Belfast in festa è il giorno della pace di Fabio Galvano

Major risponde prudentemente: se la rinuncia alla violenza è sincera, questa tragedia finirà Major risponde prudentemente: se la rinuncia alla violenza è sincera, questa tragedia finirà Belfast in festa, è il giorno della pace // capo dell'Ira: basta con la guerra, ora trattiamo LONDRA DAL NOSTRO CORRISPONDENTE L'Ira depone le armi. Da mezzanotte i repubblicani irlandesi hanno posto fine a 25 anni di una sanguinosa guerriglia: fra tre mesi, stando a quanto Londra aveva offerto nel dicembre scorso, un rappresentante del suo braccio politico - il Sinn Fein potrà prendere posto per la prima volta attorno al tavolo del negoziato sul futuro dell'Ulster. E' una svolta storica; e nonostante le fredde e indignate reazioni degli oltranzisti protestanti, che sospettano un «tradimento» da parte del governo britannico accusato di averli «venduti», grandi sono le speranze che la crisi nordirlandese sia davvero a una svolta. Restano molte incognite, non ultimo il pericolo che il terrorismo protestante si scateni in azioni provocatorie tali da costringere l'Ira a riprendere le armi; ma l'entusiasmo popolare «Rsite scopmocnostsuccdecicolecessaTuvutostra i caroselli d'auto nelle vie di Belfast, le commosse preghiere nella chiesa di San Pietro sulla cattolica Falls Road - mostra un Ulster che per la prima volta tira il fiato. L'annuncio, che ha posto fine a quasi 24 ore di spasmodica attesa dopo le esplicite indicazioni fornite martedì da Gerry Adams, il presidente del Sinn Fein rivelatosi motore decisivo di questo coraggioso passo, è stato dato ieri poco dopo le 11. Si apre un nuovo capitolo nella storia dell'Irlanda e del suo milione e mezzo di abitanti (40 per cento cattolici, 60 per cento protestanti). Ma proprio attorno a quella frase danzavano ieri sera tutti i distinguo politici. Si parla infatti di cessazione «completa»; non «permanente», come richiedeva Londra. E vano è stato lo sforzo di numerosi esponenti del Sinn Fein per convincere che «completa» significa totale, quindi anche permanente. Il reverendo Ian Faisley, il Savonarola del protestantesimo irlandese, ha su¬ bito affermato: «Non vedo nel documento alcuna rinuncia alla violenza. Ci troviamo invece di fronte a un'espressione gesuitica: permanente significa per sempre, completa significa soltanto per il periodo in cui quella particolare situazione è accettata». Anche il primo ministro britannico John Major ha captato quel particolare. Pur dicendosi «enormemente incoraggiato», ha voluto sottolineare la necessità di «chiarire che questa è davvero una rinuncia permanente alla violenza». Se tale è il caso, egli ha detto, «si aprono molte opzioni»: «Se l'Ira è sinceramente e irrevocabilmente votata all'uso esclusivo di metodi pacifici e democrati¬ ci, risponderemo positivamente come avevamo promesso (nella Dichiarazione anglo-irlandese di dicembre; ndr). Che le parole si riflettano ora nei fatti». Gerry Adams, che da 18 mesi si batte per questa svolta e che alla fine è riuscito a far prevalere la tesi della pace su quella della lotta continua, ha subito scaricato in campo inglese l'onere dei prossimi passi. La tregua, ha detto, «ha creato con coraggio un'occasione senza precedenti». Tocca ora a Londra fare il prossimo passo: «Questo è un giorno storico. John Major e i leader unionisti colgano il momento». Ha quindi lanciato tre richieste al governo britannico: la liberazione dei pri- gionieri politici, il ritiro delle truppe britanniche dall'Irlanda del Nord, ma soprattutto quello che è sempre stato l'obiettivo primario dell'Ira, la creazione di una Repubblica irlandese libera e unita. «Avremo la nostra libertà», ha detto alla folla che lo applaudiva: «Una libertà per unionisti e nazionalisti, protestanti e cattolici». Il comunicato dell'Ira saluta ed elogia, nel tono di un grande e storico congedo, «tutti i volontari, gli attivisti, i sostenitori e i prigionieri politici che per 25 anni hanno sostenuto una lotta impari». Grazie a quella lotta «si è creata l'opportunità per un accordo giusto e duraturo». Si parla di «una nuova situazione», si ribadisce che la Dichiarazione di Downing Street «non è una soluzione», e che questa potrà soltanto venire da un negoziato. Si avvia così, fra mille incognite, la corsa verso il 1° dicembre: la data in cui, a rigore, il Sinn Fein potrà sedere al tavolo negoziale. Tuttavia dietro la spinta per la pace da parte delle forze politiche, fra le quali figura anche l'amministrazione Clinton i cui emissari sono stati nei giorni scorsi a Belfast, si muove ancora la minaccia di una violenza diventata quasi rituale. «Non balleremo a una musica nazionalista», hanno ammonito ieri gli estremisti protestanti: «Quali accordi segreti sono stati presi?». Nella ferocia dell'Ulster sono loro, oggi, i più implacabili. Una delle due formazioni - la Ulster Volunteer Force - aveva proclamato in passato che a una tregua dell'Ira avrebbe risposto con analoga iniziativa; ma ieri dal suo direttivo non sono venute parole di pace. L'altra - gli Ulster Freedom Fighters - sostiene più minacciosamente che «la tregua è un complotto e porterà alla guerra civile». Fabio Galvano Il reverendo Paisley capo degli ultra protestanti «E' soltanto un trucco per guadagnare un po' di tempo» Il negoziato dovrebbe cominciare entro 3 mesi

Persone citate: Clinton, Falls, Freedom, Gerry Adams, John Major, Paisley