In compagnia dei lupi (mannari) di Gianni Rondolino

«Wolf», il film di Nichols che sarà proiettato a Venezia, potrebbe essere l'inizio di un revival «Wolf», il film di Nichols che sarà proiettato a Venezia, potrebbe essere l'inizio di un revival In compagnia dei lupi (mannari) Effetti speciali e trucchi di Hollywood UNA delle cose più belle girate dai fratelli Taviani, nella loro lunga carriera di cineasti attenti alla realtà sociale e politica, alle implicazioni ideologiche dei fatti, a un realismo «metafisico» impregnato di idealità, è probabilmente un piccolo film, fuori degli schemi di quel realismo, tutto giocato sull'attesa di qualcosa di irreparabile, di misterioso. Si intitola «Mal di Luna», è tratto da una novella di Pirandello, è un episodio del film antologico «Kaos» del 1984. Vi si racconta di un uomo affetto da licantropia, che nelle notti di Luna piena diventa «lupo» e fa fuggire la giovane moglie. Un racconto evanescente, allusivo, in cui la mostruosità pare implicita all'ambiente, alle cose, ai personaggi: una meditazione sulla vita, sulla malattia, sulla morte. L'esatto contrario dei film hollywoodiani sull'uomo-lupo, dove la mostruosità non può che essere esplicita, lo spettacolo non può che basarsi sugli effetti speciali. L'esatto contrario di «The Wolf» di Mike Nichols con Jack Nicholson, che da Venezia invaderà presto i nostri schermi. Perché la discrezione dei Taviani richiede uno spettatore altrettanto discreto, laddove il grande cinema spettacolare vuole catturare l'attenzione del pubblico con piatti forti, immagini esemplari, sequenze mozzafiato, trucchi spaventosi. Così il cinema di Hollywood, che già si era appropriato dei vari Dracula e Frankenstein e King Kong c altri mostri naturali o artificiali, non poteva trascurare, tra le varie mostruosità, la licantropia, facendone tuttavia, più che una malattia, un'occasione, ancora una volta, di spaventevole truccheria. Ma all'uomo-lupo, in verità, era arrivato tardi, molti anni dopo gli altri «mostri». Come se le case di produzione hollywoodiane avessero un certo timore a trattare un tema che più direttamente coinvolgeva la vita quotidiana delle persone: un tema che non poteva che interpretare la mostruosità come la conseguenza di uno stato di infermità. Fu solo nel 1941, in piena seconda guerra mondiale, che l'uomo-lupo ebbe un suo proprio film (se si esclude un cortometraggio del 1934), «Werewolf of London», interpretato da Henry Hull): «The Wolf Man», appunto, diretto da George Waggner e in¬ terpretato da Lon Chaney jr. nella parte di Lawrence Talbot, l'uomo-lupo, nonché da Claude Rains, Warren William, Bela Lugosi. Un film mediocre, ma certamente affascinante per quell'ambiguità di fondo, quella duplicità del personaggio, che introduceva nella tradizione del cinema fantastico-mostruoso un elemento di maggiore inquietudine. Tanto che, a quel primo film, fecero seguito altri, come «Frankenstein Meets the Wolf Man» (1943) di R.W. Neill, «House of Dracula» (1946) di E.C. Kenton, sino al pa¬ rodistico <(Abbott and Costello Meet Frankenstein» (1949) di C.T. Barton, con Gianni e Pinotto: tutti interpretati dal volenteroso Chaney jr., al di sotto di quelle doti interpretative che avevano reso famoso, negli anni del muto, il padre Lon Chaney. Così l'uomo-lupo di Hollywood divenne una specie di serial, non raggiungendo mai le dimensioni spettacolari e drammaturgiche degli altri mostri cinematografici. Perse in originalità quello che andava guadagnando in popolarità (e divenne anche un piccolo divo ta della televisione). Fu l'Europa invece a riprenderne le avventure, in un diverso clima culturale e ambientale. Nel 1961 la Hammer Films britannica produsse «Curse of the Werewolf», diretto da Terence Fisher e interpretato da Oliver Reed, uscito in Italia col titolo «L'implacabile condanna». Un lupo mannaro diverso, più inquietante, a cui il giovane Reed, alle sue prime armi, conferisce una dimensione tra l'orrido e il patetico, il mostruoso e il sentimentale. Ma siamo sempre nell'ambito del cinema dell'orrore, secondo gli schemi propri delia Hammer e di Fisher. Schemi che saranno, almeno in parte, sovvertiti dal regista americano John Landis (quello dei «Blues Brothers» e di ((Animai House»), che a Londra dirigerà nel 1981 «Un lupo mannaro americano a Londra», in cui gli elementi parodici si mescolano ad alcuni momenti di autentico horror. Ma siamo ormai lontani dalla favola dell'uomo-lupo e da quel sottile fascino del macabro che aleggiava nei primi, ingenui, film hollywoodiani girati negli Anni Quaranta. Ora Hollywood torna sui suoi passi, e riprende il filo interrotto dell'antica leggenda. Si cimentano un regista come Nichols e un attore come Nicholson. Potrebbe essere l'inizio di un revival. Gianni Rondolino Tra gli italiani da ricordare «Mal di luna» dei fratelli Taviani Nella foto a sinistra Jack Nicholson in «The Wolf», che andrà a Venezia. A destra Lon Chaney jr., uomo lupo degli Anni Trenta