Ma i bergamaschi nel 1987 votavano la dc di Citaristi
Sulla spiaggia di Porto Cervo il leader leghista rivela le sue imprevedibili imprese Ma i bergamaschi nel 1987 votavano la de di Citaristi IL PUTSCH DI PROVINCIA IROMA TALIA ricca, pacifica e felice, tutto sommato, quella del 1987. Errore, fa sapere ora Bossi. Anche se nessuno, bisogna pure aggiungere, si era accorto di vivere in un Paese sull'orlo della rivolta armata. Com'è ovvio, la vita pùbblica conobbe anche allora i suoi drammi: dalle catastrofi naturali'('Valtellina, con l'indimenticabile tenzone geologica e lessicale sulla «tracimazione» alle rivolte carcerarie (a Porto Azzuro, guidata da Mario Tuti), agli ultimi, residuali agguati terroristici (come quello che portò all'uccisione del generale Giorgieri dalle Unità Combattenti Comuniste, Ucc). E poi, sì, c'era Nicolazzi, fresco di campagna elettorale in cui sfoggiava l'infausto slogan «A viso aperto» e propugnava, con la regia congressuale del figliolo, l'«alternativa riformista». C'era Altissimo, naturalmente abbronzato, che fece pure una mezza crisi di governo (sulla tassa sulla salute: la crisi rientrò perché gli dissero che l'avrebbero tolta, e infatti s'è visto). C'erano Rocco Trane, Cicciolina (e infatti D'Alema diceva: «L'alternativa non si fa con Cicciolina e Rocco Trane»). C'erano, tra gli altri personaggi nefasti della Repubblica, tutti quelli di cui la medesima Repubblica, anche grazie alla Lega, riuscì a liberarsi sei o sette anni dopo. Eppure ancora oggi, e con tutta la buona volontà, la mancata, anzi la sfiorata, meglio ancora la disinnescata (dal salvifico Bossi) guerra civile nel Bergamasco non si riesce proprio a prenderla sul serio. Neanche un po'. E forse è la sede marina, balneare, spiaggesca e sabbiosa che ha fatto da scenario, tra materassini, ombrelloni e variopinti asciugamani, all'esternazione del leader lumbard, un controsenso in radice. Forse sono i primi sintomi di reazione psicologica alla smania del «chi la spara più grossa» così diffusa in quest'estate politica, una piccola e sana rivincita dello scetticismo contro le balle a ruota libera del turismo politico del Polo della libertà. Una diffidenza alimentata, oltretutto, dalla più sospetta genericità su date e circostanze da parte dell'ipotetico salvatore Bossi, il quale seppe contenere quella spinta terribile, anche considerato «l'eco di 300 mila uomini che allora rimbombava di valle in valle», yhùuu-ùh, specie di fragoroso, minacciosissimo jodl di massa in un Paese evidentemente di sordi. Per tutti questi motivi, a occhio e croce, domani non dovrebbe venirsene fuori nessuno a chiedere una commissione d'inchiesta parlamentare. Nonostante l'indubbia pericolosità della materia richiamata: «armi», «caos», «militari», «pronti a tirare», «camion carichi d'armi»... «E i bergamaschi li conoscete. Se non ci fossi stato io a fermar- li...». Bene, sia detto senza nessuna acrimonia, ma i bergamaschi nel giugno del 1987 votarono in 74.192 un signore che si chiamava, anzi si chiama Severino Citaristi. E se è vero che nella circoscrizione di Bergamo e Brescia, alla Camera, la Lega prese 51.982 voti (più 15.392 della Liga Veneta in trasferta), che non sono pochi, è anche vero che da sola la vecchia de ne beccò ben 605.322, e cioè circa nove volte tanti. Per cui, insom¬ ma, sulla base di altri numeri, se nelle zone richiamate da Bossi la de stava al 40 e più per cento, i leghisti riuscivano a stento a superare il 3. Non che tale esigua percentuale, in ipotesi, non potesse nascondere qualche testa calda. Però allora anche qui il dovere civile è di fare una più che sostanziosa tara sui trecentomila di cui parla Bossi. E che ora, nella loro ridondante numerosità vanamente intimidatoria, ri¬ schiano di entrare nel già notevole albo d'oro del macchiettismo da Seconda Repubblica («I trecentomila bergamaschi di Bossi»). Certo, i servizi segreti - dei quali peraltro solo oggi si sa quali occupazioni privilegiassero non avevano dato alcun allarme. Eppure li davano su tutto, ambientalisti compresi (c'erano i referendum anti-nucleari) un po' perché non costava nulla, un altro po' perché non si sa mai. Ad un eventuale terrorismo proto-leghista (e bergamasco) non accennavano comunque, i nostri alacri spioni, nei loro rapporti semestrali consegnati sia al governo Fanfani, governo «tecnico» e pre-elettorale (detto anche «dell'entomologo» per la figura dell'esimio professor Pavan, chiamato alla nascente Ecologia), che al governo del povero Goria, compagine «di convergenza programmatica». Ad esser meticolosi, quel che nelle parole di Bossi richiama un consapevole conflitto etnico s'era effettivamente notato, però limitatamente agli scontri fra tifoserie calcistiche («Benvenuti in Italia» scrivevano a Verona, «Giulietta è una zoccola» rispondevano i napoletani), ai graffiti sulle autostrade («Forza Etna») e a certi sfoghi telefonici riversati nella prima ondata mefitica di Radio Radicale libera. Comandavano, anche allora in tumultuoso disaccordo, Craxi e De Mita. L'Italia ufficiale - inflazione al 4,6 per cento, reddito complessivo e per abitante cresciuti del 2,7 e del 2,5 rispetto al 1986 - s'appassionava alla «staffetta» («E così abbiamo liquidato la staffetta» sbuffava Bettino), al «documento dei 39» (sottinteso de che volevano fregare Ciriaco) e ad altre vacue, sintetiche questioncelle che oggi sembrano perdersi nella notte dei tempi. Si affermavano Fini e pure Giorgio La Malfa, tornava in Italia Maria José, scappava Marcinkus e il Cossiga era timido come un agnellino. Pur nella vaghezza cronologica bossiana la pseudorivolta leghista si situa in coincidenza con l'arrivo in Italia dei personal computer, degli U2 e della fortunatissima nascita televisiva di «Colpo grosso». Si scoprivano le «carceri d'oro» e Celentano difendeva «i figli della foca». La Lega era una piccola Lega: un deputato e un senatore. Tra i primissimi, ingenui ultras si contavano disc-jockey un po' razzisti, rabbiosi consumatori d'aperitivi e gabibbi vari. Bossi era il leader, certo, e tuttavia proprio allora aveva da vedersela con il cognato, Pierangelo Brivio. «Mi ha aggredito insieme a un altro - diceva il marito dell'Angela - mi hanno strappato la camicia, rotto gli occhiali e buttato fuori di peso». Filippo Cecca rei li La Lega aveva un senatore e un deputato, gli italiani discutevano della staffetta tra Craxi e De Mita In alto: Umberto Bossi in vacanza in Sardegna A sin.: la trasmissione tv «Colpo grosso» Sopra: l'ex ministro Franco Nicolazzi A destra: il complesso ' musicale degli «U2» e l'ex premier Bettino Craxi
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