Un nuovo business affittare le scuole di Vittorio Zucconi

ISTRUZIONE IL GRANDE CRACK USA Rivoluzionario esperimento in Connecticut, l'America osserva Un nuovo business affittare le scuole ISTRUZIONE IL GRANDE CRACK USA WASHINGTON. Forse era inevitabile che la rivoluzione ricominciasse da dov'era partita, da quel New England, dalla Nuova Inghilterra dove i pellegrini dell'Anglia fondarono una nazione e il suo cuore scolastico. Ma certo rivoluzione è, con grida, militanti, sogni, speranze, polemiche e caduti come si conviene a una rivoluzione e, alla fine, con soldi, come è inevitabile in una rivoluzione americana: per la prima volta in America, e probabilmente nel mondo, una città importante si è arresa ai bilanci e ha d'un sol colpo privatizzato tutte le scuole pubbliche del suo distretto, di ogni ordine e grado. Da lunedì scorso, quando l'anno scolastico '94/95 è cominciato, Hartford, la maggior città dello Stato del Connecticut, non ha più scuole pubbliche, né elementari, né medie, né superiori. L'intero sistema di istruzione pubblico, edifici, insegnanti, bidelli, studenti, lavagne e gessi è stato dato in appalto dal Comune a una azienda privata, a scopo di lucro. Con i suoi 250 mila abitanti, ormai sempre più vecchi, sempre più scuri di pelle, sempre più poveri, Hartford non è certo New York o Los Angeles. Nella scala delle metropoli americane, è una piccola città che ha da tempo passato lo zenith del suo sviluppo. Ma, proprio per questo, Hartford è una città tipica, un caso classico della crisi universale del «sistema città» e dei servizi collettivi che esso produce. Tramontate da tempo le glorie delle filande e delle manifatture che avevano fatto Hartford, e tutto il New England, ricco, sparpagliata la popolazione nei sobborghi, la città si è ritrovata fra le braccia un sistema scolastico che, nelle parole del «provveditore» Ted Carrol, «costava sempre di più e produceva sempre di meno». «Educare i bambini e i giovani è il dovere principale di ogni comunità civile - riconosce il "provveditore", ma aggiunge, sensatamente: «Quando il sistema scolastico pubblico educa sempre peggio e a costi sempre più elevati per la comunità, è nostro dovere di amministratori ed educatori cercare altre strade». L'altra strada è la privatizzazione. Dopo mesi e mesi di negoziati estenuanti, di cortei, manifestazioni, scioperi, grida e suicidi (un vecchio professore di letteratura inglese si è gettato dalla finestra «pur di non arrendersi ai barbari che vogliono speculare sull'educazione dei nostri figli»), il Comune di Hartford ha appaltato le 35 scuole, i mille docenti e i 25 mila scolari del sistema pubblico alla Education Alternatives Incorporateci, Eai, una azienda specializzata nella gestione di scuole. Per la cifra di 171 milioni di dollari, circa 250 miliardi all'anno - pari al costo della voce scuola nel bilancio del Comune 1993 - la Eai è divenuta l'appaltatrice della scuola, responsabile di tutto, dal personale insegnante fino alla refezione. L'Education Board, il comitato elettivo che nelle comunità americane sovraintende al sistema scolastico, rimane il committente, il «cliente» che dovrà, alla fine, dichiararsi soddisfatto o insoddisfatto di come l'azienda appaltatrice ha gestito la scuola. Per gli studenti, la scuola resterà gratuita. Orrore, gridano gli insegnanti che, attraverso la loro corporazione, hanno fatto il possibile per opporsi all'«appalto degli scolari». Per due anni il loro sindacato si è battuto per «difendere scolari e studenti dalla mercificazione capitalista», ma i tempi della retorica, e della onnipotenza sindacale, sono anch'essi tramontati. Anzi, proprio la corporazione degli insegnanti è uno dei bersagli principali della privatizzazione che li trasforma istantaneamente da intoccabili funzionari pubblici a impiegati di azienda. Le prime «lettere rosa», come si chiamano in America le notifiche di licenziamento un tempo scritte su cartellini rosa, sono già state recapitate: 171 insegnanti sono rimasti a casa, alla riapertura delle scuole. Motivazione: «scarso rendimento». Le loro classi, negli scorsi anni, erano risultate regolar¬ mente le peggiori negli esami e nei test di fine anno. «Non si vede perché un allenatore di football che non sa guidare la squadra debba perdere il suo posto e un insegnante che non sa preparare la sua classe debba essere intoccabile» ha risposto la società appaltatrice. Logica implacabile, e resa ancor più irresistibile dalla forza delle cifre. Ovunque in America, dove il sistema scolastico è decentrato e affidato alle comunità locali che lo finanziano con le tasse immobiliari, le scuole pubbliche danno risultati accademici sempre più scadenti, e a costi sempre più elevati. A Hartford, il caso pilota di un esperimento in atto ovunque, il costo annuale di uno scolaro per la comunità dei contribuenti era arrivato a quasi 7 mila dollari l'anno, oltre 10 milioni di lire, pari alla retta di un buon istituto privato. In cambio di questo investimento, la comunità si vedeva restituire il 48% soltanto di diplomati (contro l'85% delle scuole private), una percentuale bassissima di ammissioni alle università (che qui si riservano il diritto insindacabile di accettare o respingere gli aspiranti) e i risultati finali più bassi nei test nazionali. «Pagavamo il prezzo di una Cadillac e ottenevamo in cambio una Chevrolet usata». Ora, naturalmente, gli occhi di tutta l'America, e di tutte le città intrappolate nello stesso problema, sono fissi su Hartford. Altre località, come Baltimora, Miami, San Diego, hanno già introdotto privatizzazioni parziali delle loro scuole pubbliche, dando in appalto alcuni istituti pilota alla Eai o ad altre società concorrenti. Città più fortemente politicizzate, dove i sindaci dipendono dal voto della lobby accademica per la loro rielezione, come Washington, hanno respinto l'idea. Ma per tutte le comunità urbane, il problema rimane e cresce: la crisi della natalità e della popolazione urbana sta portando sempre meno scolari in istituti dove spesso gli insegnanti sono più numerosi dei loro studenti, mentre diminuiscono gli introiti fiscali. Washington ha già dovuto chiudere tre scuole nell'ultimo anno. «La questione - dice il sindaco di Baltimora, un giovane democratico di colore, Kurt Schmoke - non è più ideologica, privato contro pubblico, ma puramente pratica: il sistema dell'istruzione statale come lo abbiamo ereditato è un lusso che non possiamo più permetterci». «Lusso? Istruire i nostri giovani è un dovere che trascende la questione dei costi» risponde il sindacato insegnanti. «Certo - rispondono i fautori delle "maestrine in appalto" - ma è nostro dovere educare i giovani alle migliori condizioni culturali e fiscali per tutta la comunità. Dissanguare le casse dell'erario per fornire una mediocre istruzione e stipendi a insegnanti inutili è un crimine, non una responsabilità sociale». E gli elettori, i cittadini ai quali spetta l'ultima parola attraverso la scheda di voto, sembrano essere d'accordo. Stephanie Lightfoot, una sociologa afro-americana che ha votato per la privatizzazione a Hart- ford, fa notare che «il mito del pubblico contro il privato è stata la droga che ha addormentato proprio i gruppi sociali più poveri: con il sistema attuale, diviso fra buone scuole private e pessime scuole pubbliche, si condannano i più poveri e i neri a una educazione di serie B e si perpetua la loro condizione subalterna». Un po' di «sociologese», in queste parole, ma anche molta verità che lacera l'ipocrisia dei «liberal», difensori della scuola pubblica, ma allievi delle scuole private. Esattamente come fecero Bill e Hillary Clinton, apologeti della scuola pubblica durante la campagna elettorale, che scelsero prontamente una scuola privata per la figlioletta Chelsea, dopo la vittoria elettorale. Rimane da vedere, ora, se dare la scuola in appalto sia la soluzione giusta. Nel caso delle carceri, parzialmente privatizzate negli Anni 80, i risultati non sono stati entusiasmanti. I 21 istituti di pena oggi amministrati da società carcerarie private costano meno alla comunità, ma funzionano esattamente come le loro controparti statali, cioè malissimo. Le scuole pilota privatizzate in altre città hanno offerto risultati misti: a Miami sembrano andare molto bene, altrove male. E i ragazzi, i destinatari finali delle riforme e delle rivoluzioni, il cuore vero del problema, che pensano di questa innovazione? «Il mangiare fa schifo, gli insegnanti sono i soliti, la noia è quella di sempre» è stato il lapidario commento di Frank «Big Daddy» Johnson, leader indiscusso degli studenti alla Franklyn Hig School di Hartford. Insomma? «Insomma la scuola è sempre la stessa cacca». Buon anno scolastico, Big Daddy. Vittorio Zucconi Due immagini di scuole pubbliche americane Una volta erano il vanto del Paese Adesso sono quasi tutte sull'orlo del collasso finanziario (FOTO NYT] Città in bancarotta affida ai privati elementari e licei Rivolta dei docenti

Persone citate: Carrol, Franklyn, Hillary Clinton, Johnson, Kurt Schmoke, Stephanie Lightfoot