoce dell'Fbi. Di nuovo le cifre, dietro gli aneddoti: l'opinione pubblica americana non è mai stata così divisa, spaccata nel mezzo, come ora, sull'aborto: 52% lo vogliono libero e rimborsato dalle mutue pubbliche e private, 48% 10 vogliono messo al bando. Non c'è nulla, nel panorama 1994 della società americana, non il colore della pelle, non la politica, non le tasse e neppure il crimine, che divida i cittadini con tanta, abbagliante nitidezza. Lo si vede anche nelle reazioni alle polemiche vaticane contro la Casa Bianca, per la conferenza del Cairo: il Papa è visto come «il carnefice delle donne» o «l'angelo vendicatore dei bambini», secondo le definizioni dei columnists. La Corte Suprema ha dovuto ordinare ai commandos «per la vita» di allontanarsi dalle cliniche di una distanza di almeno 15 metri e di non bloccare il transito, pena l'arresto e il carcere. Ci vorrebbe l'unguento della ragione per ferite così incancrenite, ma arrivano invece le manciate di sale dell'intransigenza. Servirebbe il disarmo reciproco della militanza, per cercare soluzioni pratiche e legali che consentano l'aborto senza esaltarlo come conquista (non ho visto donne con espressioni trionfanti nelle cliniche che ho visitato, perché l'aborto è sempre una sconfitta). Bisognerebbe studiare con il cuore modi per limitare le cause di tante gravidanze infantili e adolescenziali che sono 11 motore primo degli aborti legali o clandestini. Invece gli uomini rispondono con conferenze, convegni, anatemi, slogan, proclami, mentre la tragedia continua. Fu una domanda empia, ma non potei impedirmi di pormela, quando vidi il corpo di Kathy ripescato dal fiume: chi andrà all'Inferno, lei o chi l'ha spinta nelle acque di un fiume torbido, a Pittsburgh, credendo di fare il lavoro di Dio sulla Terra? Vittorio Zucconi Attentati alla bomba, ferimenti di medici abortisti, azioni di disturbo: i «guerriglieri» hanno fatto chiudere centinaia di cliniche Nessuna volontà di compromesso Metà lo vuole liberissimo e gratuito L'altra metà invoca il bando totale Le manifestazioni del Movimento per la vita (foto sopra e a sinistra) davanti alle cliniche dove si abortisce sono in Usa frequenti e violente [FOTO AFP-AP]