Pensionati tra due fuochi e gli esperti danno forfait
Pensionati tra due fuochi e gli esperti danno forfait Pensionati tra due fuochi e gli esperti danno forfait LA BOMBA ROMA A una parte Dini il rigorista, che vuole risparmiare 2300 miliardi di spesa pensionistica nel '94 e 8500 nel '95; dall'altra Mastella il prudente, preoccupato di non far esplodere quella «polveriera pensioni» che - sono parole sue - «potrebbe essere per il governo assai peggio del decreto antimanette di luglio». E in mezzo - classico vaso di coccio - c'è lui, Onorato Castellino, da anni (e da tutti) considerato uno dei massimi esperti italiani in materia di previdenza, coordinatore di una commissione di 18 membri che dovrebbe fornire al governo, entro il 20 settembre, la pietra filosofale per «guarire» le pensioni da tutti i loro mali. La commissione si riunirà venerdì prossimo, 2 settembre, e poi ancora il 12 e poi un'ultima volta - forse - il giorno 20. Ma una cosa è chiara fin d'ora: priva com'è di un mandato politico, non potrà e - comunque - non riuscirà a fornire al governo una soluzione «chiusa»: una ricetta, unica e sola, cioè, da adottare in blocco e senza discutere. Fornirà, invece, più di una soluzione, indicando per ciascuna effetti e conseguenze, pregi e controindicazioni: ma la scelta finale dovrà essere del governo. «E' sempre successo così - spiega Gino Giugni, ex ministro del Lavoro nel governo Ciampi e "padre", e membro, di tante commissioni -. Se un gruppo di esperti riceve dal governo un mandato preciso, quello di trovare le formule tecniche per tradurre in realtà un obiettivo politico già scelto, può farlo. Se riceve un mandato consultivo, e mi pare che questo sia il caso, non si sbilancia mai ad imporre un'unica verità». Niente scorciatoie, dunque, per l'esecutivo: avrebbe volentieri passato ad altri l'amaro calice delle decisioni, ma, dopo il 20 settembre, dovrà rassegnarsi a berlo. Del resto la commissione Castellino era nata sotto i migliori auspici tecnici e i peggiori politici: il testo originario del decreto indicava il professore torinese come «presidente» del gruppo di lavoro, ma questa definizione era stata poi corretta in «coordinatore» per evitare malumori tra gli altri membri. Pazienza. Ieri, l'incomprensione con i sindacati: «Se il governo vuol far passare da questa commissione soluzioni preconfezionate ce ne andiamo», hanno detto in coro Alfiero Grandi, segretario confederale Cgil, e i suoi colleghi di Cisl e Uil. Magari ci fosse, una soluzione preconfezionata: i sindacalisti sanno che non c'è, ma ogni tattica e buona per stanare l'inafferrabile «controparte». «Mi chiedono continuamente se ho intenzione di difendere i pensionati», racconta ai suoi collaboratori Sergio D'Antoni, segretario generale della Cisl, la più forte delle tre confederazioni tra le «pantere grigie». «E certo che li difenderò, come no: sarà anche facile, visto che dentro il governo, sulla previdenza, ho già visto almeno tre posizioni differenti. Andando avanti così, sarà facile difendere i pensionati. Facile facile». Già, tre posizioni differenti. Per Lamberto Dini, ministro del Tesoro, il «rigore» significa, sostanzialmente, rinunciare almeno in parte al gradualismo tipico di una riforma strutturale: per esempio alzando subito l'età pensionabile a 65 anni, le pensio¬ ni d'anzianità a 37-38 anni di servizio e bloccando le indicizzazioni. Non che Dini abbia mai dichiarato cose simili, ci mancherebbe. Ma senza rimedi di questa durezza, gli 8500 miliardi di risparmio previdenziale desiderati per il '95 non si troveranno mai. E Mastella? Il re di Ceppaloni, terra di invalidi, vede come il fumo negli occhi la prospettiva di colpire al ventre un pezzo signi¬ ficativo del suo elettorato. E la Lega? «Distinguiamo assistenza da previdenza - spiega il ministro Gnutti - sfrondiamo le pensioni finte e aboliamo la baby pensioni». Benissimo, per una riforma: ma quanti miliardi si otterrebbero, l'anno venturo, in questo modo? Pochi, pochissimi. «C'è una mistificazione di fondo - ha commentato ieri, durante una riunione ristretta di segrete- ria, il nuovo leader Cgil Sergio Cofferati -. Si pretende di fare della previdenza il fronte d'azione essenziale per ottenere i risparmi necessari sulla finanza pubblica. Non è così. Proprio per niente». E allora? «Allora non ho idea di cosa stia succedendo. Vedo soltanto un contrasto insanabile, dentro il governo, tra un'anima rigorista ed un'altra assistenzialista», osserva Giugni. «Un contrasto che esaspera perfino le opposizioni. Ho visto che Salvi, per il pds, enuncia una specie di "no pasaran" contro i possibili tagli alle pensioni. Se fossimo andati noi progressisti al governo, qualche taglio invece lo avremmo fatto. Ma con un interlocutore come quello che si ritrova, fatalmente l'opposizione alza il tiro». Qualcuno, nei ministeri, evoca il «salvagente» dei fondi pensione: che proprio ieri si sono visti sgravare (almeno fino a febbraio '95) dai proibitivi carichi fiscali con cui erano nati (o meglio: abortiti). Ma su questa materia, se si salda la spaccatura interna al governo, si apre un baratro tra datori di lavoro e sindacati. Secondo Cgil, Cisl e Uil, nei fondipensione vanno investite anche e soprattutto le decine di migliaia di miliardi oggi accantonati nei bilanci delle società come «indennità di fine rapporto» (cioè le liquidazioni); secondo gli industriali, quei fondi devono restare dove sono, a fruttare insieme con tutta la tesoreria di ciascuna azienda. Ai fondi pensione devono andare prevalentemente contributi sottratti alla voragine della previdenza pubblica: come dire una soluzione diametralmente opposta. No, neanche questa sarà una strada facile. Sergio Luciano
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