«lo professionista di morte» di Fulvio Milone

«lo, professionista di morie» «lo, professionista di morie» «Quattro milioni per ogni cadavere» IL «MESTIERE» DI SICARIO PNAPOLI ROFESSIONE: killer. Strumento di lavoro: la P38, «mai la stessa, per evitare che la polizia scientifica possa collegare un omicidio all'altro». A svelare fino in fondo i segreti della difficile «arte» del sicario fu un camorrista napoletano, Pasquale Frajese. Anche lui, come Lorenzo Tinnirello da Palermo, aveva scelto il mestiere di assassino. Non è che guadagnasse tanto: «Quattro, al massimo cinque milioni per morto, mentre i capi si spartivano il grosso della torta», ebbe a lamentarsi con il giudice al quale confessò i suoi crimini. Sì, perché un paio di anni fa Pasquale appese al chiodo i ferri del mestiere e si dichiarò pentito, accollandosi quattordici omicidi. Era il killer di fiducia dei fratelli Mariano, capi di una banda che aveva trasformato i vicoli dei «Quartieri Spagnoli» di Napoli in una gigantesca e sanguinolenta macelleria. La sua carriera cominciò nell'87, con un'estorsione. Lui, Frajese, raccontò così il suo de- butto sulla scena del crimine: «Era il mese di aprile, quando entrai a far parte del clan grazie ad una raccomandazione di un amico. I Mariano volevano minacciare un fiscalista che si rifiutava di pagare la tangente. Fui scelto solo perché avevo un volto che passava inosservato. Feci bene il mio lavoro: il professionista, terrorizzato, scucì venti milioni in contanti senza nemmeno fiatare». La prima missione di morte, Frajese la portò a termine quello stesso anno. «Mi consegnarono una P38 dicendomi che bisognava sparare ad uno nella pancia. Lo feci. Entrai nella sala giochi di cui quel tizio era proprietario e gli misi una mano sulla spalla. Lo girai per metterlo nella posizione giusta e sparai. Sentii il rumore delle ossa spezzate dal proiettile, e osservai l'uomo che cadeva sul pavimento, a peso morto. Pensai: che strano, sto uccidendo una persona senza sapere perché. Non conoscevo nemmeno il suo nome. Solo dopo qualche giorno mi spiegarono che quello era stato punito solo perché si era rifiutato di vietare l'ingresso nella sala giochi ad un amico dei Mariano che perdeva troppo al videopoker». Sparatoria dopo sparatoria, morto dopo morto, Pasquale Frajese divenne il fiore all'occhiello del clan. Uccideva come un automa, premeva il grilletto senza provare la minima emo¬ zione. Un professionista rispettato, sì, anche se tenuto accuratamente fuori dagli affari della «camorra spa». Dopo il pentimento, Pasquale si lamentò di questo con il giudice: «Quelli come me, i cosiddetti killer, non erano a conoscenza dei profitti della banda. Chi sparava guadagnava meno degli altri. Eppure eravamo indispensabili all'organizzazione: uno dei fratelli Mariano, Marco, ripeteva che per farsi rispettare servivano i moiti sul selciato. Più ne ammazzi, più sei forte e temuto: diceva proprio così. Signor giudice, le sembrerà strano, ma noi credevamo in quello che facevamo: in fondo, per noi, un omicidio non aveva prezzo, ammazzavamo perché eravamo affezionati ai capi che ce lo chiedevano. Ci sentivamo parte della famiglia, i soldi erano un fatto marginale». Durante la sua lunga confessione, Pasquale Frajese spiegò al magistrato che la vita di un killer, tutto sommato, è tutt'altro che agiata: «Quei quattro, cinque milioni li spendevamo tutti per nasconderci, per tenerci alla larga dalla polizia dopo un omicidio. Non avevamo un soldo, e se qualcuno di noi chiedeva altro danaro erano guai. Sì, perché i capi erano capaci di buttarci addosso la calunnia». La calunnia? «Sì, per bruciare un guaglione scomodo bastava diffondere in giro la voce che quello voleva tradire l'organizzazione. Sarebbe stato ammazzato nell'arco di ventiquattr'ore». Fulvio Milone Un camorrista pentito: quei soldi ci servivano per nasconderci e ammazzavamo come automi In alto a sinistra una scena di morte di mafia che è diventata un poster per B e netto n. Sono centinaia i killer che lavorano per Cosa Nostra

Persone citate: Frajese, Lorenzo Tinnirello, Pasquale Frajese

Luoghi citati: Napoli, Palermo