Spade e sparate per i medici ospedalieri a Sarajevo contro le armi di Mario Deaglio

Spade e sparate per i medici ospedalieri; a Sarajevo, contro le armi lettere AL GIORNALE Spade e sparate per i medici ospedalieri; a Sarajevo, contro le armi La «Sanità malata» non siamo noi Sono esasperata dal continuo ricorrere del termine «malasanità» sui media e nelle discussioni quotidiane. Non accetto ulteriormente l'offesa e la denigrazione profonda nei confronti della categoria medica in primo luogo, ma anche di quella infermieristica, criminalizzate da chiunque si senta autorizzato a sparare sentenze e giudizi sommari senza la minima conoscenza della realtà. Non siamo criminali che si dilettano nell'arte di far soffrire e ammazzare la gente (semmai cerchiamo, se umanamente possibile, rimediare alle sofferenze e di allontanare lo spettro della morte!). Non siamo però maghi o stregoni in grado, sempre e comunque, di scongiurare la morte, di liberare l'umanità dai suoi mali! Non siamo noi la «Sanità malata». La Sanità malata è la fatiscenza delle strutture, la mancanza di apparecchiature, la carenza di personale, l'ignoranza e l'insensibilità della burocrazia, i controsensi della legge, i giochi di potere nelle alte sfere. Come medico devo fare quotidianamente i conti con la mia coscienza, con la mia consapevolezza di non essere onnisciente (chiunque entri in una libreria o in una biblioteca medica può verificarne l'impossibilità!), con la frustrazione generata dall'impotenza terapeutica nei confronti di tante, troppe patologie. Come medico ospedaliero non posso tollerare ulteriormente che mi venga chiesto sempre di più (impegno, tempo, responsabilità, disponibilità) in cambio di sempre di meno (in termini economici e di realizzazione professionale), sotto la continua spada di Damocle della magistratura che nel mio operato vede più possibilità di reati che in qualsiasi altra attività. Non posso vivere nell'angoscia di poter essere chiamata un giorno a pagare per colpe che non sono mie, a fare da capro espiatorio per mancanze a ben altri livelli. Marisa Fogliati, Asti Il popolo della Pace camminerà con il Papa Il Papa ha deciso di andare come pellegrino di pace a Sarajevo, sebbene permangano tutte le controindicazioni e le pressioni contrarie. Il Suo è un gesto contro tutte le guerre nel mondo, condiviso da moltissima gente, stanca di atrocità, massacri, emergenze e campi profughi. Vogliamo comunicare con Lui perché da Sarajevo parta, per l'Europa e il mondo, il nucleo della nuova convivenza di popoli, religioni e culture. Vogliamo camminare per denunciare tutta l'organizzazione di guerra a partire dalla produzione e traffico di armi e per chiedere alla Comunità internazionale una più coerente politica di pace. Non sarà un viaggio turistico, né un pellegrinaggio di cattolici, ma il viaggio di persone, con tutte le loro diversità religiose, ideologiche e politiche, che condividono concretamente l'urgenza della pace. Il cammino non si preannuncia facile. Attualmente la strada non è completamente percorribile; rimangono inoltre margini di rischio per cui potranno partecipare solo maggiorenni con piena assunzione di responsabilità. Il gruppo organizzatore sta stabilendo i contatti per rendere possibile l'azione, ma non può offrire garanzie di riuscita ad alcuno. Riteniamo comunque importante che il popolo della pace si trovi sulla strada, anche se non è scontato che possa raggiungere Sarajevo. Per motivi logistici e organizzativi si è deciso il numero chiuso: 250 partecipanti. Le iscrizioni dovranno pervenire alla segreteria di «Beati i Costruttori di Pace», di Padova entro il 31 agosto. Il programma prevede il viaggio dal 5 all' 11 settembre con ritrovo alla Fiera della Pesca di Ancona lunedi 5 settembre alle ore 10. Per prenotazioni: tel. 049/8755897; tel. fax 049/8762902; tel. fax 049/663882. don Albino Bizzotto Beati i Costruttori di Pace. Padova «Solinas, fuori posto il suo attacco nicciano» Prima che vittima delle battute di Pierluigi Battista, sono sempre stato lettore della sua divertente rubrica «Parolaio» e mi dispiace di dover chiedere una rettifica. Egli, infatti, ha ripreso, sono certissimo in buona fede, e ha commen¬ tato (umoristicamente: «Come conciliare il diavolo e l'acqua santa...») una notizia di Stenio Solinas, il quale asserisce che il sottoscritto ha una fiorente attività commerciale legata alla distribuzione delle guèpières. La notizia ha solo questo fondamento: all'inizio degli Anni 60, quando l'etichetta «cattolico di destra» non era molto apprezzata, ritenni di rinunciare al lavoro intellettuale retribuito e dedicarmi ad altra attività. Un mio parente, Umberto Valabrega, aveva un'attività commerciale, nel settore dell'abbigliamento serio e trovai posto grazie a lui. Solinas ha ribaltato il significato di una scelta decorosa (in fondo potevo fare un salto da qua¬ glia...) e l'ha presentata sotto una luce indecorosa. Anche i miei vecchi collaboratori (io sono attualmente pensionato) e i titolari delle aziende per le quali prestavo opera si sono indignati. Solinas ha dato anche notizia deformata sulle mie iniziative giovanili (inizio Anni 50...) nella destra neopagana. E' vero che militavo in essa, ma ho fatto pubblica abiura circa quarant'anni fa. Pierluigi Battista mi creda: l'attacco di Solinas è veramente fuori posto, sotto ogni punto di vista. E' l'attacco di un nicciano niccianamente malriuscito. Piero Vassallo, Genova Nonne, pensioni e nipotini poveri Leggo sulla Stampa del 22 c.m. l'articolo di Mario Deaglio: «Previdenza tra diritti e illusioni». Come semplice cittadino, nonché pensionato, vorrei rassicurare il prof. Deaglio e convincerlo che da parte della maggior parte dei pensionati non c'è mai stata illusione sulla natura dell'assegno di pensione che viene loro erogato né sul rapporto che intercorre tra contributi versati e ciò che effettivamente percepiscono. C'è la consapevolezza che la pensione è il giusto riconoscimento da parte dello Stato per cittadini che hanno trascorso lunghi anni di lavoro al servizio della comunità. I pensionati di oggi sono i lavoratori di ieri che hanno contribuito a loro volta a pagare le pensioni degli altri, hanno creato reddito e benessere, consentito ad aziende e fabbriche di stare sul mercato ed al mondo della finanza di investire e guadagnare. Tanto perché sia chiaro, il pensionato di oggi, come quello di domani non toglie niente a nessuno, casomai raccoglie ciò che ha seminato. La sua pensione è un diritto e non una concessione, come vorrebbe far credere qualcuno. Lo Stato ha il dovere di corrisponderla non solo aggiornandola al costo della vita ma agganciandola alla dinamica salariale, evitando che da qui a qual¬ che anno il pensionato si trovi con un pugno di mosche in mano. E per finire, mi si consenta una ultima riflessione. Deaglio ci regala un patetico quadretto che rappresenta la nonna e il nipote e ci spiega che sono i redditi del nipote a fornire ossigeno alla nonna pensionata in attesa del fatale trapasso. Trenta, quarant'anni fa eravamo noi i nipotini che lavoravano per le nonne. Un triste destino accomuna questi nipoti, quando anche quelli di oggi andranno in pensione entreranno anche loro nel mondo degli assistiti, affidati alla generosità dello Stato e alla solidarietà altrui. N. P., Torino Il lettore mostra di sapere che la sua pensione è maggiore di quella che gli deriverebbe in base ai contributi versati e contiene quindi una sorta di premio, che egli definisce «giusto riconoscimento». Non è il caso di discutere se tale premio sia «giusto» perché, detto brutalmente, ci saranno comunque sempre meno soldi per continuare a pagarlo. Già oggi occorre toglierli dalle tasche di quei nipoti sui quali egli ironizza. Trenta-quarant'anni fa, quando il lettore era tra «i nipotini che lavoravano per le nonne», la vita media era molto più corta e quindi le nonne erano poche. Di queste, pochissime avevano una pensione, peraltro ben più bassa dell'attuale. I nipotini, dal canto loro, erano molto numerosi e per provvedere alle pensioni degli anziani bastavano, ogni mese, uno-due giorni di lavoro del lettore. I nipotini che oggi pagano la sua pensione non sono molto numero si mentre sono assai più numerosi gli anziani. Essi vivono più a lungo, come auguriamo cordialmente a chi ci ha scritto, sperando che abbia un po' più di riguardo per quei suoi poveri nipoti che oggi lavorano circa dieci giorni al mese per pagargli una pensione meno indecorosa di quella che egli garantiva a sua nonna. Mario Deaglio

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