«Wojtyla non ti proteggerò»

Il Nunzio non ottiene garanzie per la sicurezza del Papa, e nella capitale si spara di nuovo Il Nunzio non ottiene garanzie per la sicurezza del Papa, e nella capitale si spara di nuovo «Wojtyla, non ti proteggerò» Karadzic la visita a Sarajevo ci è sgradita ZAGABRIA NOSTRO SERVIZIO E' stato un «no» quello che Radovan Karadzic, leader dei serbi della Bosnia, ha detto ieri al Nunzio apostolico monsignor Francesco Monterisi, recatosi a Pale per ottenere garanzie sulla sicurezza del Pontefice durante la sua visita a Sarajevo: Karadzic ha rifiutato di garantire la sicurezza per il viaggio che Giovanni Paolo II dovrebbe compiere giovedì prossimo nella capitale bosniaca. Secondo il ministro degli Esteri della Repubblica Serba di Bosnia, Aleksa Buha, i serbi «non possono assumersi responsabilità per possibili incidenti da parte dei musulmani». In realtà, sin da quando è stata annunciata la visita del Papa a Sarajevo i serbi parlano di presunti attacchi da parte dei musulmani, lasciando però chiaramente capire di essere del tutto contrari all'arrivo del Papa. E a titolo dimostrativo nelle ultime settimane hanno intensificato i bombardamenti contro l'aeroporto di Butmir, dove dovrebbe atterrare l'aereo del Pontefice, e hanno ripreso a sparare con violenza in città. Due ore di colloquio non sono bastate a monsignor Monterisi per convincere Karadzic a cambiare idea. Tra l'altro, il leader serbo-bosniaco avrebbe privatamente comunicato al Vatica- no che la visita del Papa a Sarajevo è del tutto sgradita perché la Chiesa cattolica si è dimostrata prevenuta contro i serbi ortodossi durante il conflitto nell'ex Jugoslavia. Fin dall'inizio della guerra i serbi vanno ripetendo che il Vaticano, insieme con la Germania, è stato il loro peggior nemico. La Santa Sede è stato il primo Paese a riconoscere l'indipendenza di Slovenia e Croazia, cosa che i serbi non dimenticheranno mai. Inutili sono stati gli inviti alla pace della Chiesa cattolica, sino al desiderio del Papa di visitare Sarajevo proprio per dimostrare di essere accanto a tutte le popolazioni che soffro¬ no. A Sarajevo sono infatti rimasti soltanto 30 mila cattolici: la maggioranza dei 300 mila abitanti della città è musulmana. Ma Giovanni Paolo II aveva l'intenzione di incontrare tutti i capi religiosi, compresi gli ortodossi. Al termine dell'incontro con Karadzic monsignor Monterisi ha dichiarato di avere avuto «con il Presidente un colloquio molto interessante», ma è chiaro che non è stato fatto alcun progresso. E Aleksa Buha ha persino dichiarato ai giornalisti che «la visita del Santo Padre non è ancora decisa». Intanto Ejup Ganic, vicepresidente della Federazione mu¬ sulmano-croata di Bosnia, ha chiesto all'Onu di aprire tutte le strade di Sarajevo per poter permettere ai croati di religione cattolica di assistere alla Messa all'aperto che Giovanni Paolo II dovrebbe celebrare nella capitale bosniaca. Ma tra i Caschi blu e le autorità bosniache si fanno sempre più aspre le polemiche riguardo alla sicurezza del Pontefice. Mentre il governo di Sarajevo ritiene che l'Unprofor dovrebbe assumersi la maggior parte della responsabilità per la visita, l'Onu insiste che deve essere la polizia bosniaca a garantire la sicurezza: si tratta della visita di un capo di Stato, dicono all'Unprofor, quindi lo Stato che l'accoglie deve rispondere della sua incolumità. Per il momento l'Unprofor cerca di convincere i serbi a ritirare l'artiglieria pesante dall'aeroporto di Butmir. Da giorni infatti dalle postazioni serbe una batteria antiaerea attacca i velivoli dell'Onu, costringendo i Caschi blu a interrompere il traffico aereo. Gli spari in città hanno fatto due morti in 48 ore, e un convoglio del'Unprofor è stato cannoneggiato. Secondo Radio Sarajevo, i serbi avrebbero nuovamente dislocato armi pesanti all'interno della zona di interdizione di 20 km intorno alla capitale. Ingrid Badurina