«Soldati giù le mani dalla nostra coca»

«Soldati, giù le mani dalla nostra coca» Gli indios volevano bloccare la distruzione dei campi dove coltivano la droga, loro unica risorsa «Soldati, giù le mani dalla nostra coca» Bolivia, battaglia fra esercito e contadini sulla via della capitale UNA GUERRA TRA POVERI GSAN PAOLO LI elicotteri dell'esercito avevano sorvolato per ore la zona, a bassa quota, minacciosi. Alla fine del pomeriggio, l'ordine di attaccare. Una pioggia di candelotti lacrimogeni, che nell'aria rarefatta delle Ande quasi bruciano i polmoni. Poi le cariche, violentissime, dei reparti anti-sommossa della polizia, a colpi di manganelli e di calci di fucile. E' stata dispersa così, lunedì sera, la pacifica marcia di protesta di un migliaio di contadini cocaleros boliviani e delle loro famiglie: indios armati solo di bastoni e di lance, donne con il tipico cappello a bombetta in testa e i figli di pochi mesi legati sulle spalle, tanti adolescenti. I tradizionali coltivatori di foglie di coca della regione di Chapare volevano arrivare a piedi sino a La Paz, distante più di 600 km, per chiedere la sospensione di una gigantesca operazione antidroga lanciata dal governo agli inizi di agosto. «La polizia ci ha attaccato prima che facessimo cento chilometri, ci sono stati decine di feriti e di arrestati, compresi molti ragazzi - ha raccontato ai giornalisti un dirigente dell'associazione dei coltivatori di coca -. Ma non ci fermeranno, ripren¬ deremo la nostra marcia, ci faremo sentire: il governo non può costringerci a crepare di fame». Di cocaina si muore, nel Nord del mondo. Ma della coltivazione di foglie di coca, in America Latina sopravvivono milioni di contadini, di cui tra 500 e 700 mila solo in Bolivia. Il Paese andino è, dopo il Perù, il secondo produttore mondiale di foglie di coca e di pasta base di cocaina da raffinare: una produzione concentrata all'80% nelle fertili terre del Chapare, e che rappresenta un apporto all'economia boliviana stimato tra 350 e 500 milioni di dollari l'anno, quasi un decimo dell'intero prodotto interno lordo. La marcia di protesta brutalmente interrotta lunedì è solo l'ultimo episodio di una escalation di violenza contro i cocaleros cominciata agli inizi degli Anni 90. Nel 1989, il governo dell'allora presidente Paz Zamora lanciò un piano di lotta al narcotraffico basato sulla parola d'ordine «coca por desarrollo» coca in cambio di sviluppo - che prevedeva una politica di abbandono prima volontario e poi forzato delle coltivazioni di foglie di coca, controbilanciato dal crescente sostegno dello Stato allo sviluppo di colture alternative e alla commercializzazione dei prodotti agricoli. Ma coi cordoni del bilancio bloccati da una rigida politica neoliberista di blocco della spesa pubblica, del piano originario è rimasto solo l'aspetto repressivo. Dimenticando il problema di fondo: quella della coca è l'unica coltura redditizia per i contadini andini, che permette loro di guada¬ gnare sino a 15 dollari al giorno, cinque volte di più di quanto ricaverebbero coltivando mais o fagioli. A partire dal 1991, allo sradicamento forzato delle colture e alla lotta contro i narcos hanno cominciato a prendere parte anche consiglieri militari Usa e reparti dell'esercito. Nell'agosto 1993, Gonzalo Sanchez da Lozada è succeduto a Paz Zamora, finito ironicamente in disgrazia sotto l'accusa di aver protetto durante il suo mandato uno dei principali narcos del Paese, Isaac Chavarria. L'avvicendamento alla presidenza non ha però rappresentato un cambiamento di rotta nella politica in relazione ai cocaleros. Preoccupato di mantenere buone relazioni con gli Usa - impegnati sin dai tempi di Bush in una sorta di guerra santa contro la droga in America Latina - il governo boliviano ha persino abbandonato ogni sforzo per far ritirare la foglia di coca dalla li¬ sta delle sostanze stupefacenti elaborata dall'Onu (il 20% delle coltivazioni di coca, secondo la millennaria tradizione andina, sono tuttora destinate al consumo legale, sotto forma di tè, alimento ed uso medicinale). Poco meno di un mese fa, il governo ha ordinato un'altra grande operazione antidroga nel Chapare. «E' un'intimidazione contro i coltivatori, non contro i narcos», hanno reagito le organizzazioni contadine, appoggiate dalla Chiesa. Le proteste, sinora, sono state pacifiche. Ma qualche mese fa, il leader dei cocaleros Evo Morales ha lanciato un duro avvertimento: «Il governo ci ha dichiarato guerra, e se i soldati distruggeranno i nostri campi, ci armeremo per fermarli». Adesso Morales è rinchiuso in un carcere, in sciopero della fame. E i suoi compagni, dicono a La Paz, sono pronti ad agire. Gianluca Bevilacqua Colpi di manganello e calci di fucile per disperdere i cocaleros I coltivatori di coca protestano controllati dall'esercito

Persone citate: Bush, Evo Morales, Gianluca Bevilacqua Colpi, Gonzalo Sanchez, Isaac Chavarria, Morales, Paz Zamora

Luoghi citati: America Latina, Bolivia, La Paz, Perù, Usa