Pelè il mio regno per i vù cumprà

I progetti di uno straniero che vuole conquistare l'Italia come fece col Marsiglia I progetti di uno straniero che vuole conquistare l'Italia come fece col Marsiglia Pelò: il mio regno per i W cumprà «Sogno di vincere perché Torino amigli africani» TORINO. Mentre chiacchieriamo con Abedì Pelè del campionato che inizia domani, un signore dalla carnagione olivastra come poteva averla Sandokan si avvicina con timidezza. «Posso fare una fotografia con lei?», domanda in inglese al nuovo straniero del Torino. In strada, l'universo degli immigrati africani e degli asiatici si sta muovendo tra i bar del centro, le pensioni fetide, i monolocali dove si vive da bestie, quel sottobosco della disperazione che Pelè non ha mai dovuto calpestare grazie al calcio. Altri verranno a chiedergli l'autografo e la fotografia. O un biglietto da mille. «Un pezzo di Torino è già dalla mia parte - sorride - per conquistarla mi è bastato il colore della pelle: è la Torino degli immigrati. Adesso devo convincere gli altri. Ce la farò?». Gli diciamo di sì per simpatia e perché gli uomini che, come lui, hanno gli occhi svegli riescono sempre ad emergere. A trent'anni (o trentadue, dipende dalle versioni) Abedì è l'AFrica nel calcio. Un simbolo che otto stagioni in Francia non hanno appannato. Quando lo incontrammo a Dakar nel '92, per la Coppa d'Africa con il Ghana, vestiva camicie impossibili, stivali con il tacco e si acconciava con il codino. Lo ritroviamo più sobrio. «Ho rinnovato il look - spiega e accarezza i capelli cortissimi - dopo quattro anni ci si stufa. Succederà anche a Baggio. Ma non è vero che ho tagliato il codino per evitare il confronto con lui. I paragoni li farete lo stesso: stiamo sulle due sponde di una stessa città e più o meno interpretiamo il calcio allo stesso modo. Lui è il miglior calciatore europeo, io per tre anni lo sono stato dell'Africa. Qui si vedrà chi è meglio». Ridacchia, perché ride spesso Abedì. Pensiamo al mutismo glaciale di altri stranieri, ad esempio Bergkamp che sarà il suo primo avversario in campionato. Con Pelè non succede. «Se uno straniero non si ambienta la colpa è soltanto di quelli che gli stanno attorno» sostiene Rampanti, l'allenatore del Toro cui un anno da emigrante in Australia ha insegnato molte cose. Così nelle prime partite i granata avevano l'ordine di passare la palla al Baggio africano perché si sentisse importante. Lo stratagemma ha funzionato. E poi - dice Pelè - è una questione di carattere. «Non ho mai pensato di sentirmi fuori posto in Italia perché ho alle spalle l'esperienza francese - racconta - e capisco la difficoltà di chi per la prima volta si trova a giocare in un altro Paese. Io capitai a Niort, un posto piccolissimo, lontano da Parigi e da tutti i posti dove avrei trovato altri africani come me. E' stata una lezione di vita, come per mio fratello, giovane e senza famiglia, a Lecce. Fallisci, ma ne esci più forte». E il rischio che fallisca anche lei a Torino, in una squadra che parte con tante incognite? «Io sono venuto per fare bene, non per una vacanza di fine carriera. Ricorda a Dakar quando dicevo che sarei venuto in Italia? Ci ho messo due anni ad arrivare, ma ce l'ho fatta e le assicuro che non è stato per inseguire i soldi perché il Torino non è ricco e non paga grandi ingaggi. Mi ha spinto la stessa voglia di allora di dimostrare che un africano può stare bene nel campionato più difficile del mondo. Ci è riuscito Desailly, ma lui lo considerate un francese. Ora tocca a me, come successe a Marsiglia». Dove per lei non fu facile imporsi. «Però diventai un idolo, come altri neri. A Marsiglia molti votavano Le Pen e i razzisti, però tifavano per gli africani e se vincevamo, come quando eliminammo il Milan con il mio gol o lo battemmo in finale di Coppa con la rete di Boli, i marsigliesi guardavano con più tolleranza i nostri immigrati. Vorrei che succedesse lo stesso a Torino. A parte il fatto che vincere è nel mio interesse». Eppure cominciate il campionato contro l'Inter e nessuno crede nel Toro. Come farà a vincere? «Noi siamo una società di valore medio e le nostre soddisfazioni saranno nel battere chi è più forte: l'Inter, il Milan, la Juve. Neppure loro fanno grandi cose, l'unica squadra che mi è piaciuta in precampionato è il Parma. Ma noi dobbiamo cominciare battendo l'Inter per toglierci la paura e sentirci liberi». Perché, cosa vi impaurisce adesso? «Il fatto di essere come un deserto sul quale si sta costruendo e non si sa cosa ne verrà fuori. Se il Milan cambia tre uomini non è un problema per lui ripartire. Se il Toro ne cambia dieci più l'allenatore il problema c'è: finora è stato come improvvisare nel deserto e questo ci ha impedito di essere mentalmente liberi, sereni. Un gol, una vittoria e cambia tutto». E non diranno più che Pelè è arrivato in Italia troppo tardi, già in declino. Ne soffre? «C'è un proverbio musulmano che dice: può venire il bene o il male, tu accettali. Io accetto tutto, contento di essere qui, dove volevo arrivare, dove hanno giocato Platini e Maradona, dove ci sono Gullit e Baggio». Sono loro il massimo del calcio? «Con Van Basten, se giocasse. Gullit è l'emblema del calcio moderno: tutto quello che serve a un calciatore lui ce l'ha. Baggio ha la tecnica. Lui segna più di me, io servo di più alla squadra e credo di essere più continuo: l'ho visto al Mondiale, con Nigeria e Spagna non toccava mai la palla, poi segnava i gol. E le sembra poco? «No, ma se aiuti la squadra puoi segnare tu o lo possono fare gli altri. Insomma moltiplichi le possibilità di vincere. Maradona, che per me è stato il massimo, faceva così». Peccato che sia uscito male dal calcio. Se lei fosse un ragazzino oggi si farebbe soprannominare Maradona, come ha fatto prendendo il nome di Pelè? «Prima di tutto non sono stato io a volere il soprannome, me lo diedero i tifosi. Ma non mi vergognerei a farmi chiamare Maradona, ne sarei orgoglioso: nel calcio resta un modello per tutti, ha sbagliato con la droga, ma chi ama il pallone ora si sente più triste senza di lui». Marco Ansaldo «Il Baggio nero? Sì, ma vorrei essere più continuo di lui E sarei orgoglioso di chiamarmi Maradona» SONO DICIASSETTE I VOLTI NUOVI cinmrnRE piaecE SOCIETA' SQUADRA alOCATOHE CUSSE ACQUIRENTE PROVENIENZA ANGLOMA Jocelyn 1965 TORINO Marsiglia BOGHOSSIAN Alain 1970 NAPOLI Marsiglia CRUZ Andre 1966 NAPOLI Standard Liegi CYPRIEN Jean P. 1969 TORINO St. Etienne DESCHAMPS Didier 1968 JUVENTUS Marsiglia FERNANDO COUTO 1969 PARMA Porto GUERRERO Miguel 1968 BARI J. Barranquilla LALAS Alexi 1970 PADOVA Federazione USA LUPUDonat 1967 BRESCIA Rapid Bucarest MARCIO SANTOS 1969 FIORENTINA Bordeaux MIURA Kazuyoshi 1968 GENOA Yomiuri OLISEH Sunday 1973 REGGIANA Standard Liegi PAULO SOUSA Carvalho 1970 JUVENTUS Sporting Lisbona PELE'AbediAyew 1964 TORINO Lione RINCON Freddy 1966 NAPOLI Palmeiras RUI COSTA Manuel 1972 FIORENTINA Benfica VLAOVIC Goran 1972 PADOVA Croatia Zagabria Gli stranieri al via del campionato giocatori. Altri 7 stranieri giocano 1994-'95 sono 55. in serie B. Il Paese più rappresentato l'Olanda con 6 r tjf Dopo otto stagioni in Francia, l'ultima a Lione, Abedì Pelè, (a fianco) 30 anni, è sbarcato in Italia con un obiettivo «Cercare di fare nel Toro la stessa strada di Desailly nel Milan» Sotto, il tecnico Rampanti