« A Viale Mazzini non comanda il governo»

«Non sono un epuratore e non lo sono neppure i miei colleghi A me i tg sembrano imparziali» « A Viale Mazzini non comanda il governo» Marchini: se torna la lottizzazione io me ne vado mm->: L'ALA SINISTRA DEL CONSIGLIO ROMA ONNO, come si fa a essere insieme ricchi e comunisti?» - chiese una volta Alfio Marchini a suo nonno Alfio senior, mitico capostipite, amico di Togliatti e Amendola, costruttore del palazzo di Botteghe Oscure, che generosamente donò alla causa. Ricordiamo questo episodio - che egli stesso ci aveva raccontato in un'altra occasione - ad Alfio junior per indagare un po' sulla sua* anomalia: che ci fa nel consiglio d'amministrazione della Rai, la vera cartina di tornasole del cambiamento o della conservazione, un imprenditore trentenne straricco, bello, sportivo, ma allevato a una rigida scuola comunista (con studi infantili dai gesuiti), sposato con una Ferruzzi e designato con impeto a quel posto dall'ipercattolica presidente della Camera Irene rivetti, cultrice della Vandea? Ma questa chiave ad Alfio non piace punto: non ne può più di essere paragonato al bel Ridge della telenovela, né di sentir parlare di Calce e Martello, il soprannome affibbiato a suo nonno, perché tiene alla propria identità «costruita - come dice - in un contesto di grande emotività», alla scuola di Cesare Musatti, che fu maestro di sua madre, psicanalista, e di Guido Carli, antico amico del nonno e barometro morale della sua giovinezza. Va bene, ingegner Marchini, lo giuriamo, niente Ridge e Calce e Martello, ma ci deve per forza togliere tuia curiosità: come ha conosciuto la presidente Pivetti? «Recentemente, in un paio di occasioni. Poi lei deve aver preso informazioni su di me». Si narra che al primo incontro conviviale partecipasse anche il direttore dell'«Unità» Walter Veltroni. «Chi l'ha detto? Se mi consente, non racconto i miei incontri privati». Ma lei ha buoni rapporti con Veltroni e D'Alema? «Sì, di amicizia e di stima, non è un mistero». E' l'eredità di una famiglia con un'antica tradizione comunista? «Quel che ho ereditato dalla mia famiglia è soprattutto un forte senso democratico e il rispetto per le istituzioni di questa Repubblica». Quale? La prima o la seconda? «La distinzione non è ancora così chiara. Siamo in cammino». Lei ha frequentato le elementari dai gesuiti: che ne pensa della descrizione del mondo fatta dalla Pivetti a Rimini? «Conosco la Pivetti come persona che ha posto al centro della sua vita il rispetto delle regole e delle istituzioni. E non credo affatto che voglia creare un partito papista; semmai, vuole richiamare a una maggiore autenticità del cristianesimo». Pensa anche lei che lo Stato sia legittimato da Dio? «Io sono uno che quando passa davanti al monumento a Matteotti si emoziona. E penso che bisogna dare a Cesare quel che è di Cesare». Lei stava per diventare editore del «Sabato», un giornale che aveva intensi rapporti con le gerarchie ecclesiastiche. «Personalmente, non ho nessun rapporto con le gerarchie ecclesiastiche. Ho una società che fa merchant banking, la quale ha interesse all'editoria e aveva preparato un'operazione tecnico-finanziaria per il "Sabato". Tutto qui». Adesso che è alla Rai non c'è incompatibilità? «E infatti gli sviluppi editoriali della mia azienda sono sospesi, l'impegno alla Rai mi assorbe quasi completamente». Come spiega che Berlusconi non sente così acutamente il problema dell'incompatibilità tra la sua attività al servizio dello Stato e quella di editore? «Credo che la senta, lui stesso l'ha detto. Comunque, è un problema contingente, visto che prestissimo, con le evoluzioni tecnologiche, la televisione diventerà un'altra cosa». D'accordo, ma come sa è proprio il problema contingente dell'informazione, fondamentale in democrazia, a creare preoccupazioni. Lei pensa che l'informazione stia crocefiggendo il governo, come dice continuamente il presidente del Consiglio? O, al contrario, che il governo stia crocefiggendo l'informazione? «Credo nella funzione costruttiva della critica: più un governo è criticato, più può trarne vantaggi per governare meglio». Allora la stampa non è asservita ad antigovernativi poteri forti e invisibili? «Volendo semplificare troppo si finisce col dar la caccia alle streghe». Come pensa che debba essere il servizio pubblico radiotelevisivo? Governativo? «No, obiettivo». E i telegiornali Rai sono obiettivi? «Se i dati di ascolto sono un termometro di oggettività, devo desumerne che lo siano abbastanza». E allora perché questa voglia di epurazione manifestata dai partiti di governo? «Guardi, io non sono un epuratore e non lo sono neanche i miei colleghi». Non è per soluzioni alla Storace? «Il mio problema è risanare l'azienda e di valutare le proposte che il direttore generale farà al consiglio per le nomine». Scusi, ingegner Marchini, non facciamo i finti ingenui: gli appetiti politici sono già abbastanza evidenti. «Io sono alla Rai designato dai presidenti di Camera e Senato, cioè da due cariche istituzionali, perciò rispondo al Parlamento che ha eletto quelle due cariche, cioè al Paese». E se il governo, direttamente o indirettamente, imponesse i suoi nomi? «Io me ne andrei a casa e con me, ne sono certo, se ne andrebbero a casa i miei colleghi. Ma non credo che questo capiterà». E perchè mai? «La scelta di Billia come direttore generale è stata fatta in assoluta autonomia e di questo va* dato atto alla presidente Moratti». Ma poi la Moratti l'ha bac¬ chettato nell'intervista al «Corriere». «La Moratti, comunque, ha grande stima per Billia e si è battuta in modo forte per lui, affrontando anche alcuni mormorii del governo. La compattezza del consiglio, poi, è stata fondamentale». Così, ingegner Marchini, lei coltiva l'utopia che la lottizzazione sia finita, che lei e i suoi colleghi riuscirete là dove son falliti tutti i predecessori. Non crede alle voci che attribuiscono il rasserenamento tra Berlusconi e Bossi alla promessa di una rete Rai per la Lega? «Di chiacchiere non ne posso più e la lottizzazione dev'essere finita. Del resto, lo verificheremo presto nei fatti. Se non è così, visto che nessuno di noi è qui per denaro o per carriera, ce ne andremo a casa in buon ordine». Qual è il suo gettone alla Rai? «Quaranticinque milioni. Ho rinunciato alla macchina e agli altri benefit. In cambio, subisco una sovraesposizione che detesto, sono sottoposto a critiche e tolgo tempo alla mia azienda. Che non vive sugli appalti, ma lavora soprattutto all'estero, per cui non è facile condizionarmi». Va bene, ci convince la sua buona fede, ma allora vuol spiegarci perché per le nuove nomine circolano nomi sinceramente un po' risibili? Riciclati, lottizzati di tutte le stagioni, professionisti più che modesti, quando non semianalfabeti... «La vuole una notizia?». Magari. «La questione nomine non si è neanche sfiorata in consiglio di amministrazione. Tutti i nomi che circolano sui giornali valgono perciò quello che valgono». Cioè zero? «Faccia lei». Ma i nomi potrebbero essere persino peggiori di quelli che circolano, vista l'inesperienza in materia editoriale del consiglio. «Al contrario, perché affronteremo il problema con umiltà, consapevoli delle nostre lacune. Alcuni fatti già lo dimostrano». Quali, di grazia? «La nomina di Billia e la conferma nell'incarico del dottor Francesconi, responsabile di finanza e controllo, che era stato nominato dai professori». Allora i professori non hanno compiuto .soltanto nefandezze? «Niente affatto, rifiuto ogni giu¬ dizio aprioristico. I professori hanno ereditato un'azienda peggiore di quella che ereditiamo oggi noi da loro. Per fare due soli esempi hanno creato accantonamenti indispensabili per le cause giudiziarie e per la svalutazione dei crediti». L'ex presidente Demattè ha accusato esplicitamente il presidente del Consiglio di avergli proposto un accordo di cartello per favorire la Fili invest. «Sa, io credo nella buona fede della gente fino a prova contraria. E so per certo che la nostra ferma intenzione è di essere competitivi con la Fminvest sul piano pubblicitario. L'azienda deve attrezzarsi per affrontare le sfide. E' evidente che su questo si gioca molto della nostra credibilità», E i debiti? «Introdurremo correttivi per evitare che a fine anno raggiungano i 1400 miliardi». Vendendo gli immobili? «Tra i pochi asset la Rai ha immobili per 2000 miliardi, ma non abbiamo alcuna intenzione di svendere. Per ora non posso dire di più, se non che stiamo preparando una completa ristrutturazione del debito, per buona parte a breve, anche con operazioni sul mercato internazionale». E la vendita degli impianti? «La questione non è vendere gli impianti, ma avviare una riflessione con possibili partners per fare della Rai il perno di un polo delle telecomunicazioni, per ottimizzare l'interattività, in vista degli sviluppi tecnologici, il cavo, il satellite... Bisogna alzare il tiro del dibattito, anche perché in questo settore c'è il vero business, il petrolio del Duemila». E la questione della tv tematica invece che generali sta? «Credo che la presidente Moratti volesse dire che stiamo valutando varie ipotesi, ma non abbiamo ancora preso decisioni. Per vedere le decisioni definitive occorrerà aspettare dicembre». A lei piace la tv alla Funari? «Piaccia o non piaccia, ha creato un genere». Ma lei preferisce una Rai con molta cultura, servizio... «Guardi che non penso affatto a un servizio pubblico cupo e serioso. Penso invece a una Rai competitiva in tutti i generi, che trovi i suoi punti di riferimento nel mercato. Io personalmente prediligo sport e informazione». Cos'è che le dà più fastidio in questo momento? «Il chiacchiericcio». Ah scusi, ingegner Marchini... Che cosa le rispose suo nonno? Si può essere insieme ricchi e comunisti? «Dipende dal valore che dai ai soldi. Se sono il tuo fine ultimo, c'è incompatibilità». Alberto Staterà Gianfranco Funari

Luoghi citati: Rimini, Roma