La nave dei poeti

Trecento persone ad ascoltare 84 sconosciuti poi arriva il sindaco (tre raccolte di poesie) e l'incontro si prolunga fino quasi al mattino Bandita la politica, si parla solo di sogni la lunga veglia del popolo dei versi La nave dei poeti GENOVA DAL NOSTRO INVIATO Venne la notte della poesia e sulla città allagata piovvero versi. E Angela sentenziò: «La lucidità è qualcosa di fastidioso/ serve solo a pulire le scarpe». Emanuela si interrogò: «E se ti accorgi che ti manca anche il suo russare?/ E' la misura di quanto l'hai amato o l'abitudine a un rumore di fondo?». Andrea cantò «questo marciare/ di letti disfatti/ donne sfuggendo/ amanti deludenti/ circoncisioni & circumnavigazioni». E infine Nuntio proclamò: «La preponderanza suprema dell'istinto/ come scoraggio, tradito o che dirsi peto/ aleggia sulle/ consuetudini morali/ abitudini sessuali/ politiche partitiche/ ipotesi nevrotiche/ cosicché/ la poesia muore decomponendosi». Invece no, la poesia sopravvive, almeno per una notte. Per trovarla bisogna venire a Genova, che non è una città come le altre. Perché altrove, quando piove, piove e basta, apri l'ombrello, poi lo chiudi e dimentichi. A Genova, quando piove, si allagano tre quartieri, croi- ii[ii[iiiim[[iiiii lano due ponti, muore un uomo. Ma altrove, se organizzi una serata di poesia vengono quattro persone, gli amici dei poeti, e vanno via prima della fine della lettura. A Genova arrivano in trecento, scendono per i carrugi militarizzati, attraversano le banchine del porto vecchio, sormontate dalle ali del gigantesco pipistrello bianco che fu il simbolo dell'Expo, salgono a bordo della nave Italia, la strana nave che non può navigare, ancorata per sempre, raggiungono la prua coperta e si siedono in una sala tappezzata di poesie. Poesie attaccate ai muri («Lungo l'oleoso sentiero/ una pingue dolce fanciulla/ allatta candidamente/ La Morte»), poesie appese ai fili, come bucato a stendere («Fretta di nascere/ fretta di vivere/ fretta per tutto/ fretta per niente/ fretta di amare/ fretta a morire»), poesie come tovaglie sui tavolini («La devota ortolana di Calcutta/ posseduta fu da un demone alla frutta/ ma la sua macedonia/ suor Maria Pinzimonia/ sventurata, la divorò tutta»). Altrove, infine, il sindaco lo scelgono ingegnere, commercialista, al massimo filosofo. A Genova l'hanno voluto poeta. Adriano Sansa, ex pretore d'assalto, si presenta sulla prua delle rime avendo alle spalle tre raccolte di versi (l'ultima dedicata ai colleghi Falcone e Borsellino), viene accolto come uno della banda e dal microfono l'organizzatore della serata lo ammonisce: «Sindaco, sia un poeta della politica, non un politico della poesia». Lui annuisce, ringrazia, si guarda intorno. Ci saranno trecento persone, in maggioranza sotto i venticinque anni, altrettante birre sui tavoli, a creare cerchi umidi intorno a versi come «E' un gorgo? No, è un diesel». Si parte. Occhio di bue sulla pedana. Sale il primo poeta, Enzo Pellegrino, di ocra vestito, già vincitore del premio Laurentium. Aria da bravo ragazzo, tra le mani un tomo da cui legge: «Eri tra le ferite/ Eri tra le labbra/ L'estate t'ha bevuto/ Smarrito attendo le piogge». Scrosciano applausi. Tocca a Michela Cavanna, 25 anni, debuttante in pubblico. Anche per lei, amore e acqua: «Preso l'amore/ Buttato a secchiate, verso di te/ Alla fine io svuotata/ Tu, appena umido/ E tutto il mio amore per terra/ A evaporare nel sole». Si rende conto, sindaco Sansa, questi sono degli alieni, hanno venticinque anni, vivono nell'era di Mastro Lindo, in cui le rime più gettonate sono Tatarella-Fisichella e MaroniSperoni e non si vergognano a salire su un palco ed esprimere palpiti di sentimento in versi, ma da dove sbucano? «Da Genova, perché questa è una città così. Ha una tradizione poetica e non ha il pudore dei sentimenti. Siamo gente di mare, il mare apre il cuore, il mare ti porta lo straniero e la vita che non conosci. Noi la cantiamo. E' la nostra speranza di salvezza, questa città può salvarsi solo facendo cultura, facendo poesia». Fa poesia da anni Claudio Pozzani, che sale sul palco vestito da rocker e come un rocker plasma i suoi versi, bat¬ tendo sul microfono, battendosi sul petto, alternando gargarismi vocali a un ritornello che accelera ed esplode: «Cerca in te/ la voce che non senti/ mangia l'universo/ se non la comprendi». E' il segnale della svolta alla serata, ora i versi si fanno musica, la recitazione spettacolo, i temi cronaca quotidiana. Tocca al trio «Gli altri luoghi», allievi di Sanguineti che introducono così la loro performance: «Lo stesso giorno in cui Berlusconi entrò in politica morì Eugène Ionesco e questo avrà pur voluto significare qualcosa». Segue un breve poema sulle gesta di un «re di Polonia che ha per comprimari Ambra, Giuliano Ferrara, Emilio Fede e Gianni Letta». Il controcanto è affidato alla poesia successiva che ha per verso ricorrente: «E tu affila, mura, salda stura, ch'è dura!» e termina con un fragoroso «Basta» urlato a tre voci. Urla anche Raffaello Gramegna, traduttore di Bukowsky e si sente: «Quando piscio e allago il bordo del water per sei volte di fila/ quando una vecchia checca mi corteggia sull'autobus/ spero che cambi e succeda qualcosa». Ognuno ha la sua speranza, nella prua della nave che non partirà mai. E la racconta così, con le parole che ha trovato per strada o dentro di sé, con occhi bassi o sperduti come quelli di Massimo Gaviglio, un I uomo maturo che chiamano Pigiamino perché da bambino scappava di casa di notte per andare nei cabaret, in pigiamino appunto. Lui non legge, guarda un punto oltre la sala e oltre la notte, dove forse c'è un «gobbo» con su scritte le parole di «Una sera di queste fatti trovare», invocazione rivolta a una donna che ha sempre un figlio da curare, un vestito da stirare, un altro uomo da accudire e mai una sera per chi la aspetta seduto nel vicolo con un sogno da spartire. La recita con ironia, Pigiamino, la sua invocazione, perché sa che lei non si farà mai trovare, perché le donne non ce l'hanno mai una sera per dividere i sogni con quelli che da piccoli scappavano in pigiama e da grandi continuano a farlo ogni notte, dentro una maglietta nera e un paio di pantaloni stazzonati, perché nel letto della vita non ci staranno comodi mai. Si risiede tra il pubblico che l'applaude, Pigiamino, e forse vorrebbe scappare anche da questa sala, ma resta ad ascoltare Cristina Dotto, che nella vita fa la segretaria di un armatore, ma naviga su fantasie ritmate che legge da «una lirica che conclude un romanzo» e celebra l'epopea di «noi principesse con le gonne di pelle», finite fuori rotta in un mare in cui non si sa più cosa valga la pena di cercare. Forse solo parole. Le parole di Vanessa Anita Zopp, che ha diciannove anni e, intimorita, le fa leggere all'amico: «Cadiamo al suolo/ ancora tremanti/ di vita profanata». Le parole di Gianluca Motta, comico poeta per autodefinizione: «Ho bisogno di un fuoco/ Ma no! Mi avete frainteso, non voglio essere cremato vivoooo!». Le parole di Luca Valerio, «parole di travestito affetto/ non bastano ci stringono in panico/ gente anestetica/ it's one night affair». Lirismo e cabaret, sperimentalismo e satira, underground e vecchi sonetti. Due signore sui settanta, con foulard sul capo, bevono versi e cappuccini con la stessa ingordigia. Una donna in pareo arancio ripete tre volte al suo compagno che lei la poesia non riesce a seguirla ascoltandola e il sindaco proprio non lo sopporta. Lui si chiede cosa ci fanno allora lì, ma lo dice solo a se stesso, per non disturbare, perché trecento ragazzi invece ascoltano, qualcuno è più attratto dalle gambe della cameriera, ma almeno duecentottanta ascoltano, talvolta perplessi, talvolta rapiti. Sarà, come dice Antonino Ricca «L'echeggiare delle onde d'urto dei pensieri/ gravi al richiamo del presente», o sarà, come canta Silvia Parigi, che «la mente vola, lontana serena, il sogno esalta». Sarà strano ma il circolo Viaggiatori nel tempo, organizzatore della serata, ha già raccolto 84 poeti, quasi tutti giovani. Poi è «cigolio di lancette/ fiato da maratona/ batter d'ali e buio»: la serata si chiude. Pochi se ne vanno. Restano lì, tra i tavoli, a leggere sui muri le poesie che non hanno ascoltato, a far domande al sindaco, non sul piano regolatore ma sul ditirambo. «Piove sangue sulla città/ Ovatta vermiglia sulla città/ Le auto corrono senza rumore/ come un coltello dentro il burro», questo è accaduto prima, adesso è tregua su Genova. Fuori, sul ponte della nave paralizzata, arrivano le note di una canzone che non passerà mai sul karaoke, si sentono i nomi di autori che vendono mediamente mille copie e di case editrici carbonare. Lucia confessa: «A me non interessa pubblicare, vorrei solo riuscire a scrivere le cose che sento, vederle lì, sulla pagina, attraverso le parole. E' che le cose che sento non sono come nelle parole in cui le penso. Devo trovare le parole in cui loro vivono, ecco questo è quello che sa fare un vero poeta: trovare l'identità delle cose nascosta nelle parole. Darei tantissimo per riuscirci». Ventitré anni, laureanda in lettere, darebbe tantissimo non per un posto di lavoro ma per trovare le parole della poesia. Agli uffici marketing, quando fanno le inchieste per lanciare un nuovo modello di moto o di jeans, questa debbono considerarla una categoria giovanile residuale, inesistente, da segnalare al Wwf. Loro ricambierebbero con un verso di Claudio Pozzani: «Siete menti con bulloni allentati/ menti allentate con bulloni/ bulloni con menti allentate». E via così, senza ecstasy e senza illusioni. Il mondo non gli appartiene. Non è delle Marzia che scrivono: «Come mestruo/ mi scivoli dentro», dei Claudio «Troppo morto per stare tra i vivi/ troppo vivo per stare tra i morti», delle Micaela che si disperano: «E' così che cerchiamo di essere forti/ sbranandoci l'un l'altro». Lo sa bene Carlo Schenone, che conclude la sua poesia II turno con le parole: «E noi restiamo/ ad aspettare il nostro turno». Magari verrà anche il giorno dei poeti al potere. Per adesso c'è un sindaco che scrive odi al ciliegio e governa una città che ad ogni temporale affoga. Un sindaco che se ne va a notte fonda, quando anche i ragazzi stanno sfollando portandosi via le parole di Claudio Pozzani: «Dormi! quando i tuoi occhi sono stufi di paesaggi/ Dormi! quando una luce, l'ultima si spegnerà». Chissà se l'ultima fiammella accesa nella notte di questo Paese sarà quella del presidente del Consiglio che veglia su tutti noi e decide le nomine della Rai o quella di un ragazzo di Genova che scrive versi. Chissà quale dei due ci aiuterà a vivere meglio. Gabriele Romagnoli Trecento persone ad ascoltare 84 sconosciuti poi arriva il sindaco (tre raccolte di poesie) e l'incontro si prolunga fino quasi al mattino Bandita la politica, si parla solo di sogni Paure, desideri emozioni sono sparse sui tavoli o appese ai muri: gli scrittori tutti giovanissimi le raccontano al pubblico. Cèchi applaude chi litiga e anche chi sbadiglia Arriva il sindaco Adriano Sansa e la gente lo ammonisce: «Sia un poeta della politica, non un politico della poesia»