«Liberate mio figlio pastore innocente» di Gian Piero Moretti
«Liberale mio figlio, pastore innocente» Imperia, appello della madre. Il sottosegretario Borghezio: detenzione ingiusta «Liberale mio figlio, pastore innocente» Da tre mesi in carcere per «pascolo abusivo» LA MANO DELLA LEGGE LIMPERIA A legge è uguale per tutti? Andatelo a dire a Franco Argiolas, 45 anni, pastore sardo, sbattuto in carcere a Imperia per una vecchia condanna a tre mesi di carcere per pascolo abusivo. I grandi protagonisti di Tangentopoli sono tutti fuori. Lui no. Deve stare in galera. E le sue pecore muoiono, sbranate dai cani selvatici, bruciate dagli incendi di bosco, cadute nei dirupi. Disperse, rubate. Per Argiolas si sono mossi gli agenti di custodia. Alcuni sono sardi ed hanno dimestichezza con le greggi: «Potrebbero curare loro le sue pecore» ha detto il comandante dell'istituto di pena, Giuseppe Vitale. I detenuti si sono schierati e sul loro giornalino - Oltre il muro - hanno commentato duramente la vicenda. E' intervenuto il sottosegretario alla Giustizia, Mario Borghezio per sollecitare «misure alternative alla detenzione». E si è fatta viva dalla Sardegna la vecchia mamma del pastore, Francesca Argiolas. Ha 78 anni. Non è mai uscita da Villanovodulo, un paese di mille anime situato sui monti che circondano Nuoro: «Sono sei anni che non vedo mio figlio. Io e mio marito siamo vecchi, non ce la sentiamo di affrontare un viaggio in continente. Franco è in prigione perché le pecore hanno rubato l'erba. Non è un bandito, non ha rapinato, non ha ucciso nessuno». Francesca Argiolas, con l'orgoglio tipico della sua gente soggiunge: «Fare il pastore è un lavoro di cui non bisogna vergognarsi; in Sardegna non c'è lavoro, non ci sono più neppure i pascoli. E non tutti possono studiare». E' una vicenda che fa riflettere, quella che ha per protagonista il pastore sardo trapiantato da sei anni a Dolcedo, nell'entroterra di Imperia, con 300 pecore. Fa riflettere perché, almeno in apparenza, non c'è rimedio. Il sottosegretario Borghezio, delegato dal governo al controllo degli Istituti penitenziari del Nord, é intervenuto presso l'ufficio del magistrato di sorveglianza Giuseppe Orio di Genova. Pare su disposizione del ministro Biondi. Ha fatto pressioni perché la pena che Franco Argiolas deve scontare sia trasformata in una sorta di arresti domiciliari nel bivacco sul Monte Faudo che per tutta l'estate è stato la sua casa. Il magistrato ha assicurato che la pratica verrà esaminata in tempi brevissimi. Poggiolini è fuori dal carcere; De Lorenzo per qualche ora ha assaporato il profumo della libertà. Altri non hanno mai varcato la soglia di San Vittore, anche se raggiunti da ordini di custodia cautelare per corruzioni miliardarie. Ma Argiolas è finito dentro l'ingranaggio della giustizia, quel meccanismo spietato che quando ti afferra, non ti lascia scampo. Colpevole di un reato che, al Nord, quasi non si conosce neppure: pascolo abusivo. Le sue pecore hanno mangiato l'erba del vicino che forse non «era più verde» ma era l'unica, la sola a disposizione del gregge. A volte le pecore hanno distrutto i fiori o le vigne di proprietà della gente di Dolcedo. Non correva buon sangue fra il sardo e i vecchi liguri dell'entroterra. Il razzismo non c'entra: è stata la diffidenza, la differenza fra le due culture ad avere scavato un solco profondo, difficile da superare. Lo hanno denunciato ai carabinieri. Il fascicolo è finito in Procura, poi davanti al giudice. Il processo, la sentenza, la condanna, l'appello. Ha dimenticato la sua disavventura giudiziaria, ma la giustizia non si è dimenticata di lui. Ora è dietro alle sbarre. Disperato e incredulo. E le sue pecore muoiono. Gian Piero Moretti
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