« Ma io non m'arrendo »

Parla il guerriero dopo l'amaro argento nel ciclomondiale Parla il guerriero dopo l'amaro argento nel ciclomondiale « Ma io non m'arrendo » Chiappucci, una vita da secondo AGRIGENTO dal nostro inviato E' quasi notte. Il guerriero si siede in faccia alla Valle dei Templi, si toglie le scarpe, si massaggia pensosamente un piede e comincia. ((Anche stavolta non avrò l'articolone degli articoloni, il titolone dei titoloni: Chiappucci campione del mondo! Niente maglia iridata, nemmeno uno dei cinque cerchi. Ah, che cosa avrei dato per tornare a casa con quella maglia e la medaglia d'oro col suo bel nastro al collo. Driiiin. Chi è? Sono io. Mia moglie apre la porta, ha la bambina in braccio, resta a bocca aperta. Mi ha già visto in tivù ma ora mi vede in carne e ossa. Che momento. Sto sull'attenti, mi presento, Chiappucci Claudio, campione del mondo 1994, presente. Baci, abbracci, carezze, pianti, risate. Niente. Niente di niente». Però, non è finita... «Ci mancherebbe altro. Ho la coscienza a posto, ho fatto il mio dovere, stavo dove dovevo stare. Leblanc è stato più forte. E a me non m'entravano i rapporti. E c'era Ghirotto davanti, come facevo a buttarmi su Ghirotto. E tanto sarebbe stato inutile, sarei capitato tra Leblanc e Virenque e m'avrebbero strozzato». Non è l'ultimo traguardo. «Non esistono per me ultimi traguardi. La stagione parte adesso, ci sono belle battaglie. Voglio vincere il Lombardia». E che cosa vincerà davvero? «Il Lombardia. E poi vedremo nel '95. Sarà un anno pieno di novità. Mi andrebbe di fare il Tour e la Vuelta spagnola». E il Giro d'Italia? Chiappucci che non corre il Giro. Non è possibile. «Tutto è possibile. Ne ho corsi tanti di Giri, sono dieci anni che che mi ci tuffo dentro. Si cambia. Un bellissimo Tour da riposato e un bellissimo Mondiale dopo la Vuelta. Il Mondiale in Colombia, la mia terza patria dopo questa e la Francia. In Colombia io sono El Diablo. Chiedete a Bogotà. Scusi, come si chiama Chiappucci? Tremano e rispondono: El Diablo». Ma ci crede sul serio? ((A che?». Al Lombardia, al Tour, alla Colombia? «E perché sarei qui? Perché sarei qui con queste cicatrici alle ginocchia, sulla schiena, sui fianchi, perché sarei qui a guardare la medaglia d'argento e a chiudere gli occhi dicendo: adesso li riapro e la medaglia è d'oro, perché sarei qui orgoglioso di me anche se non faccio i salti di gioia, se non credessi in Chiappucci? Non ho vinto il Mondiale ma non mi butto via. Io esisto ancora. Eccome se esisto. E sono forte. Si può essere forti e non vincere. I francesi hanno sempre corso ottimi Mondiali e per quattordici anni sono stati a secco. Mi sento umiliato, afflitto soltanto quando sento di non aver fatto il mio dovere. Alla fine di questa corsa c'era un solo capitano all'attacco. Chiappucci. Chiappucci che ha cento vite. Mille vite. Dopo il Tour abbandonato, avevo le gambe vuote, ero tre chili sotto il peso forma. Diablo, ho detto, rigenerati e fai in fretta». Se le facessero questa proposta: meno popolarità, meno amore e più vittorie, cosa risponderebbe. «Risponderei che ho sempre cercato amore e vittorie, ho sempre dato tutto me stesso in corsa e la gente ha capito. Risponderei che voglio restare quello che sono. La mattima prima del via ho telefonato a mia moglie: tranquilla, vedrai che qualcosa combino. E ci siamo risentiti la sera. Come stai Rita? Bene. E tu, Claudio? Bene. Lei lo sapeva che avrei voluto gridare hai visto, hai visto, lo sapeva che avevo fatto tutto il possibile. Mi ha detto: sei stato bravissimo. Non era delusa. Odio la delusione». E il risparmio. «Non è vero. Oggi sono molto più quieto, più saggio, non sono più il Chiappucci che doveva sgomitare per ottenere un posto nelle prime file». E non è più neppure il grande rompiscatole in bici? «Io il rompiscatole? Invidia. Soltanto invidia. Invidia del mio coraggio, del mio affrontare i rischi senza chiedere permesso, io non busso alle porte, le sfondo. Io non sono di quelli che si fanno mettere sotto. Mi hanno invidiato e mi invidiano». Parliamo del doping... «Brutta bestia. Siamo presi di mira, il ciclismo è preso di mira. Ma è dura smontare il ciclismo, c'è un popolo, intorno al ciclismo, che valuta che sa distinguere. Io mi limito a commentare: uniformate le pene, signori, questa è una baraonda. Cambiamo argomento. Vi spiego quanto sono celebre. Pantani sta nella mia stessa stanza. Ogni volta che suona il telefono e risponde Pantani, riattaccano. Cercano soltanto me». (Pantani è lì, accanto a Chiappucci e lo manda a quel paese: «Vai a quel paese, capitano del cavolo». E Chiappucci: «Non senti che laggiù squilla il telefono, su scatta e rispondi, scalatore»). Resterà alla Carrera? «Ho tre patrie e due famiglie. La seconda famiglia è la Carrera. Io sono la Carrera. Quando parlano di Bugno nessuno lo identifica in una squadra. Ma io sono la Carrera. Un corridore, una bandiera». (Pantani: «E io chi sono?». «Tu sei Pantani»). Ora che cosa fa? «Vado a correre in Francia, con l'argento che è sempre un gran bel distintivo. E poi via, verso nuovi combattimenti». Non si stanca mai? «Sono troppo impegnato, non ne ho il tempo». Lo chiamano: Chiappucci, è tardi, a letto. Ma il guerriero a letto non ci vuole andare. Ha gli occhi lucidi il guerriero. «E' la polvere della corsa, miseriaccia. Andate, voglio star solo». Gianni Ranieri La grinta di Chiappucci (a lato), tra Ghirotto e Virenque, nella volata per l'argento mondiale Sopra, lo spagnolo Indurain