«Non ho casa resto in cella»
12 Savona, da 4 anni vive in prigione: «Sono malato, mia madre non può accudirmi» «Non ho iosa, resto in cella» Rapinatore rifiuta la scarcerazione CAIRO MONTENOTTE. Ha scontato la sua pena, ma non sa dove andare. Se ne sta in carcere, unico prigioniero di una fortezza abbandonata. E in quattro anni di galera «volontaria» è diventato la bandiera della sfortuna, nel paesone che resta immobile dall'altra parte delle sbarre. La croce di Franco Giannetti, classe 1950, è tutta qui. Paradosso, solitudine. Dolore non visto. E' lui, «il buon Giannetti», l'ultimo dei carcerati nell'intera Val Bormida, sulle morbide alture alle spalle di Savona. Castagneti rigogliosi, fabbriche agonizzanti, pettegolezzi stanchi sulla bella Gigliola Guerinoni, bella e tenebrosa, arrestata sette anni fa per l'omicidio dell'amante: quel Cesare Brin, farmacista, che rimane il più stimato, il più amato, il più ossequiato in paese. E' la grande telenovela che dall'87 tiene banco, senza pudore e ormai senza interesse, nella piccola Cairo. Per «il buon Giannetti», nato quarantaquattro anni fa a Pezzolo Valle Uzzone, nelle campagne nebbiose del Cuneese, non sono rimasti che gli avanzi dell'«interesse pubblico». Pochi sorrisi, il silenzio. Malato, solo, senza casa, senza famiglia. Detenuto in un rudere di prigione, residuo di una fortezza settecentesca incastonata tra le case imbiancate. E' da quattro anni che Franco Giannetti vive sotto la volta a botte di una cella brulicante di formiche e scarafaggi. Un piccolo inferno legale, infestato da una famigliola di ratti. Un incubo tollerato, che si sfalda per l'umidità e i secoli come le fasce ripide e assolate della Riviera. Dentro l'inferno c'è un uomo. Ma finora nessuno è mai riuscito a superare lo stupore, l'imbarazzo, i saluti di compassione al disgraziato che occhieggia dalla spelonca: «Heilà Giannetti, dormito bene?». Il carcerato-libero lo spiega col suo sorriso indistruttibile, forgiato dalla solitudine: «Gli arresti domicliari li ho finiti da un anno, ma dove posso andare? Mia madre non può accudirmi, ed io sono epilettico». Incredibile ma vero. Non c'è una casa, un ricovero, un tetto, per l'ex detenuto di Cairo, invalido al cento per cento. Incapace di trascinarsi con la sua gamba ulcerata e il braccio offeso fuori dalla galera dove ha già scontato in pieno la sua condanna. «Sia chiaro, non sono un santo». Stringe la bottiglia di birra che qualcuno gli ha passato dalle sbarre, e racconta, il prigioniero Giannetti: «In otto anni ho visitato le più grandi prigioni d'Italia, isole comprese. Mi hanno condannato per rapina, furto, risse, scazzottate, bar demoliti. Ero giovane, ero forte allora». No, proprio non è un santo «il buon Giannetti». Ma la sua pena l'ha scontata fino in fondo. Eppure adesso resta dietro le sbarre, paga per una condanna che nessuno ha scritto. Passa il tempo a spingere il naso fuori dalle sbarre arrugginite, ad ammonire i ragazzini di Cairo Montenotte: a spiegare che davvero non conviene, nonostante tutto, proprio non vale la pena di fare a pugni con la giustizia. Eppure non si muove foglia per l'uomo sepolto nell'ultima cella abitata della Val Bormida. La gente passa, alza la testa, saluta, «hei Giannetti, in gamba!», paga una birra all'ostaggio della sfortuna. Quasi fosse un sacrificio espiatorio, per tener buono il mondo così vicino e terribile dei paradossi. Lui, Franco Giannetti da Valle Uzzone, risponde ad ogni saluto, non serba rancore, non impreca. Tira fuori il braccio tatuato da un quadrato della grata, mostra le chiavi della galera: «Eccole, potrei uscire quando voglio, potrei andarmene. Ma dove?». Michele Polcino E' l'unico detenuto E tra la gente di Cairo è un personaggio A sinistra Franco Giannetti. Sopra l'ingresso del carcere di Cairo
Luoghi citati: Cairo, Cairo Montenotte, Italia, Pezzolo Valle Uzzone, Savona
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